NEWS

Borsellino 17 anni dopo la strage, il ricordo di un ex pm: Alessandra Camassa, “è ora di sapere chi ha voluto le stragi”

Di Rino Giacalone il . Sicilia

È questa una intervista al giudice Alessandra Camassa che va scritta
cominciando dalla fine. Con una premessa. Lei è un giudice, giovane giudice,
che ha svolto la carriera tra Trapani e Marsala, è stata uno dei magistrati
della Procura marsalese quando c’era Paolo Borsellino a guidarla. È perciò uno
dei punti di riferimento di quella esperienza, ma non solo. Per questa ragione
spesso il giudice Camassa viene interpellata dai giornalisti, per rinforzare il
ricordo, perchè possa consegnare una testimonianza, mai inutile, di quel
periodo.



Un pezzetto di storia da raccontare, la sua oggi quale è?


«Storia di lavoro,
vissuta con impegno, con la voglia di crescere. Ma rispetto a quegli anni mi
rendo conto che mi mancano alcune cose».


Si spieghi, cosa vuole dire?


«Non ho
quell’entusiasmo talvolta infantile che ci mostrava Paolo, io ho oggi l’età che
Borsellino aveva quando io ero pm con lui, ecco mi rendo conto che mi manca
quella sua tensione. Ho consapevolezza triste delle cose che oggi ci succedono
intorno, e forse questo mi rende differente dal procuratore Borsellino, certe
volte me vengono meno gli ideali da lui appresi, quello di crederci nel lavoro
che si fa, nonostante tutto».


Colpe ce ne sono? E di chi?


«Sento ma potrei
dire sentiamo i colpi che arrivano dal clima sociale, risentiamo del discredito
provocato dalle stesse istituzioni, ci dispiace che in giro ci sia troppo
perdita di valori».


Ma che era anche un po’ il clima di quegli anni.


«Si è vero, ma
forse si riusciva a reggere di più, oggi si scivola sempre di più verso il
basso, per noi magistrati e giudici è più difficile lavorare, ogni volta che
accio una sforzo di volontà per ricaricare le pile, mi scontro con una realtà
dove non ci crede più nessuno a certi punti di riferimento».


Sente il fatto che la gente ha poca fiducia nella giustizia.


«Dico subito, noi
giudici raccogliamo sfiducia per colpe anche nostre, per un buon 30 per cento».


Ma bisogna uscirne, in che modo?


«Sottraendoci al
giudizio sociale, così non si fa bene il nostro lavoro. Ne siamo troppo
succubi, ed è sbagliato. Dimostrare di essere bravi, che èp quello che questo
clima ci potrebbe portare a fare, è rischioso, bisogna semmai fare il proprio
dovere, devi essere bravo per il lavoro di responsabilità, lavorare per il
consenso nel nostro mestiere è fuori luogo. C’è sempre una parte cui le nostre
decisioni non piacciono».


Un esempio di questo tipico stato delle cose quale può essere?


«Quello che si dice
in giro che la mafia è sconfitta per esempio, ai tempi di Paolo c’era chi
diceva che non esisteva. Un modo per dare dell’inutilità al nostro lavoro per
non dire altro. Oggi c’è chi criminalizza più noi, per una indagine, per una
sentenza, che non i veri criminali».


Esiste ancora la terzietà del giudice?


«Si rischia di
perderla per colpa della politica, quando anche poi noi ci mettiamo del nostro,
perché anche noi siamo caduti nel gioco della politica»


Con Borsellino dicevate che nessun problema è insormontabile, è
ancora così?


«Si è capito dal
tono delle cose già dette, non mi sento di essere ottimista, sono preoccupata
che non vedo ideali attorno a me e nei giovani che certe volte è come se
fossero preoccupati di esprimersi, c’è un sistema che soffoca».


Parliamo di Borsellino, lui diceva di voi che “superiorem non
recognoscet”, voi dicevate di no, lui era un vero capo, ce ne sono stati
altri per lei?


«Trovare un altro
capo così è difficile ma debbo dire che a me è successo, con Andrea Genna, con
Vincenzo Pantaleo,
(giudici presidenti di sezione a
Marsala e Trapani ndr) mi hanno fatto credere sempre nella giustizia, nel senso del
dovere».


La procura di Borsellino fu la Procura dei giudici ragazzini. Oggi dicono che i
giudici ragazzini sono da tenere lontani dagli uffici inquirenti.


«Borsellino aveva
l’anima paternalista e con i giovani magistrati lavorava benissimo. I giudici
ragazzini dicevamo, ecco sostengo che le norme di oggi sono completamente
incomprensibili. Molti parlano di volere tenere conto delle esperienze di
Borsellino e Falcone e poi non fanno altro che gettare alle ortiche quelle loro
indicazioni. Impedire ai giudici di prima nomina a venire a lavorare in procura
significa fermare l’azione penale, che è tutto il contrario di quello che di
questi tempi molti dicono. Bastava normare diversamente, obbligare per un
periodo i capi della Procura a firmare gli atti degli uditori per sancire
quelle garanzie invocate. Hanno messo in crisi l’azione penale».


La giustizia in Sicilia continua ad avere un significato diverso dal
resto d’Italia?


«Penso proprio di
si, nel meridione i magistrati conoscono una attività che non si riconosce
esserci nel nord»


La lotta alla mafia dopo Borsellino.


«Indubbi sono stati
i successi, ci sono state diverse svolte, ci sono stati a disposizione
strumenti tecnici che Paolo non ebbe il tempo di conoscere, forse manca quel
poco d’anima che lui ci metteva. Ora li vogliono togliere, mi sembra un
paradosso».


Parliamo della legge sulla sicurezza?


«La riforma delle
intercettazioni sostanzialmente paralizzerà le cose. Come sarà possibile in
terra di Sicilia fare la distinzioni tra criminalità organizzata e quella
comune, come si farà a dire che un morto ucciso per terra è stato ammazzato o
meno dalla mafia, non lo porterà mai mica scritto, sui reati non c’è scritto se
c’entra o meno la mafia, poi quando si parla di evidenti indizi di
colpevolezza, a quel punto le intercettazioni non servono se ci sono le prove.
È come dire ad un medico che cura i tumori a non usare più i sofisticati
accertamenti di cui oggi si può disporre e usare l’esame endoscopico. Allo
stesso modo ai magistrati, agli investigatori chiediamo di usare le lenti
d’ingradimento per cercare gli indizi e nient’altro degli strumenti tecnici
avanzati che sono stati usati per fare le indagini. C’è l’ansia da “indagine
pura”, ma forse è la volontà a non far fare le indagini. Non credo che sia
questa la sicurezza invocata dai cittadini»


Se dico voglia di normalità come risponde?


«Per me la
normalità è la “mediocritas” dei latini, il senso della misura, mi
sta bene, se normalità è invece l’adeguarsi ai desideri dei più, non mi sta
bene».

Trackback dal tuo sito.

Premio Morrione

Premio Morrione Finanzia la realizzazione di progetti di video inchieste su temi di cronaca nazionale e internazionale. Si rivolge a giovani giornalisti, free lance, studenti e volontari dell’informazione.

leggi

LaViaLibera

logo Un nuovo progetto editoriale e un bimestrale di Libera e Gruppo Abele, LaViaLibera eredita l'esperienza del mensile Narcomafie, fondato nel 1993 dopo le stragi di Capaci e via D'Amelio.

Vai

Articolo 21

Articolo 21: giornalisti, giuristi, economisti che si propongono di promuovere il principio della libertà di manifestazione del pensiero (oggetto dell’Articolo 21 della Costituzione italiana da cui il nome).

Vai

I link