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Histonium, l’inchiesta simbolo dell’infiltrazione mafiosa in Abruzzo

di Luca Pantaleo il . Abruzzo

Le inchieste Histonium e Histonium
2 segnano una svolta storica nella vicenda criminale d’Abruzzo. È 
l’aprile del 2007 quando la Procura della Repubblica di Vasto, cittadina
situata sulla costa meridionale della regione, al confine col Molise,
esegue un blitz contro un presunto sodalizio criminale dedito ad attività
estorsive. È la prima volta, infatti, che nell’isola felice viene
contestato il reato di associazione per delinquere finalizzata all’estorsione. 

Per certi versi, il caso Histonium
(l’inchiesta è divisa in due filoni, ma il filo conduttore è unico)
rappresenterebbe il paradigma dell’infiltrazione mafiosa in terra
d’Abruzzo. È noto che in Abruzzo la mafia sia un fenomeno sostanzialmente
d’importazione, agevolata in primo luogo da una gestione non proprio
oculata dei soggiorni obbligati di importanti esponenti dei clan meridionali.
Al centro dell’organizzazione vastese vi sarebbe, infatti, la figura
di Michele Pasqualone, calabrese di nascita ma da anni residente a Vasto
per ragioni di giustizia, protagonista di una vita «costellata di atti
giudiziari, processi, condanne e sospetti di appartenenza a onorate
società
», per dirla con le
parole degli inquirenti. Sarebbe lui a tessere le fila, a fare da punto
di riferimento per quella che da più parti è stata definita una vera
e propria “cosca” dedita al racket, che utilizzava peraltro metodi
tipici delle realtà mafiose: intimidazioni telefoniche, minacce varie
alle vittime e alle autorità inquirenti, attentati dinamitardi verso
gli imprenditori più restii a sottomettersi al giogo del sodalizio
criminale, e persino il sospetto che la banda stesse per compiere un
sequestro di persona a scopo di estorsione. 

Con la prima
ondata di arresti il sostituto procuratore Anna Rita Mantini, costretta
a vivere sotto protezione armata proprio a causa della sua attività
di indagine relativa al caso Histonium, ha messo a segno un duro colpo
nei confronti del clan Pasqualone, egli stesso  finito in carcere,
che tuttavia non ha interrotto il flusso degli affari. Al contrario
a giugno del 2008, dopo il secondo giro di vite che ha portato in carcere
altri esponenti della cosca, nel filone denominato per l’appunto Histonium
2, gli inquirenti hanno scoperto che Pasqualone in persona continuava
a dirigere gli affari dalla cella del penitenziario di Torre Sinello
dove era recluso. Ciò in parte grazie a presunte complicità di alcuni
agenti penitenziari (che lo avrebbero agevolato nell’utilizzo di apparecchi
telefonici per comunicare con l’esterno), in parte grazie al già
brevettato sistema dei “pizzini”, cioè brevi messaggi (eventualmente
in codice) contenuti in piccoli ritagli di carta, gli stessi che utilizzava
Bernardo Provenzano dal suo covo di Corleone. 

I reati contestati,
come detto, sono molto gravi. Ma l’ampiezza e la pericolosità dell’organizzazione
vanno oltre le sterili formule giuridiche del codice di procedura penale.
Il dato sociologico, infatti, mette in luce come in una tranquilla cittadina
abruzzese, un personaggio legato alla ‘ndangheta sarebbe riuscito
a creare un sodalizio criminale capace di seminare il terrore tra gli
imprenditori e di controllarne ed influenzarne numerose attività. Dal
punto di vista empirico, poi, la presenza di soggetti legati a mondi
criminali di una certa importanza, si avvertirebbe in maniera tangibile.
Non solo attentati dinamitardi, incendi o episodi di sangue. Ma soprattutto
tanti piccoli segnali, capaci di creare una sorta di soft law
del crimine, alternativa a quella dello Stato. L’organizzazione avrebbe
condizionato appalti, ambito a gestire il mercato del calcestruzzo e
ad infilarsi in quello dei rifiuti. Le leggi dello Stato, quelle generali,
astratte ed uguali per tutti, a Vasto avrebbero subito una specie di
deroga, come accade ordinariamente in talune zone ad occupazione mafiosa
nel Mezzogiorno d’Italia. 

Nel frattempo,
il magistrato che ha sgominato il sodalizio criminale si è trasferito
presso la Procura di Pescara. Un’altra città, quest’ultima, dove
la questione dell’infiltrazione mafiosa è di estrema attualità,
sebbene le modalità e le declinazioni del fenomeno sono in parte diverse
e senz’altro peculiari. Anna Rita Mantini, dal suo ufficio al quarto
piano del nuovo, maestoso Tribunale di Via Lo Feudo, non rilascia dichiarazioni
sul caso Histonium, per non turbare il prosieguo del procedimento (che
è ancora in una fase pre-processuale), confidando nell’operato di
chi ha assunto l’onere di portare avanti l’inchiesta. Quello che
è certo, è che l’affare Histonium, se confermato in questi termini,
obbligherebbe l’osservatore a pensare alla mafia in Abruzzo non più
soltanto in termini di latitanza dei boss in fuga e, tutt’al più,
di riciclaggio del denaro. Con Histonium, l’Abruzzo avrebbe conosciuto
il suo primo clan, nato e cresciuto sul suolo abruzzese. Non resta,
quindi, che aspettare gli sviluppi futuri.

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