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Simboli di rinascita nell’agro aversano

Di Tina Cioffo il . Campania

Il nastro è verde
speranza proprio come le decine di palloncini che hanno colorato il
corteo di macchine e di motorini partiti dal campo di calcio di Casal
di Principe e arrivati come prima tappa ai due pescheti in località
Difesa Casale, nelle campagne del paese al confine con Villa Literno.
L’occasione è importante. I terreni affidati ad Agrorinasce dal
2007, confiscati nel 2004 al camorrista Sebastiano Ferraro, sono stati
dati in gestione alla cooperativa Eureka che ci lavorerà per agevolare
la riabilitazione psico sociale dei suoi trenta utenti affetti da disagio
mentale. E’ il 9 luglio, la giornata tocca i trenta gradi e ad interrompere
la distesa dei campi, nel giorno dell’inaugurazione, c’è solo un
piccolo casotto per gli attrezzi da lavoro ed un altrettanto piccolo
patio che fa ombra. Non c’è molta gente. I cittadini di Casal di
Principe sono assenti e così pure l’amministrazione comunale rappresentata
solo dal sindaco Cipriano Cristiano. Chi è presente lo ha scelto nella
piena convinzione. Lo hanno scelto gli operatori sociali, i responsabili
di una parte della rete associativa del terzo settore da Libera, 
Omnia onlus, Legambiente, l’Arci e Al di là dei sogni. Lo hanno scelto
il questore di Caserta Guido Longo e  l’assessore regionale Corrado
Gabriele. La consegna è semplice ma tutto è pieno di significato.
Il fiocco viene sciolto da Maria Monaco, 50 anni, per trenta è rimasta
chiusa e rilegata in uno scantinato a Santa Maria Capua Vetere. Fa fatica
a camminare e dal suo viso traspare tutta la sofferenza infertagli da
un’ignoranza colpevole. Il suo gesto attorniata dai suoi amici della
cooperativa è altamente simbolico e Maria stessa pare capirne tutta
l’eccezionalità. Per un attimo i suoi occhi si illuminano e dalla
sua bocca nasce un breve sorriso. Alla sua purezza si alternano gli
interventi ufficiali di Gianni Allucci amministratore delegato di Agrorinasce,
di Mirella Letizia presidente dell’Eureka che senza mezzi termini
afferma “questa terra è nostra e da qui abbiamo intenzione di ripartire”,
del sindaco Cristiano che definisce l’incontro “entusiasmante”.
E’ il questore a riportare per un attimo tutti con i piedi a terra.
Accenna agli anni trascorsi alla Direzione Investigativa Antimafia,
agli anni del processo Spartacus e agli anni ’90 quando sarebbe stato
impossibile pensare al riutilizzo dei beni della camorra. “La strada
è lunga- dice Longo-  ma senza l’appoggio degli Enti locali,
del buon esempio della politica e degli amministratori, non si va da
nessuna parte”. A chiudere è l’assessore Gabriele per il quale
“ a lavoro si è finalmente messo anche lo Stato che alle zone d’ombra
ha sostituito le luci”.

La seconda tappa della
mattinata è a San Cipriano d’Aversa in via Ruffini, nella villa
confiscata a Pasquale Spierto e consegnata alla cooperativa Agropoli
nata nel 2000. Nella villa ex proprietà Spierto ad aspettare il momento
della seconda inaugurazione ci sono i carabinieri con il maresciallo
Forziati ed il capitano Pannone, il commissario straordinario Giuseppe
Marani, insediatosi insieme a Palmieri e Giangrande un anno fa dopo
lo scioglimento per infiltrazione camorristica dell’amministrazione
comunale. L’atmosfera qui è diversa. Non che sia  più impettita
e meno spontanea è solo che di cittadini, qui, qualcuno ce ne è. Ci
sono i vicini di casa e i curiosi. Tra i sanciprianesi ci sono padri
e madri con i figli in braccio. E ci sono dei bambini di dieci e undici
anni. Uno di loro è il figlio del camorrista. Lo accompagnano due amichetti.
Non ha la malizia sul volto, vuole solo rivivere per un attimo quelle
stanze che lo hanno visto crescere, la sua cameretta e la sua sala giochi
con il bigliardino. Quella casa che suo padre ha costruito togliendo
ad altri e che presto sarà un gruppo di convivenza ed un media center
per quel ragazzino è solo la sua vecchia abitazione. Ora risiede poco
lontano ma dei tre piani Giuseppe conosce tutto. Ci abitava con le sue
sorella: “una più grande ed una più piccola”, ci dice. E’ dispiaciuto
ed il suo dispiacere lo avvertiamo sulla pelle, per un attimo ci mette
pure a disagio. Guardiamo le scritte sui muri contro la polizia e poi
di nuovo lui. No, non è lui il colpevole, ma i peccati di suo padre
li ha cominciati a pagare proprio lui, figlio di un camorrista non
pentito.

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