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Un ddl contro i diritti inviolabili della persona

Di Stefano Fantino il . Interviste e persone

Onorevole Touadi, siamo arrivati alla fiducia al Senato al Ddl Sicurezza. Alcuni provvedimenti violano apertamente deii valori costituzionali e di carte internazionali di diritto, quali? 

La prima cosa che mi viene da sottolineare è come venga violata la Costituzione Italiana in materia dei diritti della persona. Chiunque l’abbia studiata e con lei la sua nascita, sa bene che per i padri costituzionali, fortemente provati dall’esperienza dell’esilio durante il ventennio fascista, i diritti venissero prima della Carta costituzionale. Inteso nel senso che essi appartengono e fanno riferimento all’individuo in quanto tale e non sono nella disponibilità del legislatore contigente, di turno. A questo riguardo sottolineo come nell’articolo 2 della Costituzione si parli di diritti inviolabili della persona e non del cittadino. Inoltre la nostra Costituzione assume le convenzioni internazionali sui diritti dell’uomo con valore di cogenza costituzionale. Un impegno internazionale assunto dal nostro paese per dare valore costituzionale a questi diritti. E ciò che viene detto nell’Articolo 2 si allarga anche all’articolo 3, un diritto di uguaglianza esteso senza limiti e distinzioni. 

Come valuta queste decisioni, su queste tematiche, all’interno di un provvedimento sulla sicurezza e approvato con una fiducia, blindato dunque? 

Io ritengo che sia assolutamente da rivedere l’impostanza del ddl, contando che la presenza di immigrati ci tocca profondamente anche a livello produttivo. Non possiamo più pensare che l’Italia non sia avviata verso un multiculturalismo. Sorprende, dunque, che la situazione sia affrontata in un provvedimento apertamente definito “di sicurezza”. Un messaggio fortemente subliminale per dire al Paese che il problema dell’Italia è quello dei clandestini. 

Mi sembra di capire che lei consideri differenti le priorità di sicurezza del nostro paese… 

Quando quattro regioni sono sotto il controllo mafioso e altrettanto le ramificazioni criminali in tutto il Paese, penso sia assurdo far passare l’idea dei clandestini come priorità da cui difendersi. I mafiosi sicuramente avranno fatto un brindisi quando hanno visto che non sono la priorità per il Governo. 

Monsignor Agostino Marchetto, segretario del Pontificio consiglio per la pastorale dei migranti ha affermato che «La criminalizzazione dei migranti è per me il peccato originale dietro al quale va tutto il resto», e Don Ciotti aveva detto che nel clandestino vive Dio. Cosa pensa di queste dichiarazioni, e della eterna confusione tra clandestino e delinquente? 

Ritengo che alla base ci sia un impianto “filosofico” stravolto che vede una netta corrispondenza tra immigrato e criminale. Non dimentichiamoci che il Ddl di cui stiamo parlando introduce in maniera netta la punizione penale per chi, essenzialmente, non compie un’azione o un crimine. Non si tratta, come normalmente, di punire una condotta attiva, per cui si è giudicati e ci si deve difendere. Si punisce uno status, si punisce penalmente una persona per quello che è, affidando la sua vicenda al giudice di pace.  In questo modo si tende a far risaltare davanti a tutti l’equazione povertà=criminalità. Punendo anche chi è senza dimora e agendo di fatto in maniera completamente contraria a una seria volontà di integrazione basata, nella fattispecie, in una grande implementazione di servizi sociali. Anche il soggiorno illegale e non solo l’ingresso, sarà sanzionato. Per quanto riguarda gli interventi che lei ha citato, io farei una distinzione tra organi ecclesiali e Chiesa vera e propria. L’apporto di Marchetto, di Ciotti è stato costruttivo e apprezzabile. Personalmente sono purtroppo stato colpito dal distinguo voluto dalla Santa Sede, che rimarcava il parere personale espresso da un membro o non dal Vaticano in quanto tale. Una forte contraddizione. Io da cristiano mi auguro che la Chiesa recuperi un forte senso della vita non solo quando essa è nella sua fase iniziale, la capacità di difenderla in qualunque suo stadio dell’esistenza. 

I provvedimenti del Ddl consegneranno molti clandestini nelle mani della criminalità, anche per soddisfare bisogni abitativi, ad esempio… 

Si, è il paradosso di questo disegno di legge. Da un lato si rassicura dall’altro si fa in modo che presupposti stessi della sicurezza vengano minati. L’immissione nel tessuto sociale di persone che di colpo diventano illegali produrrà un senso di insicurezza molto vasto. Sicuramente le persone non torneranno a casa appena diventate “illegali” e andranno facilmente incontro a situazioni criminali. Dal punti di vista della criminalità organizzata, infatti, apre delle maglie importanti, già peraltro aperte dal ddl intercettazioni. Molte famiglie inoltre vivranno nel panico di non poter, di colpo, affittare casa a badanti diventate in un secondo illegali: Questo è lo scopo di questo ddl, glorificare un immaginario da difensori del territorio, senza alcun tentativo di andare incontro alle esigenze del paese. 

Il decreto rilancia un concetto di giustizia fai da te, non ritiene che dare una legittimazione istituzionale alle cosiddette ronde sia una sostanziale garanzia di impunità?  

C’è poco da dire, un’abdicazione dello Stato. La prerogativa essenziale di uno Stato è il monopolio della forza pubblica. Così facendo si abdica a questa essenzialità. Non si danno fondi alle forze di polizia e si avvia una privatizzazione della sicurezza. Le ronde sono un’ “americanizzazione” della sicurezza. Tutto ciò non è fatto a caso. Oltre agli aspetti “di costume” inquietanti che circondano queste ronde è utile notare questo disegno dietro alla creazione di questa polizia privata. 

Lei pensa che l’Italia sia un paese razzista? 

Nessun paese è immune, avuloso o immunizzato. Anche in Italia ci siamo accorti di un passato razzista, di un colonialismo uguale agli altri. Abbiamo avuto una immigrazione tardiva e sviluppato tant gli anticorpi per il fenomeno razzista. Prima gli albanesi, poi la paura degli islamici dopo l’11 settembre, ora la sete di sicurezza. Questo il quadro entro cui in Italia abbiamo visto nascere il problema. La cosa inquietante è che il razzismo spesso venga quasi legittimato culturalmente e politicamente.

La colpa forse è anche quella di una integrazion percepita e attuata anche dai “circoli” più progressisti in maniera superficiale non trova? 

La cornice in cui il fenomeno è stato letto è giusta: cambiamento da affrontare, multiculturalismo come dialogo. Ma l’attuazione sbagliata è òa vera chiave per capire. Non c’è stato il dovuto accompagnamento per la gente ad affrontare il problema. Un allargamento mancato dei servizi tanto da dover vedere una concorrenza tra immigrati e gente dei quartieri per il singolo servizio. Inoltre delle posizioni “radical chic” per cui integrazione non rappresentavano una profonda penetrazione culturale ma un folklore esterno, magari liquidabile con un vestito etnico o una comparsata alle feste che contano.

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