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“Mafie al Nord”, voglia di federalismo

Di Stefano Fantino il . Atti e documenti

Se a Buccinasco non si spara
è solamente perché il controllo totale del territorio non
rende necessario il ricorso alla violenza delle pistole. Inquietante
ancora per molti, questa realtà è l’unica in grado di spiegare la
pervasività delle mafie nel tessuto economico del Nord Italia. Nella
fattispecie la ‘ndrangheta. Ma non solo. Il magistrato Vincenzo Macrì,
venuto a relazionare sul tema “mafie al Nord” a Savignano nel modenese,
non dimentica certo come tutta la provincia che ci ospita sia strettamente
allacciata agli interessi dei Casalesi.

Ma se si vuole dare, con estrema
sintesi, uno schizzo rapido della situazione mafiosa del settentrione,
è quella della ‘ndrangheta e il suo sviluppo settentrionale, la storia
da raccontare. Quella che attualmente, dagli anni ’80 in poi, rappresenta
la mafia più forte nel Nord, quella più diffusa sul territorio e capace
di incunearsi nel tessuto sociale fino ad essere invisibile. Eppure
da più di trentanni le ‘ndrine sono attive nel nord. Un esempio su
tutti, Macrì ne parla, è quello dei sequestri. Negli anni settanta
in Lombardia: importanti uomini rapiti e condotti in Aspromonte. Non
un gesto estemporaneo di pirateria, ma il segno di una struttura di
base sul territorio di rapimento, il Nord, che permette che tutta riesca
in maniera collaudata.

Non sparatorie dunque, ma,
come dice Macrì «reati sintomo» che conducono a scoprire
ciò che apparentemente non c’è o meglio non si vuole vedere. Nonostante
le frequentazioni di Cosa Nostra al nord prima, dei calabresi poi, nonostante
l’omicidio di un giudice, Bruno Caccia, ucciso dalla ‘ndrina dei Belfiore
di Gioiosa perché «con lui non si poteva parlare», ebbene dopo tutto
questo ancora oggi si tende ad avere una reazione, ogni qualvolta si
tenti di parlare di mafia, di due tipi.

La prima è quella del
negazionismo più assoluto e netto: Mafia al nord? Non scherziamo.

La seconda, strettamente collegata,
è quella che vede nel tema un affronto, una criminalizzazione del proprio
territorio, della propria città. 

Gli esempi sono ovunque. Ricordiamo
gli interventi, sia a Genova che a Parma, dei prefetti locali, ogni
qualvolta si parlava delle accertate, da parte delle forze dell’ordine
e della magistratura, presenze mafiosa in zona. Negazionisimo, invenzioni
o forzature. Eppure esponenti seri e irreprensibili dello Stato hanno
da sempre posto in evidenza queste infiltrazioni. Lo stesso dottor Macrì
parlò di Milano come capitale nuova della ‘ndrangheta. Mentre il collega
lombardo, il gip Salvini, asseriva che «il centro maggior di riciclaggio
di soldi dei calabresi è la città di Milano». 

E i provvedimenti che vengono
presi sono troppo lassisti. O decadono presto. Come la commissione di
inchiesta sul tema, varata a Milano, e celermente ingoiata per sparire
definitivamente, complice, puntualizza il referente lombardo di Libera
Lorenzo Frigerio, «anche una opposizione in consiglio comunale capace
di far approvare una modifica, tra le cause del depennamento della commissione
stessa». Non stupisce, dunque, quando Macrì, parla di «un’omerta
acquisibile» per quanto riguarda il Nord Italia. Un modo di agire,
non incluso nel Dna del Sud, ma acquisibile a seconda delle convenienze,
ancora più al Nord dove la storica mancanza della mafia e di un movimento
antimafia rendono meno noti i metodi per ribattere alla forze delle
cosche. 

Che invece sono sempre più 
forti, impegnate a non terrorizzare. A «cercare adesioni piuttosto 
che violenza criminale». Dall’ingresso negli anni ottanta nel mercato
dell’eroina, alla scoperta dell’ affaire
cocaina nei primi anni novanta, la ‘ndrangheta ha avuto modo di entrare
nei grandi giochi economici del Nord a tal punto che i recenti sviluppi
interni, conclude Macrì, «vedono una riorganizzazione della ‘ndrangheta
che tenderebbe a delocalizzare rispetto alla Calabria le forze economiche,
a federalizzarle e renderle autonome rispetto ai locali di riferimento
del Sud». Un pugno forte nello stomaco, una nuova puntualizzazione
che dovrebbe scuotere maggiormente le persone che non si rendono conto
di quanto sta avvenendo. E pensare che il prossimo 21 marzo,  Don
Ciotti lo ha annunciato quasi con certezza, possa svolgersi a Milano
indica anche un cammino che il movimento antimafia intende intraprendere
per sensibilizzare a una presa di coscienza l’intera  nazione.

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