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La mafia cercava di riorganizzarsi con estorsioni e armi

Di Rino Giacalone il . Sicilia

Il “pizzino” è di quelli diventati famosi. Fu trovato nel covo di Montagna dei Cavalli, a Corleone, dove si nascondeva Bernardo Provenzano. Lui ne era il destinatario, il mittente il famigerato Alessio, la firma di Matteo Messina Denaro. Il boss di castelvetrano, che resta ad oggi latitante, ricercato dal 1993, rispondeva a Provenzano che gli aveva chiesto notizie su qualcosa che riguardava Marsala, l’interesse per una azienda, la Vetro Sud: Messina Denaro in quel “pizzino” allargava le braccia, commentava, amaramente che non poteva far nulla, perchè c’erano stati gli arresti che avevano decimato la cosca, e chiosava dicendo che l’azione delle forze dell’ordine apapriva tanto incessante che dopo gli uomini sembrava fossero destinate ad essere portate via anche le sedie. Parlando di Marsala, Messina Denaro diceva che lì erano stati arrestati «i rimpiazzi e pure i rimpiazzi dei rimpiazzi», una frase usata per Il capo mafia belicino rassicurava però il “padrino” Binnu Provenzano, che bisognava solo attendere che qualcuno uscisse dal carcere per riorganizzare ogni cosa. E questo è avvenuto. Non è durato però molto tempo, perchè la notte scorsa una operazione di Polizia e Carabinieri, coordinata dalla Dda di Palermo, un blitz condotto da 100 agenti, «operazione Raia», ha decimato la cosca che si era rimessa in piedi. Sei arresti in tutto.

Il fucile di precisione. C’erano i vecchi capi della mafia marsalese dentro la nuova cupola, e se non c’erano i vecchi capi delle famiglie, c’erano i loro erdei naturali, i figli, e al solito soggetti vicini al mondo imprenditoriale. Avevano ripreso i vecchi affari, le estorsioni, stavano anche costituendo una santabarbara di armi, e questo è uno degli aspetti più inquietanti. La mafia pensava a qualcosa di clamoroso, di eclatante, i mafiosi arrestati sono stati intercettati a parlare di un fucile di precisione che era arrivato a Marsala e che doveva essere ben nascosto ma in un posto dal quale prenderlo non doveva essere un problema e sopratutto quando questo fosse stato necessario, la qualcosa doveva avvenire in maniera rapida. C’era qualcuno da uccidere e per farlo bisognava attendere il momento propizio e l’attimo non poteva essere in alcuna maniera andare perduto.

Gli arrestati. In manette sono finiti Vito Vincenzo Rallo, pluripregiudicato di 49 anni, ritenuto dagli investigatori reggente della cosca marsalese; Francesco Giuseppe Raia, 41 anni, pluripregiudicato; Maurizio Bilardello, 39 anni, pregiudicato; Giuseppe Gaspare De Vita, 36 anni, podologo; Francesco Messina, 49 anni, imprenditore edile; e Dario Cascio, 28 ani pregiudicato.

I compiti di ognuno e gli affari.  Secondo gli investigatori, Rallo pianificava, ma anche realizzava personalmente le estorsioni, «sovrintendendo alla gestione della cassa comune della consorteria». Rallo, inoltre, rappresentava la famiglia nei rapporti con le altre articolazioni territoriali di Cosa nostra. Raia, invece, con «l’ausilio costante» di Bilardello, si occupava di gestire il sistema delle estorsioni, custodiva la cassa comune e suddivideva i realtivi introiti. Secondo le indagini hanno ripreso le redini della cosca di Marsala appena usciti di prigione. In poco tempo sono tornati a fare le estorsioni e si sono riforniti delle armi. Vito Vincenzo Rallo è fratello del capomafia Antonino. Scarcerato a luglio del 2007, Vincenzo Rallo è immediatamente tornato a pianificare e gestire il racket del pizzo. Al suo fianco  Francesco Giuseppe Raia, figlio del boss Gaspare, che sconta, al carcere duro, una condanna all’ergastolo. Uscito di prigione nel giugno del 2007 si è subito messo a disposizione di Rallo per la riscossione delle estorsioni. Il piano di riorganizzazione della cosca aveva avuto la «benedizione» del superlatitante trapanese Matteo Messina Denaro. Grazie alle ntercettazioni gli inquirenti hanno scoperto, ad esempio, i taglieggiamenti subiti da un imprenditore del settore ittico della zona, costretto, dal 2003 al 2008, a versare angenti da cinquemila euro, gli uomini d’onore si occupavano di intermediazione in affari immobiliari, la cosca era intervenuta nell’acquisto di un terreno da adibire a parcheggio. I boss si preoccupavano anche di recuperare refurtiva frutto di colpi messi a segno da piccoli malviventi. Soggetti derubati anzicchè rivolgersi alle forze dell’ordine preferivano rivolgersi ai mafiosi per avere indietro i propri beni.

I contrasti. Dall’inchiesta, infine, è emerso che la designazione di Rallo al vertice della “famiglia”, non era particolarmente gradita al vecchio boss detenuto Gaspare Raia, che aveva messo in guardia il figlio a stare attento al boss in passato sospettato di avere fatto la cresta  sui soldi della cassa della cosca.

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