Mantovano sulle modifiche alla 109/96
Quando comincia a parlare va subito al «cuore» della vicenda mafiosa trapanese. La cita per dire come sia difficile combattere Cosa Nostra quando è solo l’apparato giudiziario ed investigativo a muoversi, e quando spesso ci sono tante connessioni che fanno così mischiare tanto le carte da rendere magari problematico un sequestro, una confisca. Ma la mafia trapanese il sottosegretario all’Interno Alfredo Mantovano, dal tavolo del convegno voluto dalla prefettura e organizzato dal mondo accademico, la indica per evidenziare come ha raggiunto livelli transnazionali. Cita l’arresto in Venezuela
del boss di Salemi Salvatore Miceli, ricorda le sue «gesta» criminali di esperto del narcotraffico. Una mafia potente grazie al traffico di droga e al riciclaggio, che riesce ad accumulare capitali.
È importante fare le confische?
«Certo – risponde – non è solo riappropriazione del cosidetto maltolto, si cancella il simbolo che il bene rappresentava nel territorio, era come il boss si presentava».
Lei oggi parla alle banche
«Siamo qui per fare in modo che un’azienda importante anche per il numero di dipendenti che impiega, oltre 500, sequestrata alla criminalità mafiosa (il gruppo Despar dell’imprenditore Grigoli, sotto processo per mafia, presunto socio del latitante Messina Denaro, ndr) possa evitare la sorte capitata a gran parte di altre imprese, liquidate o fallite.
Siamo qui a dimostrare che non è più vero che la mafia da lavoro e lo Stato lo toglie, ma lo Stato è capace di riappropriarsi di ciò che costituiva fonte di proventi illeciti e di garantire occupazione, facendo rientrare in una ottica di legalità una azienda che prima essendo impegnata nel riciclaggio alterava mercato e comunque l’economia del territorio, non pregiudicando posizioni di lavoro, fornitori, con un ruolo assolutamente lecito». Spesso è accaduto che le banche si irrigidiscono con gli amministratori giudiziari. «È vero, questo è quello che è accaduto, è un dato oggettivo che deve costituire un punto di partenza di un percorso diverso. Oggi (ieri ndr) firmiamo un protocollo che testimonia la buona volontà delle banche, che chiamate attorno ad un tavolo hanno convenuto, merito anche del buon lavoro fatto dalla prefettura di Trapani, che così non va e apponendo questa
firma non si limitano alla condivisione ideale ma danno un contributo importante».
L’importanza del protocollo?
«L’azienda sequestrata potrà rinegoziare ogni conto con banche, fornitori, voglio proprio sperare che questo protocollo rappresenti da Trapani un modello da imitare». Qui a Trapani i boss hanno cercato di riappropriarsi dei beni confiscati, la Calcestruzzi Ericina è un esempio, intercettati
sono stati ascoltati auspicare anche una modifica della legge sulle confische.
Come risponde il Governo?
«La legge verrà modificata ma nel senso più rigoroso, sequestri e confische vanno resi più celeri, più efficaci, più incisivi». La legge sulla confisca dei beni mafiosi non è che non funziona, spesso non è stata fatta funzionare. C’è poi l’aspetto legato agli iter, troppo lunghi. Ed ancora il ruolo degli amministratori giudiziari. Non tutti preparati. A queste ultime due sfaccettature si sta preoccupando il Governo. «Si colpiranno – dice il sottosegretario Mantovano parlando delle nuove norme – le commistioni. Pensi senza avere ancora la nuova legge del tutto operativa in un anno abbiamo aumentato il numero dei beni sequestrati, sono stati 4314, l’equivalente in termini di denaro è pari a oltre 3 miliardi di euro. Una parte di questo denaro verrà investito nelle spese correnti per le forze dell’ordine, abbiamo potuto avviare l’assunzione di 2900 agenti, togliamo ai mafiosi per dare ai poliziotti possiamo dire.
Con la nuova legge incrementeremo le assegnazioni e le destinazioni, faremo un albo degli amministratori giudiziari, pensiamo ai manager che si occupino della gestione dei beni, le auto sequestrate ai mafiosi potranno essere affidate da subito alle forze dell’ordine, va agevolato l’accesso al credito delle imprese, delle società, delle aziende sequestrate».
«La situazione che abbiamo dinanzi è chiara – dice Mantovano – l’arresto non fa paura ai boss, fa paura il sequestro, la confisca dei beni». Poi la «butta» in termini calcistici: «Un capo clan in carcere è come un giocatore che si fa mal al menisco, un paio di giorni in panchina e poi torna in campo. Diversa cosa se si spezzano i legamenti, per un calciatore può essere la fine, per noi i legamenti sono i beni, li dobbiamo togliere per stremare il mafioso».
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