Appalti sospetti e informazioni strappate
Uno strano lunedì a L’Aquila. Di tensione, sospetti, caldo e
improvvisi scrolloni di pioggia. Apparentemente, a un occhio non
attento, non sta accedendo nulla. Non è così. La bomba è arrivata di
mattina, lanciata dal quotidiano La Repubblica,
che ha pubblicato, un po’ tardivamente a dire il vero, l’allarme su
possibili infiltrazioni della criminalità negli appalti della
ricostruzione.
Il servizio, “sparato” in prima pagina, riprendeva alla lettera due articoli
pubblicati la scorsa settimana da Terra. Quelli relativi ai non troppo
chiari rapporti pregressi di una delle ditte impegnate nel piano Case,
la Di Marco srl di Carsoli il cui titolare era stato
socio in due imprese con alcuni dei personaggi implicati nella vicenda
“Alba D’Oro” di Tagliacozzo e nel riciclo del cosiddetto “tesoro
Ciancimino”.
Insomma, Di Marco non era entrato nell’inchiesta
giudiziaria degli scorsi mesi, ma le sue relazioni imprenditoriali
avevano fatto scattare qualche campanello d’allarme. Soprattutto per il
tipo di appalti, ovvero quelli relativi alla ricostruzione dopo il
terremoto del 6 aprile. La nostra inchiesta aveva già provocato l’interessamento degli organi della polizia
giudiziaria e la notizia rilanciata in prima pagina dal quotidiano
nazionale ha accesso i riflettori e svegliato dall’assopimento i media nazionali.
Ma non solo. Da un paio di giorni a Bazzano il nome di Di Marco è
scomparso dai cartelli che danno le informazioni sui cantieri (quelli
obbligatori per legge con riportate ditte, date, direttori dei cantieri
ecc.) sostituito da un altro relativo non a tutto l’appalto ma solo
alla seconda parte di questi. Secondo la versione ufficiale, questa
sostituzione è motivata dal fatto che il cantiere di Bazzano, quello
più avanzato del piano Case, non prevede più “il movimento terra”, su cui Di Marco era impegnato.
Altre strane trasformazioni nella cartellonistica, proprio in
coincidenza dell’uscita dei servizi giornalistici, continuano però a
non convincere. Dove? In un altro cantiere del piano Case, ovviamente.
A Cese De Preturo, dove esiste il secondo lotto più avanzato (l’unico,
insieme a Bazzano, ben visibile dai Vip del G8
e ovviamente in fase di accelerazione nella realizzazione). Qui un
cartello c’era. Ma rimane solo un tabellone con ancora un brandello di
carta in cui si intravede il simbolo della Repubblica italiana. Il
cartello con l’elenco ditte non c’è più. E anche la vigilanza privata
non ne sa nulla. «Quale cartello?», domandano. «Quello obbligatorio per
legge», rispondiamo. L’atteggiamento non è, inizialmente, né gentile né
collaborativo, ma dopo un breve braccio di ferro e qualche non troppo
velata minaccia di chiamare le forze dell’ordine per sapere che fine
hanno fatto i suddetti cartelli (obbligatori, ripetiamolo), alla fine
due responsabili del cantiere ci raggiungono per darci una notizia
sorprendente: «I cartelloni sono arrivati solo oggi. Solo questa
mattina la Protezione civile ce li ha consegnati».
Dopo qualche
insistenza ce li fanno vedere ma ci impediscono sia di fotografarli sia
di annotarci le ditte indicate. «E quelli di prima?», chiediamo. «Non
ne sappiamo niente, noi ci occupiamo solo della seconda fase».
Anzi,
uno dei due, arriva a ipotizzare che i cartelloni non ci siano mai
stati. Ma rimangono quel supporto all’ingresso e quel brandello di
cartone plastificato rimasti a testimoniare ben altro e a scatenare
quantomeno il sospetto che qualcuno, dopo le notizie stampa
di questi giorni, abbia tagliato la testa al toro decidendo di non
permettere ad altri curiosi di fare “le pulci” alle imprese mandatarie
del piano Case.
Uno strappo e via, tanto siamo in emergenza. Strano lunedì, ieri. Quello in cui il prefetto convoca una conferenza stampa
non tanto per smentire le inchieste giornalistiche, quanto per
criticarne aspramente i toni. Nessuna smentita, dicevamo: gli
accertamenti si stanno facendo e soprattutto non sono solo quelli
relativi alla Di Marco assegnatario solo del 6,5 per cento dell’appalto
totale.
E poi un attacco alla stampa che fa allarmismo, che è imprecisa, che «con questo tipo di scandalismo può colpire anche aziende sane e tanti posti di lavoro». Vecchio discorso, quello di ieri pomeriggio a L’Aquila.
Già sentito tante, troppe volte, quando si parla di grandi appalti nel nostro Paese.
da Terra, 30 giugno 2009
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