Beni confiscati, una realtà ignorata dal mondo dell’informazione
E’ una notizia se viene arrestato
un capoclan a Mondragone, come è accaduto circa un mese fa per Giovanni
Casciarino ma se nello stesso comune si confisca un bene alla camorra
o si inaugurerà un presidio di Libera forse la stampa non se ne occuperà
più di tanto o forse non se ne occuperà proprio. Di questo si è discusso,
in occasione della terza ed ultima tappa del Festival dell’Impegno
Civile, nell’auditorium della Parrocchia di S. Nicola, dove giornalisti
e società civile si sono confrontati sul tema: “beni confiscati e
informazione”.
Lo scenario disegnato dagli stessi
addetti hai lavori è più che altro una presa di coscienza, e quindi
in parte un “mea culpa” della categoria, sulle gravissime carenze
dell’informazione circa il tema dei beni confiscati. Parlare di ville,
masserie, appartamenti, terre che sono sottratte ai boss e restituiti
ai cittadini non è solo un notizia di giornale ma rappresenta il segnale
forte di una inversione di tendenza che deve raggiungere quante più
persone possibili, dalla realtà locale a quella nazionale perché si
comprenda davvero quello che accade su queste terre. «Qui si gioca
una partita importante sui beni confiscati – sottolinea Raffaele Sardo,
giornalista di “La Repubblica” – perché la vera rivoluzione culturale
è informare che i beni della camorra da luoghi di morte sono diventati
luoghi di vita dei quali la gente se ne riappropria».
L’informazione, quindi, ha un ruolo
fondamentale nella lotta alla criminalità organizzata, non soltanto
quando accadano fatti di sangue che destano l’attenzione di tutti,
ma anche quando su un terreno, sede di decisioni criminali o di delitti
tra i più ignobili, nasce una cooperativa che produrrà la cosiddetta
“mozzarella giusta” o quando su queste terre, baciate dal sole,
giovani volontari lavorano per trasformare un bene della camorra in
un bene dello Stato. «Sono questi i messaggi che fanno male alla camorra
– dichiara Alberto Spampinato, giornalista dell’Ansa – e ce ne
sono altri con i quali alcuni giornalisti fanno un favore alla camorra
quando si soffermano a raccontare solo la potenza di un clan o l’efferatezza
di un delitto».
E’ necessario anche informare che
le cooperative che lavorano sui terreni confiscati, in Sicilia come
in Puglia ma anche in Campania, nonostante gli attentati e le intimidazioni
da parte dei mafiosi continuano a produrre i “sapori ed i saperi della
legalità” e dunque, «raccontare quello che sta cambiano – dice
Toni Mira, giornalista di “Avvenire” – credo sia fondamentale,
perché se non raccontiamo questo non ha senso fare informazione».
Parlare di beni confiscati significa
anche rivelare , confisca dopo confisca, ogni singolo passaggio di una
rivolta culturale; non parlarne significa contribuire ad una logica
di silenzio molto favorevole alle mafie.
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