Golem, i protagonisti della mafia belicina
Tutti a sostegno
del boss latitante Matteo Messina Denaro. La “testa dell’acqua”
come viene chiamato, oppure “olio”, o ancora “Diabolik”. Rispettato
quasi come se fosse un santo, il papa della mafia trapanese quella che
dopo avere ucciso, compiuto stragi, è diventata la mafia delle imprese,
essa stessa impresa.
I più fedeli
del boss Leonardo “Nanai” Bonafede e Franco Luppino, “elementi
apicali della “famiglia” mafiosa di Campobello di Mazara.
A costoro, tra le altre cose, era stato demandato il delicatissimo ruolo
di veicolare notizie tra MESSINA DENARO Matteo ed i vertici assoluti
della “cosa nostra” palermitana, tra cui, da ultimo, LO PICCOLO
Salvatore e Sandro.
Le indagini
hanno svelato l’esistenza di un’organizzazione ben strutturata,
basata su una fitta trama di relazioni personali nella quale la natura
dei rapporti e degli interessi, nonché la frequenza dei contatti ed
il contenuto stesso delle conversazioni captate hanno attestato che
ciascun personaggio ricopriva un preciso ruolo e godeva, rispetto agli
altri, di conseguenti poteri, carisma e prestigio. “E’ stato, così,
possibile ricostruire non soltanto uno spaccato delle frequentazioni
– dicono gli investigatori – ma anche un’articolata rete di relazioni
interpersonali, caratterizzate da stabilità e costanza, che è possibile
ricondurre principalmente all’aggregato mafioso di stanza nel territorio
di Campobello di Mazara, roccaforte storica di MESSINA DENARO Matteo,
così come lo era stata del padre, morto da latitante, MESSINA DENARO
Francesco”.
A suggellare
ogni buona intesa un pranzo “riservatissimo”, avvenuto, nella primavera
del 2007, in una villa della campagna campobellese, posta a disposizione
da INDELICATO Franco e DELL’AQUILA Salvatore, e, poi, dall’ospitalità
che il LUPPINO Franco ha fornito, nell’estate dello stesso anno, ad
alcuni stretti parenti del LO PICCOLO, nella località balneare di Tre
Fontane. Contatti, propedeutici all’incontro che, il 5 novembre 2007,
LUPPINO avrebbe dovuto avere con i LO PICCOLO in località Giardinello,
e non avvenuto a causa del blitz della Polizia di Stato che portò alla
cattura degli allora latitanti Lo Piccolo. Luppino accortisi della
Polizia davanti la villa dei boss, riuscì in fuggire in tempo.
Un altro particolare
dell’operazione Golem è la scoperta del “falsario” personale
di Messina Denaro. Il romano Domenico Nardo. A lui Messina Denaro si
affidò per la falsificazione dei suoi documenti d’identità. Il Nardo,
infatti, sebbene condannato per aver favorito, nel 1996, la latitanza
del killer campobellese URSO Raffaele, grazie al fatto di risiedere
a Roma ha, negli anni, proseguito nell’attività di sostegno riservatissimo
alle attività criminali della famiglia mafiosa di Campobello e, soprattutto,
ai latitanti di quell’area. NARDO non solo sarebbe stato il “tipografo”
di MESSINA DENARO Matteo, ma abbia anche fornito documenti falsi ad
altri soggetti, tra cui l’altro killer campobellese SPEZIA Vincenzo
che, nel 1995, proprio grazie ad un passaporto falso fornito dal NARDO,
si era potuto rifugiare in Venezuela. Nardo nell’estate del 2008,
aveva partecipato ad un vero e proprio “summit” mafioso con
il boss BONAFEDE Leonardo, nel corso del quale erano stati affrontati
diversi argomenti – tra cui alcuni “favori” da realizzare nell’interesse
di MESSINA DENARO Matteo – più volte rimandato nel tentativo, rilevatosi
vano, di evitare che le Forze di Polizia ne potessero avere contezza.
L’uomo
d’onore riservato. Oltre al supporto della “famiglia”
mafiosa campobellese, le indagini hanno pure evidenziato come Matteo
Messina denaro si sarebbe avvalso di un riservato esponente delle
“famiglia” mafiosa di Trapani, COPPOLA Girolamo, (indicato
in codice nelle missive come MIMMO TP) funzionario presso l’Assessorato
agricoltura della Regione Siciliana e fratello del pregiudicato COPPOLA
Filippo.
I rapporti
con i boss detenuti.. In un pizzino Messina Denaro parlando dei
boss detenuti così scrive:: “… io non andrò
mai via di mia volontà, ho un codice d’onore da rispettare. Lo devo
a Papà e lo devo ai miei principi,
lo devo a tanti amici che sono rinchiusi e che hanno ancora bisogno,
lo devo a me stesso per tutto quello in cui ho creduto e per tutto quello
che sono stato. Ad onore del vero se avessi voluto già
me ne sarei andato da tempo, ne avevo la possibilità, solo che non
ho mai tenuto in considerazione quest’ipotesi perché
non fa parte di me ciò; io starò
nella mia terra fino a quando il destino lo vorrà
e sarò sempre disponibile per i miei amici,
è il mio modo tacito di dire a loro che non hanno sbagliato a credere
in me. …”.
E l’operazione
i contati li ha accertati. E come si è smantellata la rete esterna
di postini e complici del latitante, gli sono stati tolti i riferimenti
dentro alcune celle. In 15 Istituti Penitenziari della Lombardia, del
Piemonte, del Friuli Venezia Giulia, del Lazio, dell’Umbria, dell’Abruzzo,
della Campania, della Calabria e della Sicilia, sono state eseguite
37 perquisizioni nei confronti di altrettanti detenuti ritenuti essere
strettamente legati a MESSINA DENARO. Tra costoro figurano: Mariano
Agate, Filippo Guttadauro, cognato del latitante, Vincenzo Virga, Vito
Mazzara.
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