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Conoscete Spampinato?

Di Federico Orlando il . L'analisi

Gli etruschi e gli egizi avrebbero tratto, da una
serie di piccoli fatti accaduti in questi giorni, cattivi presagi per la
legge contro le intercettazioni di polizia giudiziaria, votata dalle quadrate
legioni di Berlusconi e accodamento di frangette Pd e Udc.
Muore Vittorio Nisticò, il direttore de L’Ora, che a Palermo, come un piccolo
Paese sera, faceva la guerra alla mafia nei primi decenni della repubblica.
Nell’Italia dei valori la nuova eurodeputata Sonia Alfano, figlia di
giornalista ucciso dalla mafia, eletta sia nelle Isole che nel Nord Ovest,
viene fatta optare per il Nord Ovest, e così non va a Strasburgo il
giornalista Carlo Vulpio, anche lui candidato in quel collegio, e già a suo
tempo esonerato dal Corriere della Sera dal seguire le inchieste del
procuratore De Magistris.
Esce da Ponte alle Grazie (Firenze) un libro dal titolo criptico, C’erano bei
cani ma molto seri, scritto dal quirinalista dell’Ansa Alberto Spampinato. Il
fratello maggiore di Alberto, Giovanni, che aveva 25 anni ed era cronista de
L’Ora da Ragusa, fu ucciso nel ’72 a rivoltellate dal figlio del presidente del tribunale di Ragusa,
per aver “scritto troppo”: diciamo «insabbiamenti, depistagli, contrabbando,
trame nere, sentenze di favore», come ricorda Giovanni nel suo libro.
Con tutte queste cose, i “bei cani ma molto seri” non ci azzeccano: finché
non si scopre che è un ricordo degli anni felici, quando i fratelli ragazzini
e poi giovani mangiavano semi di girasole nelle campagne ragusane, sentivano
l’odore del latte sprizzato dagli uberi delle mucche, giocavano coi bei cani
seri dell’azienda, finché uno fu legato al guinzaglio, guaiva, ululava,
infine l’ammazzarono perché aveva la rabbia. L’anno dopo fu ammazzato Giovanni
(sembra di leggere Sciascia) perché aveva la rabbia anche lui, i suoi
articoli mordevano ai polpacci la città “babba” (bonacciona, così i
palermitani definivano la Sicilia orientale), tutti bravi professionisti,
medici, avvocati, magistrati, agrari, padroni di miniere, mercanti,
funzionari, guardiani: mafiosi anche loro, come quelli della Sicilia
occidentale, ma tutti con la cravatta e con la lupara chiusa nell’armadio, e
tanto “Dio patria famiglia”, come si dice anche oggi fra libertine e
assatanati di governo.
Allora i giudici non disponevano di intercettazioni per scoprire reati, e
nemmeno aspiravano ad averle, perché non sempre aspiravano a scoprire e
punire reati. Erano colonne della borghesia latifondista e gli interessava
che l’ordine regnasse fra i contadini. I loro contadini. Gli bastavano le
soffiate dei confidenti, e l’ergastolo sempre pronto per gli
imputati-contadini, perché essere contadini poveri era di per sé condizione
soggettiva di colpevolezza.
Poi vennero gli anni Sessanta-Settanta, la rivoluzione metà luci metà ombre,
nacquero i magistrati democratici, in procura si dissolsero le gerarchie dove
i capi impedivano le inchieste ai sostituti, o le revocavano, o le chiudevano
in archivio, secondo i desideri del governo e gli interessi delle mafie:
sicule, romane, padane. Democratici o non, in vent’anni i nuovi magistrati e
qualche idealista di antica scuola (Borrelli, Maddalena) distrussero le
cupole di Tangentopoli e della Mafia, due vampiri che però si riproducono e,
a loro volta, distruggono i giudici: fino a togliergli le intercettazioni e
riportarli alle soffiate dei confidenti.
Che è come riportare i medici dalla tac alle sanguisughe, dice Gian Carlo
Caselli, che definisce le intercettazioni “radiografie giudiziarie”. Oggi
Giovanni Spampinato avrebbe 62 anni, e s’accorgerebbe che la vita, rischiata
mille volte nel nostro mestiere di cronisti di frontiera, fa un salto
indietro di quarant’anni, ci riporta a quando avevamo i bei cani molto seri e
i semi di girasole, e i confidenti di polizia per i giudici, e il prezzemolo
delle mammane per le donne. Sempre in nome di “Dio patria famiglia”. E del
governo.
Quando uccisero Giovanni, a L’Ora si interrogavano ancora su Mauro De Mauro,
sparito due anni prima in qualche colata di cemento armato della mafia. Dieci
prima era stato ucciso a Termini Imerese un altro giovanissimo e brillante
cronista de L’Ora, Cosimo Cristina. Quand’ebbe la notizia di Giovanni, il
direttore Nisticò scrisse in piedi un editoriale sul bancone della tipografia,
la storia, autentica semplice ed epica, della sua squadra di matti come lui:
“Ucciso perché cercava la verità a prezzo di sangue”. Trentacinque anni dopo,
uno di loro, Paolo Di Stefano, scrisse sul Corriere della Sera che Giovanni
aveva cercato, da cronista, fino in fondo, la causa di quella che sarebbe
stata la sua morte; causa ancor oggi ignota (o quasi).
La giustizia in terra di mafia funzionava così: giudici e poliziotti che
morivano indagando, giudici e poliziotti che ingrassavano insabbiando.
Diventerà così tutta l’Italia? La risposta è tragica, è sì: magistratura e
polizia giudiziaria disarmate di intercettazioni, mafia e altra delinquenza
tranquille che nessun “grande orecchio” ascolterà. Non ascolterà gli affari
criminali, le truffe immonde, le voglie lascive del potere. Tutto tornerà
arcana imperii. Com’era in principio.
La mafia piduista e ordinaria sta anche al governo, e ci stanno i fascisti
“untorelli o criminali” che Giovanni Spampinato descriveva in uno dei suoi
articoli per L’Ora, riprodotto nel libro del fratello. Peccato che il libro
non sia uscito qualche giorno prima: si poteva mandarlo in omaggio a tutti i
320 deputati di maggioranza e franchi tiratori, che hanno votato la
soppressione delle intercettazioni e il disarmo dello stato. Un bell’elenco
di nomi. Come quello dei 640 morti di mafia, letti qualche anno fa sulla
piazza del Campidoglio dall’associazione Libera di don Ciotti, che fece
sobbalzare Alberto quando sentì “Giovanni Spampinato” e lo indusse a scrivere
la storia. Oggi
a piazza del Campidoglio bivaccano fascisti e conciona Gheddafi.

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