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Giornalisti ed editori
fronte comune contro ddl intercettazioni

Di Roberto Natale* il . L'analisi

E’ impressionante l’elenco delle vicende delle quali non potremo
più scrivere, parlare e sapere per tempo, se diventerà legge il testo
votato dalla Camera. Crack Parmalat, scalate bancarie, clinica Santa
Rita, scandali del calcio: solo per citare i titoli più importanti,
e per smentire la gigantesca mistificazione che il governo ha dovuto
mettere in atto per arrivare all’approvazione del disegno di legge
Alfano. Vogliono far intendere che finalmente verrà tutelata meglio
la riservatezza degli individui, che oggi sarebbe messa a rischio da
giornalisti irresistibilmente portati a spiare dal buco della serratura
nelle camere da letto. Ma le storie che non potremo più raccontare
sono storie pubbliche, altro che pettegolezzi privati: tanto pubbliche
e rilevanti che, ad esempio, la clinica Santa Rita è stata costretta
a cambiar nome dopo che la vergogna dei trapianti eseguiti solo per
far soldi era diventata scandalo collettivo grazie alla pubblicazione
delle intercettazioni.

C’è una prova di quanto strumentale sia l’invocazione
della privacy: è stata rigettata dalla maggioranza la proposta – appoggiata
anche da sindacato e Ordine dei giornalisti – di una “udienza filtro”
in cui accusa e difesa si accordano per escludere dalle intercettazioni
le parti che riguardino vicende solo private e persone estranee alle
indagini. Su quelle è bene che rimanga il segreto. Ma perché tutti
gli altri testi – una volta che siano noti alle parti – non possono
essere oggetto del lavoro dei giornalisti? Invece potremo dare notizia
degli atti dell’inchiesta “solo per riassunto” (illogico e ridicolo:
chi decide quanto debba essere stringata la sintesi?). Delle intercettazioni,
invece, nessuna pubblicazione fino al processo. Se si sgarra, carcere
per i giornalisti fino a tre anni e multe per gli editori fino a mezzo
milione di euro. E’ l’evidente ritorsione per trascrizioni di conversazioni
che hanno creato forti imbarazzi all’attuale Presidente del Consiglio,
e non solo. Devono pagarla i giornalisti, e devono pagarla i magistrati.
E’ stato lo stesso Berlusconi, del resto, a ripetere qualche giorno
come la pensi sulle due categorie: “se vuoi fare del male fai il pm,
il delinquente o il giornalista”.

Ma non è affatto
sicuro che questa vendetta, nonostante i numeri parlamentari, possa
essere consumata. Giornalisti ed editori stanno facendo fronte comune.
Se necessario – e sarà necessario – l’informazione italiana ricorrerà
allo sciopero come fece due anni fa contro il ddl Mastella, che era
appena meno pericoloso. Faremo ricorso alla Corte europea di Strasburgo;
stanno fiorendo proposte di disobbedienza civile; si potrà tentare
la strada della Corte Costituzionale. E soprattutto c’è una protesta
che sta coinvolgendo i cittadini: ai quali risulta via via più chiaro
che il bavaglio a noi giornalisti è soprattutto un gigantesco sequestro
di conoscenza per loro. La partita è aperta, e possiamo giocarcela
con tutta la forza che si ha quando si sta dalla parte dell’interesse
di tutti. Non è davvero una battaglia di corporazione.

* Presidente Federazione nazionale stampa italiana

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