La scomparsa di Vittorio Nisticò, l’uomo che odiava le veline
Vittorio Nisticò ci mancherà, come ci mancano Pier Paolo Pasolini,
Leonardo Sciascia, Indro Montanelli e tanti altri irriducibili bastian
contrari. Senza di loro si vive lo stesso, ma la nostra strada si fa
più buia, come quando mancano i lampioni.
Vittorio aveva quasi 90
anni. Da tempo aveva smesso di illuminare la pubblica via. Ma ancora un
paio d’anni fa, a chi aveva la fortuna di avere la sua confidenza,
dispensava lezioni di acume e di giornalismo, visioni geniali, e
sfornava formidabili progetti di libri, di riviste, di studi da fare…
Continuava a insegnarci, come aveva fatto per tutta la vita, che non
bisogna fidarsi delle apparenze; che non bisogna farsi incantare dal
particolare; che le vere notizie non crescono sugli alberi, non sono
contenute nei comunicati stampa o nelle “veline” (oggi ribattezzate
“retroscena”) prodighe di indiscrezioni. le notizie che si trovano sono
spesso ingannevoli. Quelle vere stanno ben nascoste, e trovarle costa
lacrime e sangue, rischi, inimicizie, fatica e sudore. E non c’è
pericolo di non notarle, perché brillano come diamanti, illuminano
l’oscurità e onorano chi le trova. Rispetto ad esse, non c’è smentita
che tenga.
Negli anni d’oro 1955-1975 in cui fu direttore
(esigente, autoritario) del mitico giornale L’Ora, Nisticò riuscì a
trovarne parecchi di quei diamanti. Dal suo ponte di comando verificava
ciò che trovavano le sue squadre di cronisti, che sudavano, faticavano,
imprecavano, rischiavano (tre ci rimisero la pelle), si facevano in
quattro per compiacerlo, si scontravano fra loro per spirito di
competizione.
A questo proposito, mi è capitato di dire che Nisticò
aveva popolato di galli il suo pollaio. Di quei tempi lontani Nisticò
conservava intatto l’orgoglio, insieme al dolore per le sconfitte e le
perdite subite. Negli ultimi anni il suo carattere aveva perso ogni
asprezza. Adesso si limitava a protestare bonariamente quando noi
vecchi discepoli lo chiamavamo “leggendario direttore”. ‘’Non
esageriamo”, diceva con il disincanto dei suoi anni migliori, che era
rimasto intatto. “Potevi pensarci prima di entrare nella leggenda!”,
gli dissi un giorno, e lui malvolentieri si rassegnò.
Vittorio ci
mancherà. Per fortuna prima di andarsene per sempre, ci ha lasciato un
grande tesoro: i suoi ricordi, racchiusi in un libro di aneddoti e
ricordi (“L’Ora dei ricordi”, Sellerio) che gli costò tre anni di
viaggio a ritroso nel tempo.
Quelle pagine dicono quanto i tempi siano
cambiati, e non sempre in meglio, per il giornalismo. Ormai
l’esperienza dell’Ora e la figura di Nisticò sono sempre più spesso
mitizzata. Meriterebbero invece una riflessione più puntuale e attenta,
per capire perché oggi che il mondo è interconnesso, che disponiamo di
un aeroporto ogni cento chilometri, di computer e uffici stampa sempre
più potenti non si può più fare quel giornalismo curioso e
impertinente, interamente dalla parte dei cittadini, che era il
giornalismo d’inchiesta.
*consigliere della FNSI, quirinalista dell’Ansa, ha lavorato
all’Ora dal 1973 al 1991, negli ultimi anni come capo della redazione
romana
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