NEWS

Criminalità organizzata tra negligenze e silenzi

Di Anna Foti il . Calabria

Nominato commissario
della Stazione Unica Appaltante (Sua) dalla Giunta Loiero, Salvatore
Boemi, già pretore e magistrato presso la Procura di Palmi, già presidente
della Corte di Assise di Reggio Calabria e poi procuratore aggiunto
della Direzione Distrettuale Antimafia di Reggio Calabria, dal 1993
al 2001 anche con incarichi direttivi, adesso si occuperà di monitorare
la gestione degli appalti pubblici in Calabria. La funzione di amministrazione
attiva che si appresta a svolgere presso la “Sua” con riferimento
alle procedure di gara e alle assegnazioni di servizi e forniture ad
alta probabilità di infiltrazione mafiosa, che secondo il CSM sarebbe
ostativa ad un suo futuro rientro in magistratura, atterrà alla garanzia
di regolarità delle medesime procedure, dunque al cuore della questione.
Un cuore già piu’ volte diagnosticato malato per via delle endemiche
infiltrazioni della criminalità organizzata. Su Salvatore Boemi, che
ha lasciato gli uffici della Procura reggina lo scorso novembre, è
infatti ricaduta la scelta del governatore calabrese, a seguito di una
procedura di selezione che non ha inizialmente soddisfatto i requisiti
di altissima professionalità, competenze ed esperienza necessari per
la delicata materia degli appalti, oltre che per la gestione di tale
ambito in una regione complessa come la Calabria.  

Emblema della
lotta alla ‘Ndrangheta, Salvatore Boemi viene indicato da Agazio Loiero
per ricoprire questo delicato ruolo. L’organismo, il primo a livello
regionale in Italia che preserverà la pubblica amministrazione da infiltrazioni
mafiose che da tempo la attanagliano. Nell’attesa dell’avvio dei
lavori, Salvatore Boemi ha lasciato il palazzo di Giustizia reggino
non senza amarezze, come emerge dal racconto di alcuni aspetti del suo
quarantennale impegno contro la criminalità organizzata. In particolare
l’ex procuratore ha evidenziato di aver lasciato il suo incarico dopo
avere chiesto per anni un rinnovamento delle strutture, dopo avere combattuto
una mafia non più agricola ma imprenditoriale, non più locale ma internazionale
e dopo avere con stupore scoperto che in Germania sembrano non avere
interesse a liberarsi della scomoda presenza di sacche criminali italiane.
Ciò è dimostrato dalla negata esecuzione di un’ordinanza di sequestro
di beni illecitamente accumulati, emessa nel 2008 nell’ambito della
indagine relativa alla strage di Duinsburg, fondamentale per l’affermazione
del carattere di transnazionalità del crimine organizzato calabrese.
Tale ordinanza, in assenza di normativa nel sistema penale nazionale
tedesco, non vi ha  trovato applicazione con l’amara conseguenza
(irresponsabile o inconsapevole!) di avere “protetto” proprietà
illecitamente accumulate. Tale aspetto si profila ancora più grave
dal momento che, nonostante la Convenzione sul Crimine Transnazionale
sia stata sottoscritta, non si è provveduto ad adeguare le legislazioni
penali nazionali per un efficace contrasto del crimine.  

Il racconto
di Salvatore Boemi parla, dunque, di cose fatte e di cosa da fare. Parla
della storia del nostro paese e del nostro territorio, mentre descrive
il volto della ‘ndrangheta. 

Come definirebbe
la criminalità organizzata?

Giudiziariamente
le definirei un’organizzazione caratterizzata da segretezza e da una
presenza sul territorio con un preciso ordinamento criminale interno.
Nel corso di oltre un secolo essa si è insediata si è rafforzata in
alcune parti del nostro Meridione e da qui, nella sua evoluzione storica,
si è spostata sempre più verso zone di maggiore ricchezza. Un’organizzazione
che partendo dal Meridione ha risalito la penisola.

La ritiene connotata
ideologicamente o politicamente?

Attraverso
le dichiarazioni ormai uniformi di collaboratori di giustizia, posso
affermare con certezza che non c’è ideologia. Tale organizzazione
si è nel corso degli anni posizionata accanto a figure politiche molto
forti. La mafia sta con il vincente. E’ stata con la Destra, con la
Sinistra con il Centro; lo dicono i processi per continuità mafiosa
che hanno riguardato esponenti di tutto il nostro arco istituzionale.

Non è antistato;
non è parastato ma è intra – stato

Sarebbe riduttivo
definirlo un antistato come il terrorismo che vorrebbe imporre con le
stragi un progetto alternativo allo stato di diritto. La mafia non si
pone così. L’organizzazione
criminale di stampo mafioso, infatti, è un intra – stato che si infiltra,
si insinua, corrompe, corrode, si aggancia, si associa comunque, cerca
connivenze continuità e si fa forte della forza altrui.  

E’ un potere virtuale
o reale?

E’ un potere
assolutamente reale su un territorio perché la criminalità organizzata
è tradizione e modernità; è passato e futuro. Essa afferma la propria
autorità su un territorio fornendo dei contributi alternativi laddove
lo Stato non riesce ad essere presente. Dunque è una realtà che partendo
dal controllo criminale sul territorio, attraverso il suo aspetto paramilitare,
si è trasformata in una azienda che produce e induce chiunque voglia
produrre a divenire connivente o tollerante. Una realtà economica potente
in grado di soggiogare l’economia sana del paese. Il commercio e l’impresa
in Calabria oggi sono mafiosi e superano il momento giudiziario anche
in ragione dei limiti dei nostri sistemi penalistici procedurali.  

Il controllo sulle
coscienze favorisce l’accrescimento di questo potere economico?

Io credo
che il cittadino meridionale abbia vissuto il suo rapporto con la mafia
in modo molto diverso negli ultimi 50 anni. Oggi si registra una sorta
di assoggettamento, avvilimento accettazione che negli anni Settanta
non c’era. E’ crollata la fiducia nelle istituzioni.  

Come definirebbe
l’atteggiamento dello Stato nei confronti del fenomeno della mafie?
Ci sono responsabilità concrete nei confronti della crescita del fenomeno
della criminalità organizzata?

Credo che
lo Stato sia stato assente sulle problematiche in Calabria perché preso
ogni volta da altre emergenze, pur reali. Dall’immediato dopoguerra
ad oggi, ha soprasseduto su un contrasto serio, continuo e più pressante
al fenomeno mafioso. Negli anni ’50 in Italia la democrazia era debole,
il rischio di sovvertimento dello Stato di Diritto del paese concreto
e attuale. La nostra migliore intelligence era impiegata da Roma in
su, non certo in Calabria e in Sicilia. Successivamente dagli anni ’70
in poi  ci si concentrò sul contrasto allo stragismo terrorista.
Ciò fino agli anni ‘80. Ed è in questo periodo che si registra
un grave disinteresse con riferimento al fenomeno della criminalità
organizzata, da un punto di vista politico-legislativo e giudiziario.
Non la stessa stasi caratterizza, invece, gli investimenti che hanno
determinato il passaggio da una mafia agricola a quella imprenditrice.
La criminalità organizzata capisce che può guadagnare molto di più
nell’impresa che nell’agricoltura. Ma proprio in quella fase delicata
il fenomeno criminale e mafioso viene ignorato dai palazzi del potere.
Infine negli anni ’80, quando il terrorismo giudiziariamente battuto,
giudiziario e non politico-legislativo è il primo tentativo di sconfiggere
la mafia con alcuni strumenti già utilizzati per la lotta al terrorismo.
Sono i tempi del Maxi processo di Palermo. Sono i tempi dei giudici
Giovanni Falcone e Paolo Borsellino. Giovanni Falcone e Paolo Borsellino
saranno uccisi da Cosa Nostra a distanza di meno di due mesi nel 1992. 

Dopo gli anni ‘80
finiscono le emergenze e la criminalità organizzata si impone. Quindi
lo Stato da negligente diventa tollerante o connivente?

Io credo si
sia trattato di ignoranza profonda del fenomeno da parte del politico
settentrionale e di acquiescenza e connivenza necessaria dei politici
meridionali.

Basta dire
che l’unico concreto progetto antimafia è stato scritto non da un
politico ma da un giudice, Giovanni Falcone. Sono i tempi in cui nascono
la procura nazionale antimafia e le procure distrettuali antimafia con
magistrati specializzati nell’aspetto requirenti. Da allora mai si
è completato quel progetto con l’istituzione di quei tribunali distrettuali
che in tempo reale e attraverso strumenti processuali ad hoc avrebbero
dovuto giudicare con una corsia preferenziale i processi per criminalità
di stampo mafioso. Il processo di mafia è strettamente legato al tempo.

A ciò si aggiungano
le annose segnalazione di carenza di personale. Non credo di essere
mai riuscito a fare capire al nostro mondo politico che le presenze
giudiziarie su un territorio devono essere determinate sia dal numero
degli utenti della giustizia sia dalla valenza e dalla presenza preoccupante
della criminalità organizzata. Inoltre la criminalità organizzata
non si combatte solo dopo la commissione del reato ma va anticipata.
Innumerevoli volte ho denunciato la necessità di svecchiare gli istituti
di prevenzione presenti nel nostro ordinamento. Essi si presentano come
arretrati e inefficaci. Ci affidiamo ad istituti obsoleti e ormai poco
incisivi come quello della sorveglianza speciale di soggetti ritenuti
pericolosi. Non si può chiedere soltanto di rientrare al tramonto senza
pretendere, nell’era della globalizzazione, di monitorare tutti contatti
potenziali e le relazioni con gli altri paesi. E’ una misura antistorica
che testimonia la trascuratezza della politica legislativa nazionale
sul tema della prevenzione.

Inoltre noi
oggi non abbiamo la base di un’armonizzazione dei sistemi penali e
processuali in Europa. Nessuno sottopone a Strasburgo questo problema.
La criminalità organizzata Italiana, da oltre venti anni, investe in
Europa e non più in Italia. Germania, Spagna e Francia. Noi magistrati
siamo costretti a sentirci dire che i provvedimenti italiani non possono
trovare applicazione dei loro ordinamenti. Perché non ne discutono
a Strasburgo? Mi dovrebbero spiegare perché il crimine transnazionale,
ossia il crimine commesso in più stati contemporaneamente (es.traffico
di droga), è punito dalla Convenzione ma gli stessi paesi sottoscrittori
poi non trovano il tempo di introdurre nel loro ordinamento delle norme
adeguate e coerenti con tale impegno. In Germania ad esempio non si
persegue l’associazione mafiosa che in essa investe. Nessuno ne discute
e tutto ciò è grave.

In particolare
c’è un provvedimento fantasma del 10 marzo 2008 che non è stato
eseguito in Germania e con il quale si disponeva il sequestro di beni
appartenenti a componenti dell’associazione di stampo mafioso italiana
e la cui transnazionalità era stata provata dalla strage di Duisburg
del 2007. La Procura tedesca ha risposto che il loro ordinamento non
gli consente di eseguire questo provvedimento. La cosa più grave è
il silenzio politico attorno a questa impossibilità della magistratura
di perseguire il crimine italiano in Europa. 

Trackback dal tuo sito.

Premio Morrione

Premio Morrione Finanzia la realizzazione di progetti di video inchieste su temi di cronaca nazionale e internazionale. Si rivolge a giovani giornalisti, free lance, studenti e volontari dell’informazione.

leggi

LaViaLibera

logo Un nuovo progetto editoriale e un bimestrale di Libera e Gruppo Abele, LaViaLibera eredita l'esperienza del mensile Narcomafie, fondato nel 1993 dopo le stragi di Capaci e via D'Amelio.

Vai

Articolo 21

Articolo 21: giornalisti, giuristi, economisti che si propongono di promuovere il principio della libertà di manifestazione del pensiero (oggetto dell’Articolo 21 della Costituzione italiana da cui il nome).

Vai

I link