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Minoranze per resistere alle mafie: un modo coraggioso di fare il proprio dovere

Di Gaetano Liardo il . Campania

Un dibattito su mafie e informazione a Mondragone, Caserta, organizzato dal Partito democratico per fare un punto sulle responsabilità dei giornalisti, sula carenza di notizie ma anche sull’assenza della politica. Ospiti Raffaele Sardo, giornalista casertano de La Republica e autore del libro inchiesta La Bestia; Pino Maniaci conduttore di Telejato e recentemente attaccato dall’ordine siciliano dei giornalisti, oltre che da Cosa Nostra di Partinico; Roberto Morrione, presidente di Libera Informazione, e Roberto Natale, presidente della Federazione Nazionale della Stampa. Un dibattito interessante e ricco di spunti, soprattutto per la politica, padrona di casa, richiamata con forza ad assumersi le proprie responsabilità.

Raffaele Sardo è netto: «i politici di destra e di sinistra nel casertano sono più impegnati a scappare dalle ordinanze della Dda di Napoli che a lavorare per il proprio territorio» . Giù pesante anche Morrione «quest’anno ricorre il diciassettessimo anniversario delle stragi di Capaci e di via D’Amelio, ci sono stati molti discorsi commemorativi però non c’è stato chi ha ritenuto opportuno riaprire i lati oscuri delle stragi. Oppure chi si è domandato perché nell’ultima campagna elettorale Dell’Utri e Berlusconi abbiano definito Mangano un eroe». Natale lancia l’allarme sui bavagli della politica sull’informazione, citando l’attacco fatto dal premier ai giornalisti qualche giorno fa: «chi vuol fare del male fa il pubblico ministero, il delinquente o il giornalista». Frasi indegne le definisce Natale, aggiungendo che «non si può tollerare che le professioni chiamate ad esercitare un controllo di legalità nel nostro paese siano equiparate ai criminali». La politica cerca di mettere un bavaglio all’informazione, censurando le notizie che possono danneggiarle, attaccando giornali e giornalisti, ma tra questi c’è chi trova conveniente stare al gioco, auto-censurandosi pur di trovare una sponda nel politico di turno, per non avere “problemi” e per vivere quietamente la propria vita. «Ho collezionato 77 querele da politici e 200 da una distilleria», Pino Maniaci non riesce a contenere la sua irritazione, soprattutto da quando l’ordine siciliano dei giornalisti ha dichiarato, poi tornando sui propri passi, che si sarebbe costituito parte civile nel processo contro il conduttore di Telejato per esercizio abusivo della professione. «Paradossi» li definisce Maniaci, che tuttavia sollevano molti interrogativi: «se un giornalista minacciato diventa un eroe è un problema, un problema per tutti quei giornalisti che non fano nulla. Telejato non fa altro che denunciare le mafie, cosa che dovrebbero fare tutti i siciliani».

Vale la pena di ricordare la definizione del giornalista fatta in “Fortapasc”, il film di Risi sulla vita di Giancarlo Siani: esistono due tipologie di giornalisti, i giornalisti-impiegati e i giornalisti-giornalisti. Questi ultimi sono quelli che fanno seriamente il proprio dovere pur sapendo che con inchieste, domande, denuncie infastidiscono quei poteri che prosperano nel silenzio dei media. «La forza della parola dei giornalisti deve essere osteggiata con minacce più o meno velate», afferma Raffaele Sardo, parlando del fastidio che l’informazione seria e documentata porta ai clan, e di come questi reagiscono duramente contro chi si impiccia dei loro affari. Come è successo nel processo Spartacus, nel corso del quale gli avvocati dei boss hanno attaccato violentemente Roberto Saviano, il pm Raffaele Cantone e la giornalista Rosaria Capacchione perché con il loro lavoro hanno “illuminato” gli affari dei clan nel casertano. Il tutto nel totale disinteresse dei media nazionali e locali. Perché? Perché ci sono notizie e notizie, notizie che vengono seguite con plotoni di inviati, altre che vengono ignorate. «I plastici di Cogne li conosciamo, quelli di Castelvolturno o di Partinico no», denuncia Natale, «cos’è la notizia? Come ci possiamo definire cronisti se di “certe cose” non parliamo? Perché alcuni processi sono iperseguiti mentre altri (Spartacus) non sono notiziabili»? Si assiste sempre più a «silenzi omertosi dei media» dichiara Morrione. Silenzi frutto di pressioni politiche, di minacce mafiose, ma anche di connivenze e collusioni di alcuni giornalisti. Serve una “scorta mediatica” per tutti quei cronisti che fanno il loro lavoro nonostante le difficoltà e gli impedimenti, per impedire che le notizie scomode “muoiano” senza aver mai veramente informato. Giornalisti come Pino Maniaci, Lirio Abbate, Rosaria Capacchione e i tanti che sfidano aprtamente poteri criminali, economici, politici e spesso la stessa casta dei giornalisti, non possono essere lasciati soli. Questo è un punto non secondario, ne va della tenuta della nostra democrazia.

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