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Le parole di Chicca e Maddalena Rostagno

Di Rino Giacalone il . Piemonte, Sicilia

«È stato un turbine di emozioni, svariate e molteplici, un grande giorno anche perchè la data era particolare, nel giorno in cui si ricordavano a Palermo, Giovanni Falcone, la lotta contro la mafia, il giudice Borsellino, presente il presidente della Repubblica Napolitano, mi ha fatto piacere che un pezzetto di questo 23 maggio sia stato “regalato” al mio morto».

Maddalena  Rostagno ha 36 anni, il 26 settembre del 1988 aveva 15 anni, quel giorno gli uccisero suo padre, Mauro Rostagno, l’ex sessantottino, leader di Lotta Continua. Il 23 maggio, sabato scorso sono stati arrestati mandante ed esecutore del delitto, il capo mafia Vincenzo Virga e il killer “di fiducia” Vito Mazzara.

Mauro Rostagno, poco più che quarantenne anni quando morì, in tanti lo indicano come un uomo dalle molte vite. La mafia lo fermò alla sua maniera, quella sera di 21 anni addietro a Lenzi, a pochi metri dal cancello della comunità Saman di Lenzi, frazione ai piedi di Erice. Quella Comunità era, assieme all’impegno giornalistico ad Rtc,  la «vita» di quegli anni, si occupava del recupero dei tossicodipendenti, assieme alla sua compagna, Chicca Roveri, e al “guru” Francesco Cardella, che qualche tempo dopo il delitto, quando le indagini presero una “certa” piega, uscirono fuori le prove di truffe e peculati, e il sospetto che lui col delitto poteva entrarci qualcosa, preferì fare le valigie e andare via dall’Italia.

Chicca conobbe il carcere, accusata di avere avuto un ruolo nella morte del suo compagno, favoreggiamento, come Clitennestra: «A Trapani c’era chi diceva che era stata la mafia ad uccidere mio padre – ricorda Maddalena – lo hanno scritto sui muri, ma le indagini ci dicevano, e ci hanno detto anche dopo, in tempi recenti, dovevano essere per forza condotte a 360 gradi, certi faldoni sono stati riempiti con storie di corna e soldi, cercavo giustizia e invece ci siamo trovati feriti, e però come era giusto tutto si è sfaldato».

La mafia. Nel 1988 quasi si negava l’esistenza in città. «L’ultimo editoriale di mio padre in tv – ricorda ancora la figlia Maddalena – fu dedicato all’uccisione del giudice Saetta (il giorno prima del delitto Rostagno, il giudice, con suo figlio, fu ucciso a Caltanissetta), fu un attacco diretto quell’intervento di mio padre in tv, l’ennesimo alla mafia. Il giorno dopo Mauro fu ucciso, su tutti i muri di Trapani fu scritto che era stata la mafia, ma qualcuno ha voluto indagare per forza a 360 gradi. Oggi finalmente Mauro ha diritto ad un processo che può essere celebrato, per questo ringrazio chi ha lavorato al caso, ma sopratutto la città di Trapani che con una petizione da 10 mila firme ha chiesto che le indagini non si fermassero. Quella petizione per me era occasione di emozione, oggi invece dimostra che un potere, piccolo, i cittadini lo detengono, grazie alla gente comune qualcosa si può fare».

Che ricordo ha di suo padre? Lei all’epoca aveva 15 anni.

«Abbiamo avuto poco tempo per parlare, ma di una cosa sono certa, che voleva vivere a Trapani, che niente l’avrebbe mosso da qui».

E oggi che dice?

«Ho da tempo imparato a conoscere le cose della giustizi, ci sono tempi e regole da seguire se si vogliono ottenere risultati e questo mi pare hanno fatto il pm Ingroia e il Capo della Mobile Linares. E poi non voglio criticare il lavoro di nessun giudice, non voglio passare per una dalla parte di Berlusconi. C’è stato un nuovo lavoro della Polizia, sono state usate nuove tecnologie, bene, ora per mio padre ci potrà essere il processo».

Il «presunto» killer, Vito Mazzara, intercettato in carcere (dove sconta ergastoli) durante questa ultima fase delle indagini, è stato sentito prendersela con i trapanesi per quella petizione, lamentò, parlando  con la moglie durante un colloquio, che «il magistrato stava archiviando e l’opinione pubblica si è messa di traverso», e i giudici sulla spinta hanno fatto quella che lui ha ripetuto essere «una truffa» quando sabato gli è stata notificata l’ordinanza del gip Maria Pino. L’ispettore che gli ha noitificato l’ordinanza in carcere a Biella l’ha subito zittito, “non è una triffa ed una cosa seria, le consiglio di leggerla bene”.

«Debbo dire grazie ai trapanesi – ripete Maddalena – pensavo che quella petizione, 10 mila firme per dire no all’archiviazione, fosse una cosa di colore, invece il popolo ha il suo potere».

Al di là della petizione (inviata al presidente Napolitano) che risale a un anno e mezzo addietro, le indagini erano comunque ripartite. L’inchiesta non ha “padrini” come qualcuno a Trapani si è messo pure a dire, è stata sostenuta dai cittadini, condotta dai poliziotti, ed è tornata a scoprire i “padrini” della mafia che sebbene in carcere pensano ancora di potere continuare a comandare. L’indagine è ripartita per il merito anche di un «brigadiere» della Squadra Mobile di esperienza: passato alle «scorte» dall’investigativa, non ha perduto il «vizio» di leggere le carte, e leggendo il rapporto sul delitto Rostagno (andato presto nell’ archivio della Mobile nel 1988 perchè ad occuparsene furono i carabinieri) di colpo si illuminò: «Dutturi – disse al capo della Mobile Linares del quale è diventato “angelo custode” – quì c’è la firma di Mazzara».

Il killer è finito con l’essere incastrato per la sua «serialità», tanti delitti «fotocopia», Rostagno compreso. Ma il «brigadiere» non si fermò, aprì il faldone e guardò dentro: «Dutturi – ancora – ma qui la perizia balistica non c’è». Ne esisteva una dell’epoca, ma non c’era satta più nessun’altra comparazione con altri delitti, che pure ci furono dopo quel 1988. In quel momento Linares decise di ripartire dove si era fermato un suo predecessore, Rino Germanà (oggi questore a Forlì, e nel 92 una delle vittime designate delle stragi di Riina e Messina Denaro, sfuggito ad un agguato a Mazara).

La notizia  finì sul giornale e Vito Mazzara in carcere la lesse. Ad un colloquio coi familiari dide un ordine preciso, andare a controllare dentro ad un «buco» segreto, nel garage di casa, lo indicò preciso, c’era da spostare uno «zoccolo» del pavimento, dietro il quale si apriva un foro. «Tu metti la mano dentro – disse alla figlia – non dovrebbe esserci niente, ma se c’è qualcosa prendi e butta via tutto». Prima dei familairi arrivarono i poliziotti a controllare, non c’era niente, Mazzara ricordava bene, forse però lì dentro c’erano state le armi usate per uccidere anche Rostagno, ma quel segreto svelato è diventato uno dei punti di «accusa».

Gli altri capisaldi dell’ordinanza sono costituiti dalla perizia balistica e dai racconti dei pentiti. Rostagno dava fastidio alla mafia. «Fu ucciso – dice il capo della Mobile Linares – perchè costituiva una mina vagante, il periodo del delitto era un periodo nel quale grande era lo strapotere dei capi mafia, che erano tutti liberi, costretti da lì a qualche tempo a darsi latitanti, ma liberi erano anche i killer. Le parole dette da Rostagno giornalmente suonavamo alla mafia, e ai politici complici dei boss come una sfida. Nel 1988 si creò un cocktail micidiale, questo ha fatto si che la mafia finisse con il deliberare quel delitto».

E però l’ipotesi del delitto di mafia durò poche ore possiamo dire. Poi presero piede altre ipotesi: «Cosa Nostra trapanese ha una peculiarità – prosegue Linares – è un movimento criminale capace di essere movimento di pensiero, nel senso che tende a controllare la società, risultato è quello che all’epoca certamente esisteva una società solidale con Cosa Nostra, fortemente permeata, oggi l’esistenza accertata della cosidetta “zona grigia”, della mafia imprenditoriale, scaturiscono da quella realtà. Se questa realtà oggi c’è, a maggior ragione c’era nel 1988, con la differenza rispetto ad ora allora quella mafia a disposizione aveva un esercito di killer».

E oggi come agisce la mafia a Trapani?

«I metodi sono aggiornati ma il fine è lo stesso di sempre, esercitare forte influenza sugli apparati politici, istituzionali, imprenditoriali per potere accumulare ricchezze e consenso sociale. Oggi la mafia non è alle corde come si dice, e allora biosgna stare più attenti, c’è un clima di falso buonismo, tanti parlano di antimafia e fanno da sirene ammaliatrici, una seduzione la loro per avere approcci con chi si occupa di indagini».

«Oggi Mauro – dice Chicca Roveri – sarebbe ancora a Trapani, con una bella capigliatura bianca, così lo immagino, a combattere la mafia. Credeva in quello che faceva, forse avrebbe messo a fare anche altro, ma la lotta alla mafia l’avrebbe continuata, diceva che la mafia era il contrario della libertà».

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