11. Riciclaggio e infiltrazioni
Quando le mafie non si vedono, non esistono. Eppure ci sono, riciclano il denaro attraverso le operazioni finanziarie, lo investono in immobili, nel circuito dell’economia legale, lo fanno fruttare per accumulare nuovi capitali. Quella del riciclaggio è la vera frontiera della lotta alla criminalità organizzata. Secondo una stima del pm Antonio Ingroia, almeno il 30% dell’economia italiana ha a che fare, direttamente o indirettamente, con capitali di provenienza mafiosa. E ciò è ancora più vero nel Centro e nel Nord Italia, zone più ricche, dove è più semplice fare affari lontano dai riflettori. Non è lecito pensare che l’Abruzzo sia esente.
Le tante inchieste che si sono succedute negli anni confermano. Fino agli ultimi risvolti giudiziari, che hanno messo un punto fermo sulla presenza del cosiddetto tesoro di Ciancimino nella Marsica.Il bancario delle mafie. Il riciclaggio del denaro sporco passa dalle banche. Anche quelle abruzzesi. Nel 1989 la procura di Palmi scopre una rete che ripuliva i capitali delle mafie tra Calabria, Abruzzo, Campania e Sicilia. Fra gli arrestati c’è il responsabile dell’ufficio fidi della filiale di Roseto degli Abruzzi della Cassa di Risparmio della provincia di Teramo. Lì finivano i soldi di cosa nostra, camorra e ‘ndrangheta che, già prima della caduta del Muro di Berlino, si muovevano in felice accordo.Il caso Fabrizi. Nel ’91 a Pescara viene assassinato l’avvocato Fabrizio Fabrizi. È una vicenda torbida, che si lega a manovre per la realizzazione di alcuni centri commerciali tra Chieti e Pescara.
Dietro le quinte Fabrizi – avvocato rampante con tre studi avviati a Pescara, Chieti e Roma – tirava la volata al cognato con la sua società Magnolia per la costituzione di un megacentro a San Giovanni Teatino (Chieti). In corsa anche altre società, tra le quali quella facente capo agli imprenditori Aldo Fedele (che è amministratore delegato del Pescara calcio) e Mario Mammarella. Ma Fabrizi è anche consulente del comune, che su suo suggerimento scarta la proposta della cordata locale. Il centro commerciale, su decisione della Regione Abruzzo, sorge però a Città Sant’Angelo, in provincia di Pescara, con procedure che richiameranno in seguito l’attenzione degli inquirenti. Di lì a due mesi l’omicidio.Il cemento delle Madonie.
Nel ’95 scoppia lo scandalo Ic, che rivela ancora una volta l’esistenza di infiltrazioni mafiose tra Pescara e Teramo. L’impresa edile Ic viene rilevata in parte dagli imprenditori siciliani Andrea Randazzo e Michele Capomaccio, legati alla famiglia mafiosa di Cefalù e delle Madonie. Un’impresa che ha in corso appalti pubblici a Pescara (caserma dei Vigili del Fuoco, teatro D’ Annunzio), e nel teramano (Acquedotto del Ruzzo). Gli affari vengono portati avanti in stile mafioso: somme incassate per lo stato di avanzamento di lavori non fatti, estorsioni e truffe a fornitori e clienti. Altro proprietario della società è Alfonso Recinella, arrestato nel dicembre ’94 insieme a dieci amministratori di Città Sant’Angelo nell’inchiesta per la realizzazione del centro commerciale.Il carrozzone. La sanità rappresenta uno dei capitoli di spesa maggiori in tutte le regioni. Un buco nero mangiasoldi, che alimenta tangenti e corruzione. E’ drammatica, anche se stabilizzata, la situazione della Calabria. Ma anche nel Centro Italia si spende e si spande. È enorme il debito accumulato verso fornitori tra il 2001 e il 2005: sono 21,1 miliardi di euro, attribuibili a sei regioni. Oltre alla Campania e alla Sicilia, ci sono il Lazio, il Molise, la Liguria e l’Abruzzo.
Droga e truffe targati ‘ndrangheta. Investiva e riciclava i soldi della droga in aziende di vendite on line. Che truffavano i loro clienti per poi fallire. Dietro l’affare il faccendiere Marco Del Vento, prestanome del boss Biagio Crisafulli di Quarto Oggiaro, detto “Dentino”. Un uomo potente, referente di tante famiglie di ‘ndrangheta trapiantate in Lombardia. Tanti, tantissimi soldi da pulire e investire. Il meccanismo si inceppa in Abruzzo, quando partono le indagini successive al fallimento della Adb Center Works di Pescara, specializzata in vendite on-line, che lascia truffati migliaia di clienti e fornitori. L’operazione Non ti vedo arriva fino al cuore dell’impero, a Marco Del Vento e all’abruzzese Graziano Antonacci, referenti di Dentino. Un gradino più in basso Antonio Di Brigida, titolare dell’azienda in bancarotta e di altre aziende a Roma e a Milano, fuggito all’estero dopo il crack. Aziende finanziate dal luogotenente di Crisafulli, riparato ben presto in Spagna, a Palma di Maiorca, dove è stato catturato. La cellula mafiosa. Arriva nel ’94, in fuga dalla faida. Giovanni Spera, figlio del boss Benedetto di Belmonte Mezzagno, si era stabilito in provincia di L’Aquila, prima di finire in cella nel ‘99. Nel 2008 arrivano le confische: terreni, conti correnti nella Banca Popolare della Marsica. È il suo il 25esimo bene confiscato in Abruzzo, il 15esimo nella sola Marsica. Il tesoro dei Ciancimino.
Ma è la vicenda che gira attorno alla società Alba d’oro srl a dimostrare la pericolosa penetrazione della mafia nella Marsica e in Abruzzo. La presenza mafiosa e la sottovalutazione, a tutti i livelli. Nel marzo del 2009 vengono arrestati Nino Zangari, amministratore delegato della società, già assessore del comune di Tagliacozzo, e Augusto e Achille Ricci. L’accusa è di avere riciclato i capitali dei Ciancimino di Palermo. La lente degli investigatori si è soffermata sul complesso turistico “La Contea” di Tagliacozzo, costruito con soldi provenienti dalla società Sirco spa, con sede a Palermo, controllata da Gianni Lapis, ritenuto il prestanome dei Ciancimino. La Sirco è controllante del 50% delle quote della Alba d’oro. Un’ottima inchiesta, se non fosse che arriva con parecchio ritardo.Allarmi e minacce. Si deve a Libera Marsica, agli organi di informazione Site.it e Primadanoi.it l’avvio di un’inchiesta seria sul tesoro abruzzese dei Ciancimino. Un’intuizione giornalistica: l’inchiesta della Dda di Palermo sui fondi dell’ex sindaco di Palermo rivela una traccia, l’esistenza di una società con sede nella Marsica. I pm siciliani seguono altre piste e tralasciano lo spunto. Non fanno lo stesso i cronisti locali, e poi l’Espresso e Left. Si scopre l’esistenza della Alba d’oro, circola il nome di Gianni Lapis. Nel marzo 2007 Francesco Forgione alza la tensione, parla degli appetiti mafiosi nella Marsica. Il pastore valdese Giuseppe La Pietra, referente di Libera Marsica, fa accuse pubbliche. E viene minacciato. Due lettere anonime, alla vigilia dell’arrivo di don Luigi Ciotti, il fondatore di Libera, in visita a Tagliacozzo.
Si parla di beni confiscati, di infiltrazioni mafiose, di riciclaggio. La solidarietà c’è e si va avanti.L’affondo. L’inchiesta dal basso continua. E in ottobre arriva fino alle Camere, con l’interrogazione del senatore del Prc Giuseppe Di Lello, ripresa poi alla Camera. Si chiedono lumi al governo sulla Alba d’oro, sui capitali di Ciancimino, su Gianni Lapis, sulla struttura turistica di Tagliacozzo. C’è scritto tutto. Anche una critica all’operato della Dda di L’Aquila, che sembra ignorare la vasta rete di società in odore di mafia, nella Marsica e in Abruzzo. Si indaga da Palermo e non da L’Aquila, dicono. A sostenere l’affondo è anche la deputata del centrosinistra Maria Grazia Laganà, che paventa la possibilità di una visita della commissione antimafia, di cui fa parte. Una visita che chiede anche Pio Rapagnà. Memore della relazione Smuraglia del ’93, l’ex parlamentare abruzzese accusa la politica di avere sottovalutato i continui allarmi. Una richiesta rinnovata poche settimane dopo, quando La Pietra viene nuovamente intimidito. La solidarietà è forte. Il blitz. Qualcosa si muove, finalmente, e a dicembre la finanza sequestra le carte relative al com
plesso turistico di Tagliacozzo. Parte l’inchiesta giudiziaria. Site dedica nel dicembre 2007 un numero monografico alle infiltrazioni mafiose nella Marsica. Seguiranno altri approfondimenti. Passa il 2008 e arrivano gli arresti. Nel frattempo l’inchiesta dal basso prosegue: si parla di diverse autorizzazioni, appalti, concessioni alle società riconducibili agli arrestati. Nel settore dello smaltimento dei rifiuti e non solo. Nella Marsica e non solo. Si vedrà chi arriverà per primo.Corruzione ciclica. Tangentopoli segna per l’Abruzzo un picco, è l’intera classe politico-amministrativa a finire sotto accusa. Quattrocento indagati e 200 arrestati, dall’inchiesta sui fondi Pop alle indagini secondarie ma capillari. Il sistema va in crisi. Poi accade qualcosa: dal ’96 le statistiche sui reati di concussione, corruzione, peculato e abuso d’ufficio subiscono un crollo verticale (dati dell’Alto commissariato anticorruzione). Che succede? La classe dirigente è cambiata oppure non si indaga più? Dieci anni dopo ritorna ad imporsi la questione morale, con le devastanti inchieste Ciclone, Fira e poi quelle sul sistema Del Turco e sul sistema D’Alfonso. Inchieste trasversali, soprattutto per quel che riguarda la sanità. Dal centrodestra al centrosinistra, stesso andazzo. Anche i dati rilevano la tendenza: in quando a pubblici dipendenti denunciati, l’Abruzzo è nella zona viola insieme a Lazio e Campania, la seconda fascia di rischio dopo la zona rossa alla quale appartengono Calabria, Sicilia, Lombardia e Puglia. La questione morale è ancora aperta, un’occasione per spezzare il ciclo della corruzione.
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