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Tempi di crisi. Non per le mafie

Di Gaetano Liardo il . Internazionale

La crisi economica, sviluppatasi in tutta la sua virulenza sul finire del 2008, è nata dal fallimento di un sistema finanziario totalmente deregolamentato. La gravità della crisi risulta dalle ripercussioni di transazioni finanziarie speculative sull’economia reale, danneggiandola pesantemente. “Hedge funds”, “private equity”, “investment bank”, “merchant bank”, e tutta una variante di operazioni finanziarie deregolamentate, hanno causato il collasso del sistema finanziario con conseguenze durissime sul sistema economico. Il passaggio da una crisi “virtuale”, che ha intaccato la finanza, ad una crisi “reale”, che ha colpito l’economia, è evidenziato dal fallimento di grandi gruppi bancari, dalla mancanza di liquidità e dal successivo tracollo di grandi gruppi industriali, con ripercussioni sull’occupazione e sulla stabilità sociale. Nel tentativo di bloccare l’emorragia, i vari governi stanno cercando soluzioni rapide e il più possibile “indolori”. L’ultimo G20, svoltosi i primi di aprile a Londra, ha deciso di attaccare frontalmente i paradisi fiscali e i centri finanziari offshore, nel tentativo di intercettare l’enorme flusso di denaro che “evade” le tassazioni dei singoli paesi. Alcuni governi, tra cui il nostro, stanno studiando una normativa per il rientro dei capitali in patria, il cosiddetto scudo fiscale. Misure, queste, che puntano ad intercettare soldi liquidi da iniettare nel sistema economico. Tuttavia esistono delle considerazioni che devono essere affrontate nel merito per evitare conseguenze spaventosamente rovinose. Nei paradisi fiscali e nei centri finanziari off-shore si calcola che transita il 50% dei flussi finanziari globali, una cifra pari a 10.000 miliardi di dollari, di cui due terzi derivanti dall’evasione fiscale, il 31% da traffici illeciti, ed il restante dalla corruzione. In questi centri, dunque, si trovano soldi “sporchi”, talmente sporchi che si può parlare di inversione dell’onere della prova per i capitali che vi sono depositati: per definizione possono essere definiti frutto di illeciti fino a prova contraria. Inoltre, va ricordato che evasione fiscale e riciclaggio di denaro sporco sono due fenomeni intrinsecamente connessi. Riciclaggio ed evasione, infatti, nascondono sia la fonte che l’ammontare di profitti illecitamente acquisiti. Quindi, se diamo per pacifica la natura criminale dei capitali presenti nei paradisi fiscali e nei centri off-shore, perché provenienti da attività di riciclaggio, evasione e corruzione, sarebbe auspicabile un’azione di controllo, sanzione e sequestro da parte delle autorità giudiziarie. L’abolizione dei paradisi fiscali, e la conseguente scomparsa delle stringenti norme sul segreto bancario, renderebbero tracciabili i profitti illeciti e sanzionabili i capitali evasi al fisco. L’ipotesi dello scudo fiscale, già attuato in Italia dal secondo governo Berlusconi, renderebbe irrintracciabile la provenienza illecita dei capitali evasi, favorendone il rientro per il tramite di agevolazioni fiscali allettanti. Lo scudo rischierebbe, in questo modo, di far rientrare in Italia un’enorme quantità di denaro di provenienza ignota capace di influenzare considerevoli settori dell’economia del nostro paese. In base ai dati del Ministero dell’economia si calcola che il patrimonio espatriato dall’Italia sia di 600 miliardi di euro, e che con lo scudo fiscale possa rientrare una somma pari a 60 miliardi di euro da tassare con un’aliquota del 7 o 8%, con entrate per l’erario statale tra i 2 ed i 4 miliardi di euro. Quindi si riverserebbe sul mercato un flusso di 56 o 58 miliardi di euro frutto, lo ricordiamo, di attività di evasione fiscale, riciclaggio di denaro sporco e corruzione. Si aprirebbe la porta all’invasione dell’economia legale da parte dei gruppi criminali, primi fra tutti le mafie. Non era proprio questa la preoccupazione del Capo dello Stato nel suo monito sulla possibilità delle mafie di approfittare della crisi per rafforzarsi? Non va in questa direzione l’allarme lanciato da Sos Impresa nel rapporto sulle mani della criminalità sulle imprese?

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