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Fondi, il Viminale chiama, Palazzo Chigi tace

Di Valeria Meta il . Lazio

Dall’imbarazzo al ridicolo. È questa
la piega presa dalla vicenda dello scioglimento del consiglio comunale
di Fondi dopo l’interrogazione parlamentare che sul finire della scorsa
settimana ha visto il Ministro dell’Interno Roberto Maroni dichiarare
la propria impotenza di fronte all’immobilismo del governo. La richiesta
di chiarimento in merito agli orientamenti di Palazzo Chigi rispetto
al comune pontino era stata avanzata dall’onorevole Amici, che ha
ricordato come non più tardi del 2 aprile lo stesso Maroni, nell’audizione
davanti alla Commisione antimafia, avesse affermato di aver inoltrato
la richiesta di scioglimento per infiltrazione mafiosa del comune di
Fondi.

Un atto doveroso se si considerano gli elementi acquisiti dalla
commissione d’accesso appositamente istituita dal Prefetto di Latina
Bruno Frattasi, la cui relazione era giunta al Viminale l’8 settembre
scorso, nonché il rapporto della Direzione nazionale antimafia e le
diverse informative redatte dai Carabinieri. Come mai il governo e il
Presidente del Consiglio non adottano un provvedimento previsto dal
Testo unico degli enti locali dietro esplicita richiesta del Ministro
dell’interno? Ebbene, la risposta di Maroni è stata disarmante. Non
soltanto il numero uno del Viminale ha sottolineato come in seguito
alla ricezione del rapporto di Frattasi, il Ministero abbia inviato
a Fondi una seconda commisione d’accesso deputata ad approfondire
la questione e che le conclusioni cui essa è pervenuta convergano sulla
stessa linea della precedente, confermando le indicazioni del Prefetto,
ma ha ribadito la sua ferma convinzione che il governo debba pronunciarsi
per lo scioglimento. Il provvedimento è stato discusso nell’ultima
sessione del Consiglio dei ministri, ma alcuni membri dell’esecutivo
hanno chiesto di poter approfondire la questione consultando documenti
che l’Interno ha prontamente messo loro a disposizione. “Per quanto
mi riguarda – ha dichiarato Maroni – non ci sono ostacoli a che
in una delle prossime sedute il Consiglio dei ministri torni ad affrontare
la questione e decida in un senso o nell’altro, per quel che mi concerne
naturalmente nel senso dello scioglimento.”

Siamo di fronte a un ministro
della Repubblica che dinanzi al Parlamento  afferma di aver fatto
tutto il possibile affinché venga adottato un provvedimento che due
commissioni d’accesso hanno ritenuto necessario, ma ammette la propria
impotenza a fronte della mancata risposta dell’esecutivo. Grave? Molto
di più. Oltre che indice della scarsa coerenza di un governo che invoca
la legalità per giustificare una politica dell’immigrazione di dubbio
rispetto dei diritti umani e poi non interviene per bonificare l’amministrazione
di un comune in cui il grado di pervasività delle organizzazioni mafiose
è elevatissmo, la gestione del caso Fondi dimostra come la vicenda
interessi un livello politico superiore.

La posta in gioco è alta,
nessuno dei soggetti in campo vuole rischiare di perdere: in ballo non
c’è solo un giro d’affari di milioni e milioni che ruota intorno
all’edilizia e al mercato ortifrutticolo fondano, ma una tappa decisiva
nella strategia di accerchiamento che dovrebbe consentire alla Quinta
Mafia – i cui referenti politici si collocano evidentemente ai massimi
livelli – di mettere le mani su Roma. Il silenzio di Palazzo Chigi
alle reiterate sollecitazioni del Viminale è uno schiaffo alla magistratura,
dalla Dda alla Direzione Nazionale, al Ministero dell’interno e agli
organi di stampa che per mesi hanno portato la questione all’attenzione
dell’opinione pubblica. Ridicolo, appunto. Ma non per questo meno
doloroso.

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