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9 MAGGIO 1978: Br e Cosa Nostra mettono in ginocchio l’Italia

Di Anna Foti il . Sicilia



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La Spagna diventa una democrazia dopo
40 anni di regime dittatoriale franchista e in cielo si avvista
Caronte, il primo satellite di Plutone. Città del Vaticano e il
mondo cattolico assistono alla morte di papa Paolo VI e Papa Giovanni
Paolo I, dopo solo 33 giorni di Pontificato, e accolgono papa
Giovanni Paolo II che reggerà il Pontificato improntato al dialogo
con le altre religioni fino al 2005. Siamo nel 1978, anno in cui
Sandro Pertini, partigiano della Resistenza, viene eletto presidente
della Repubblica; anno in cui viene depenalizzato l’aborto e in cui
si vieta la costruzione e la riapertura dei manicomi. Un anno
cominciato per l’Italia con l’ennesima crisi di governo e con il
nuovo incarico conferito a Giulio Andreotti per la formazione del
nuovo esecutivo. Ma, a distanza di più di trent’anni, ciò che
oggi balza alla memoria di quell’anno è il sequestro e
l’assassinio di Aldo Moro, uomo politico, statista di arguto
spessore, uno dei padri della Costituzione, cinque volte Presidente
del Consiglio dei ministri e presidente del partito della Democrazia
Cristiana. Il maggiore partito in Italia e in Sicilia negli anni
Cinquanta-Sessanta con cui entrò in fruttuosi affari Cosa Nostra. La
stessa organizzazione criminale di stampo mafioso che firma un altro
delitto quello stesso anno, addirittura lo stesso giorno, il 9
maggio: quello di Peppino Impastato, giornalista palermitano e
militante nella Nuova Sinistra, giovane che si ribellava alla sua
stessa famiglia affiliata alle cosche del luogo per intraprendere
un’attività politica-culturale antimafiosa. Fondatore di Radio
Aut, radio libera e autofinanziata, attraverso la quale denunciava i
delitti e gli affari dei mafiosi di Cinisi e Terrasini, egli era
candidato, nei giorni dell’esecuzione mafiosa, nella lista di
Democrazia Proletaria in lizza per il Consiglio Comunale di Cinisi.
All’indomani dell’omicidio qualcuno, non potendo concedere che si
parlasse di Cosa Nostra e prima di ricorrere all’idea del
suicidio, prova invano a disegnare l’ipotesi dell’atto
terroristico anche sui binari di Cinisi. Devono trascorrere anni
prima dell’ammissione della matrice mafiosa.

Dunque Brigate Rosse e Cosa Nostra le
due piaghe che hanno manifestato la loro massima diffusione nel
nostro paese guidando la mano dei barbari omicidi. La strategia della
tensione, avviata con i fatti di piazza Fontana nel dicembre 1969,
gli anni di piombo e l’attacco al cuore dello Stato sferrato
proprio in quegli anni, nel caso Moro. La mano atroce e spietata
della Mafia negli anni della cosiddetta seconda guerra, quella tra le
famiglie affiliate ai Bontate, ai Badalamenti e ai Buscetta e i
Corleonesi, nell’attentato mortale a Peppino Impastato. Le prime
smantellate negli anni Ottanta, non senza mietere negli anni che
seguirono altre vittime, e adesso riapparse per dichiarare guerra
alla globalizzazione intesa come la degenerazione della politica
economico – finanziaria statunitense e per incitare alla lotta
sindacale dura contro il precariato. L’altra, la mafia, ancora
infestante, con peculiarità differenti nella varie regioni del Sud
Italia e con modalità operative evolutesi nel tempo e infiltratesi
nel sistema politico ed economico del paese.

Un destino amaro e arbitrariamente
strappato lega, quindi, le due personalità di Aldo Moro e Peppino
Impastato segnate rispettivamente da capacità di mediazione e
lungimiranza politica e da impegno per il riscatto sociale e la
ribellione all’omertà mafiosa.

A Roma, la tragedia comincia a
consumarsi il 16 marzo in via Fani quando, al momento del sequestro,
perdono la vita, massacrati dai brigatisti, gli agenti della scorta
dell’onorevole Moro, Oreste Leopardi, Raffaele Jozzino, Francesco
Zizzi, Giulio Rivera, Domenico Ricci. Dopo una prigionia di 55 giorni
il cadavere di Aldo Moro fu ritrovato il 9 maggio nel cofano di una
Renault 4 a Roma, in un luogo tutt’altro che casuale: via Caetani,
vicino a Piazza del Gesù, sede nazionale della Democrazia Cristiana,
e a via delle Botteghe Oscure sede nazionale del Partito Comunista
Italiano. Compagini politiche che Aldo Moro tendeva ad affiancare
nell’ambito del progetto ampio di governo di “solidarietà
nazionale”. Ma le Brigate Rosse, il cui motto era “Colpirne
uno per educarne cento” non consentirono. Siamo negli anni del
secondo dopoguerra, quando le Brigate Rosse si affermano come
maggiore gruppo di avanguardia rivoluzionaria. Operano in Italia fin
dall’inizio degli anni Settanta e fino agli anni Ottanta, attraverso
una struttura in cellule con organizzazione politico-militare che si
serve di atti di guerriglia urbana e terrorismo, quali il sequestro e
l’uccisione di politici, magistrati e giornalisti. per perseguire
lo scopo di sostituire lo Stato imperialista con una democrazia
popolare espressione della dittatura del proletariato. Il sequestro e
l’assassinio di Aldo Moro, noto come eccidio di via Fani, nel
momento in cui si sta per formare il nuovo Governo in cui avrebbe
fatto ingresso il partito dei Comunisti Italiani, costituiscono il
culmine della loro seconda fase di attività adesso finalizzata
all’attacco diretto allo Stato e caratterizzata da una nuova
strategia, non più orientata alle intimidazioni nella fabbriche. Il
periodo del loro smantellamento coincide con la prima sentenza del
processo Moro, nel 1983 quando a Roma, unificati i processi “Moro
– uno” e “Moro – bis”, i giudici della 1° Corte
d’Assise emettono la sentenza che condanna all’ergastolo le 32
persone del nucleo storico brigatista. Cinque anni dopo, con la
sentenza del processo Moro ter nel 1988, 153 persone saranno
condannate. Il commando che eseguì il sequestro Moro fu scardinato
in più fasi. Mario Moretti, colui che uccise l’onorevole fu
arrestato nel 1981 e rilasciato nel 1994 in regime di libertà
condizionale; Prospero Gallinari arrestato nel 1979, fu rilasciato
per motivi di salute negli anni Novanta; Adriana Faranda e Valerio
Morucci, dissociatisi dalle BR godono del regime di sgravio della
pena per ricusazione dell’organizzazione e denuncia dei complici e,
arrestati nel 1979, vengono rilasciati nel 1994; Barbara Balzerani,
l’ultima ad essere arrestata nel 1985, viene rilasciata in regime di
libertà condizionale nel 2006. Con loro, al momento dell’agguato,
anche Bruno Seghetti, anche se si suppone che altri, mai
identificati, abbiano preso parte al sequestro e che dunque tale
pagina di storia sia tutt’altro che completamente chiara.

La risposta dello Stato è, comunque,
arrivata ma oggi si hanno segni di una non completa e compiuta
neutralizzazione dell’organizzazione. Numerosi benefici in cambio
di collaborazioni hanno consentito negli anni Ottanta di smantellare
l’organizzazione che, tuttavia, adesso pare tornare alla ribalta,
associando allo spirito insurrezionale armato contro il profitto
dilagante delle multinazionali e alla lotta sindacale, il precariato
e l’assenza di prospettive future, problematiche di stringente
attualità. Dunque, innumerevoli le sbavature e tante le pagine
rimaste oscure, mentre la storia di questo paese insegna che
fronteggiare chi si pone contro lo Stato è impresa ardua e non senza
prezzo. Lo stesso dicasi per chi, con arroganza e spirito di
prevaricazione, si pone come surrogato dello Stato, laddove questo
fatica ad affermare la propria autorevolezza. Non è necessario andar
poi così lontano per comprendere la differenza.

L’altra piaga, oggi ancora infetta,
ha colpito nello stesso giorno di trent’anni fa in fondo allo
stivale. Sempre il 9 maggio viene, infatti, ritrovato in fondo
all’Italia, a Cinisi in provincia di Palermo, il corpo lacerato di
Peppino Impastato. Assassinato nella notte tra l’8 e il 9 maggio,
mentre era in svolgimento la campagna elettorale per la rielezione
del consiglio comunale, a seguito dell’esplosione di una carica di
tritolo posta ad attenderlo sui binari della ferrovia. Pochi giorni
dopo, gli elettori di Cinisi si sarebbero recati alle urne e
avrebbero votato ugualmente il suo nome, rieleggendolo. Bisognerà
attendere 23 anni prima che Vito Palazzolo sia condannato a 30 anni
di reclusione e 24 anni prima che una condanna all’ergastolo, come
mandante di quest’omicidio, colpisca Gaetano Badalamenti. Anni di
depistaggi e ostruzionismo ma anche anni di grande impegno civile e
tenacia per i familiari, per gli amici, per il centro di
documentazione siciliano di Palermo nato nel 1977 e intitolato a
Peppino Impastato nel 1980.

Così quello stesso 9 maggio 1978
avvenne il ritrovamento di entrambi i cadaveri a Roma e nel cuore di
Palermo, a Cinisi. Tuttavia ciò che subito rimase impresso fu il
ritrovamento del corpo di Aldo Moro. Le ragioni sono molteplici e non
afferiscono solo alla diversa veste mediatica che possono assumere la
morte freddante uno uomo di Stato e la bomba dilaniante il corpo di
un cittadino coraggioso. La differenza sta nella mano. E quella delle
Brigate Rosse era molto più pressante sull’opinione pubblica
dell’Italia di quanto non lo fosse ancora, con contorni definiti,
quella della Mafia. Basti pensare che la matrice mafiosa del delitto
Impastato dovrà aspettare 6 anni prima di essere ufficializzata in
una sentenza firmata da Antonino Caponnetto nel 1984, sulla base
delle indicazioni del consigliere istruttore del primo pool antimafia
istituito presso il tribunale di Palermo, Rocco Chinnici, anche lui
assassinato da Cosa Nostra nel 1983. Sarà, infatti, proprio
l’indignazione del fratello Giovanni, della madre Felicia
Bartolotta Impastato e dei compagni di militanza a far sollevare la
testa contro Cosa Nostra con la prima manifestazione antimafia
promossa il 9 maggio 1979 cui parteciparono 2000 persone. Da qui le
ragioni di una matrice mafiosa tanto evidente quanto assordante,
dunque negata e affossata in un contesto di omertà assoluta come
quella che dominava in quegli anni. Appalti truccati, contrabbando di
sigarette e traffico di stupefacenti, così Cosa Nostra in Sicilia e
fuori accumulava profitto, avvinghiandosi ad ogni potenziale di
sviluppo e ricchezza per piegarlo ai propri interessi.

Oggi nuove tendenze terroristiche hanno
generato i delitti dei due tecnici di governo Massimo D’Antona nel
1999 e Marco Biagi nel 2003 e i quindici arresti nel febbraio 2007 di
persone presunte militanti nelle Nuove BR. Oggi Cosa Nostra è meno
visibile ma non è sconfitta e i fenomeni di omertà e racket
necessitano di continui interventi. Intanto cresce il potere della
‘Ndrangheta calabrese e la mafia sopravvive e prospera, calpestando
le coscienze, derubando il futuro e negando sviluppo.

Il bilancio di questi 31 anni non
facilmente potrà esimersi dal prendere atto che lo Stato ha risposto
e risponde. Ma non basta. Ancora esiste un forte disagio sociale,
ancora il benessere non riguarda tutti, ancora le spinte estremiste
impongono periodi di violenza. Ancora i livelli di infiltrazione e
corruzione sono allarmanti, ancora la mafia colpisce, domina e
condiziona lo sviluppo e l’economia di interi territori.

Nessuno purtroppo può negare che
ancora sangue sia fatto brutalmente scorrere.

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