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Salvo e Peppino
Vite contro la mafia

Di Giuseppe Crapisi* il . Sicilia

Trentuno anni dopo, da Corleone a Cinisi, corre sull’asse della memoria e dell’impegno il ricordo di Peppino Impastato, militante di democrazia proletaria e animatore di Radio Aut, ucciso il 9 maggio del 1978 da Cosa nostra. Salvo Vitale, amico e compagno di Peppino, lo ricorda ai microfoni dei ragazzi di Corleone Dialogos e parla di informazione mafia e di un pezzo di storia che cambiò per sempre le loro vite. Sulla situazione del Paese oggi, fra mafie e informazione, commenta: rispetto agli anni ’70 si parla di più di mafia. Ma non vuol dire che si possa fare. Questa legge sulle intercettazioni riporterebbe li, a quello che Peppino raccontava quando non si poteva.

Quali erano le motivazioni e le finalità che vi portarono a fondare Radio Aut? 

Siamo intorno al ’77 – cioè in un momento in cui le radio libere in Italia nascono come funghi, a seguito di una sentenza di un pretore di Milano che aveva liberalizzato l’etere. Tra le 7000 radio nate allora, ce n’erano circa 500-600 che erano radio un po’ più politicizzate – le chiamavano a suo tempo “rai emittenti democratiche”. Radio Aut appartiene a questo gruppo. Nacque perché a Palermo  nel 77 c’era una di queste radio fatta un pò da questi fricchettoni, creativi, movimentisti etc…, abbastanza spoliticizzati,  questa radio Apace, forse perché non si era saputa dare un minimo di organizzazione, aveva chiuso e si era fusa con Radio Sud, un’altra di queste emittenti palermitane politicizzate. C’era disponibile questo trasmettitore; quando Peppino lo seppe, disse “lo voglio”, andammo ad acquistarlo a pochissimi soldi e così Peppino diede corpo alla sua idea di fare una radio, che era una cosa che lo accompagnava addirittura dai tempi in cui nel 1970 Danilo Dolci aveva creato a Partitico la Radio dei Poveri Cristi. Allora era assolutamente proibito trasmettere. Danilo era riuscito a procurarsi un trasmettitore, a fare una trasmissione una registrazione che ancora esiste dei poveri cristi, dei terremotati del Belice e del dramma che questi vivevano perché dopo un anno dal terremoto non era neanche stata alzata una pietra. Questo Sos durò 28 ore, poi alla fine i carabinieri fecero irruzione, fermarono questo esperimento denunciando il responsabile.

Il modello di creare una radio di resisteza c’era da un pò...

Si. L’intenzione era quella di fare informazione in maniera un po’ più efficace di quanto non fosse l’informazione di Stato. Quindi spulciare un pò di giornali, cercare tutta una serie di notizie occultate o messe all’ultima pagina, ma che riguardavano fatti di movimento (per esempio scorrerie fasciste, assalti a ragazzi magari colpevoli di essere solo capelloni, oppure esempi di mala sanità, di disoccupazione, leggi liberticide.. ); occuparci di tutta quella serie di persone messe ai margini dal potere, compresi i lavoratori, i contadini di Punta Raisi che andavamo ad intervistare, i pescatori di Terrasini dove, dopo una breve indagine, non ci volle molto a capire che facevano tutti parte di un sistema paramafioso e ne erano tutti vittime. Quindi una radio come movimento, a suo tempo nella nostra testata c’era :“Giornale di controinformazione” –  informazione al contrario dell’informazione dello Stato. Oggi i termini li potremmo invertire, dicendo che la controinformazione è proprio la disinformazione di Stato che abitualmente viene fatta dalle emittenti che sono quasi interamente controllate da sua Emittenza. La radio, secondo un documento che a suo tempo Peppino scrisse, doveva avere questa funzione, potremmo dire, pedagogica –  cioè creare coscienza rivoluzionaria e liberare masse che sapessero riflettere, ribellarsi e soprattutto organizzarsi; nello stesso tempo informare soprattutto imparare a non agire soli, cioè ad avere uno strumento di politica. 

Qual era il clima a Cinisi e in Italia alla fine degli anni 70? 

C’era un clima estremamente combattivo che si era creato negli anni ’60, soprattutto nel 68, allorché erano state espropriate ai contadini le loro terre per costruire la pista trasversale a Punta Raisi. Quelle battaglie videro un po’ il battesimo politico di Peppino. Io appartenevo a quelli che avevano un terreno in queste zone. La battaglia dei contadini di allora era “dateci i soldi così possiamo andare a comprare un altro pezzo di terra per continuare a lavorare e a fare il nostro mestiere”. Invece i soldi li ebbero dopo 4-5 anni. Una mattina vedemmo arrivare 800 carabinieri, cani poliziotto, elicotteri, in assetto di guerra, riuscimmo a resistere per tre giorni, ma alla fine abbiamo dovuto arrenderci; ricordo ancora molte di queste persone che piangevano perché dovevano buttare a terra la loro stanza da letto, la cucina dove vivano; invece si fece questa pista, un aeroporto nato sbagliato, sempre controllato dalla mafia e dove sono caduti due aerei, con circa 350 morti. Un aeroporto non si fa in queste condizioni. Questo è il primo momento di lotte politiche. A Cinisi il nostro gruppo lo chiamavano i mao mao, perchè eravamo un po’ tutti d’ispirazione maoista.[…]. Però mentre il modello di riferimento del Partito Comunista era Mosca, per noi prima del PSIUP, poi ritenuti extraparlamentari di sinistra, era Pechino, cioè la Cina di Mao Tze Tung e la sua complessa esperienza di rivoluzione culturale[…]. Quindi  – diciamo così  – c’era questa carica di assoluta ribellione, per non dire polemica, nei confronti del partito Comunista […] c’era questo gruppo che Peppino era riuscito a creare, che comprendeva una cinquantina di giovani. Poi c’era al solito l’apparato di potere della Democrazia Cristiana. A Cinisi successero addirittura della cose un po’ strane, ad esempio, intanto nel 68 era spuntato un partito social-democratico, che non era mai esistito prima, grazie all’iniziativa di un politico locale il professor Pandolfo, che diventerà anche deputato nazionale e che allora divenne sindaco di Cinisi raccogliendo 7 consiglieri, cioè avere 7 consiglieri, mentre prima non esisteva, era una cosa strepitosa, però pare che dietro questo partito si fossero schierati tutti i mafiosi di Cinisi, che non votavano più Democrazia Cristiana. Invece un’altra novità si ebbe negli anni ’70 quando Peppino denunciò le prime esperienze di compromesso storico tra il partito Comunista e la Democrazia Cristiana. C’era un vicesindaco comunista e un sindaco democristiano. Anche qua, questa cosa a Peppino e ai suoi amici parve un tradimento, perché nella nostra analisi Dc = mafia e PC che stava con la DC voleva dire che stava con la mafia. 

Cosa ha significato per voi e per le vostre famiglie essere di Radio Aut? 

Essere di Radio Aut significava essere rompi scatole, essere guardati con molto sospetto dalla gente. Lo posso raccontare con un episodio. Qualche giorno dopo che uccisero Peppino stavo leggendo un resoconto della Commissione parlamentare d’inchiesta sulla mafia su Salvo Lima, e dicevo che questo era stato citato nella relazione 2500 volte ed era uno dei principali indiziati della connessione mafia politica. Quanto ritornai a casa, mia madre mi aspettava davanti la porta e mi disse: quando ti ammazzeranno mi vesto di rosso. Avevamo la coscienza di essere delle avanguardie, di fare un gioco anche pericoloso, ma necessario per impostare un modello di società diversa. 

Sei pentito di qualcosa in particolare che avete fatto in quegli anni? 

Non tanto. Forse mi rimorde solo un po’ di avere tirato la corda troppo con Peppino, di averlo – direi quasi  –  portato ad esporre quella che era la sua naturale aggressività. La radio infatti  cominciò ad avere una forma un po’ più organizzata e più concreta nell’ottobre del 77, quindi gli ultimi sette mesi  cioè quelli in cui abbiamo lavorato braccio a braccio. Ripeto –  ogni tanto ho questa sorta di interiore rimorso –  di non essere stato forse, visto che avevo cinque anni in più di Peppino, più riflessivo di lui, ma di avere giocato sullo stesso piano. 

Se dico Peppino Impastato cosa ti viene in mente? 

Come faccio a dirtelo, è un po’ una parte di me stesso! Per esempio, andavo alla radio con mia figlia Carol, che allora aveva tre anni. Carol appena vedeva Peppino lo prendeva per mano e gli diceva usciamo; lo portava a passeggiare e lo sbancava, perché si faceva comprare caramelle, gelati, giocattoli, etc… . Peppino aveva trecento lire in tasca, pochissimo. Arrivava alla radio e mi diceva mi dai una sigaretta, allora capivo cosa era accaduto  e gli davo tutto il pacchetto. In quel gesto c’era parte della sensibilità di questa persona che non pensava a comprarsi il pacchetto di sigarette ma a fare felice mia figlia. 

Perché Peppino Impastato fu ammazzato? 

Ti posso dire, come diciamo in siciliano “U rispetto è misuratu, cu lu porta, l’avi purtatu”e mancare di rispetto era come un delitto di lesa maestà. In fondo abbiamo fatto questo, li abbiamo ridicolizzati di fronte a tutto il paese e quindi questi che si sentono persone di rispetto hanno reagito con il delitto.

Qual è la differenza fra fare informazione sulla mafia oggi e negli anni ’70?

Rispetto agli anni 70, diciamo che c’è un po’ di libertà in più, nel senso che possiamo permetterci –  usando notizie giornalistiche – di parlarne un po’ di più. Parlarne di più non è che significa necessariamente che si può fare. Una volta mesi dopo che uscì il mio libro su Peppino, mi incontrò il figlio di Cesare Manzella, il noto capomafia di Cinisi che comunque era molrto dal 63, e mi disse “Ma a lei cu ciu rissi, chi me patri trafficava in droga?”. Allora io gli ho detto, non me lo ha detto nessuno, ho riportato solo delle sentenze e degli articoli di giornali. Mi rispose, “Ma sapi com’è, na sentenza la legge il giudice e se la scordano tutti, un articolo di giornale compare un giorno e non ci pensa più nessuno, se lei lo scrive in un libro questa cosa resta e diventa conoscenza di tutti”. Non dimenticare che l’Italia è al trentacinquesimo posto per la libertà di stampa nel mondo più o meno dopo la Nigeria. L’ informazione è assolutamente controllata e passano solo una serie di cose. Attualmente con la legge che vogliono fare per bloccare le intercettazioni telefoniche passeranno ancora meno cose per cui siamo sempre là, ad uno dei motivi che portarono Peppino di cercare di fare conoscere una serie di cose che abitualmente non si conoscono. Non mi illudo che la quantità delle informazioni sostituisca la qualità, ma è un’informazione censurata in partenza. 

Quale è la differenza tra la mafia di allora e quella di oggi? 

Non è che ci sia grande differenza, tutte le carognate che la mafia faceva negli anni 70 le continua a fare. Ci sono delle fasi in cui un gruppo vuol diventare egemone su un’altro allora scoppiano le guerre di mafia. Ci sono altre fasi in cui la strategia diventa “calati iuncu chi passa la china”, che è la strategia di Bernardo Provenzano di associarsi con le istituzioni. Sono delle fasi che ci sono sempre state. Oggi forse siamo andati qualche passo avanti mentre prima i mafiosi gestivano la politica in maniera sotterranea oggi molti sono entrati direttamente in politica. Il più noto è Totò Cuffaro che ha festeggiato la condanna con i cannoli ed è stato rieletto senatore.

* Corleone Dialogos

Ascolta l’audio integrale dell’intervista su Yesradio

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