Ricostruzione e democrazia
Prima il terremoto, poi il dopo terremoto con tutte le incognite del non avere prospettive, dell’essere affidati mani e piedi all’autorità centrale. Che questa si chiami governo o Protezione civile. Dicono sia la legge dell’emergenza a imporre la centralizzazione, la sospensione di certi diritti e consuetudini del vivere in comunità. Può bastare come giustificazione all’estromissione da ogni decisione e voce in capitolo sul proprio futuro? È un quesito importante, che riguarda tutti, a partire dai singoli fino a raggiungere l’insieme delle comunità (istituzioni elettive locali comprese). Un’emergenza grave, drammatica, complessa come quella causata da un terremoto può essere una giustificazione credibile per la sospensione di alcune regole della convivenza fondamentali della democrazia? In un territorio disgregato, sia in termini fisici e materiali che sul piano sociale e umano questa domanda, oggi, diventa urgenza. Perché si stanno prendendo scelte importanti per l’intera popolazione, per l’economia e le prerogative economiche e culturali dell’intera area. Tutto è in mano oggi all’esecutivo, al governo e alle sue diramazioni. Non solo gli aiuti dell’emergenza ma anche le scelte della ricostruzione. A poche ora dalla scossa che ha ferito così profondamente la regione, si parlava del modello Friuli Venezia Giulia per affrontare la ricostruzione. Oggi quel modello sembra essere stato totalmente accantonato. A partire dalla scelta delle cosiddette “aree residenziali provvisorie”, fino al ridisegno urbanistico, sociale ed economico del territorio. La memoria del sisma del 1915 è ancora profondamente radicata in questa terra. Allora, nella Marsica, le aree provvisorie dei rifugi si trasformarono in aree definitive, dissolvendo intere comunità. Oggi sembra delinearsi lo stesso scenario. L’esecutivo decide, il potere locale (democratico, collettivo, di popolo) si deve adeguare. Presto e bene, si dice, e soprattutto senza tante discussioni. In Friuli le discussioni servirono, eccome. Furono le popolazioni locali a gestire la ricostruzione, rispettando storia e vocazioni di quel popolo. E dai campi degli sfollati allora si ripartì, si progettò e si governò la ricostruzione. Grazie ai comitati, alle assemblee, alla partecipazione democratica di tutti alle decisioni. Quel modello, se lo si immagina ancora qui in Abruzzo, è dalle comunità che deve nascere. Senza aspettare regalie da Roma, ma chiedendo e rivendicando la propria identità.
da Sollevati Abruzzo n.3 – 1 Maggio
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