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6. La mappa delle mafie

Di Alessio Magro il . Abruzzo

Ci sono i traffici di droga,
la tratta, il giro della prostituzione. Ci sono le bande albanesi (Pescara-Teramo-Chieti),
dei rumeni e quelle cinesi (tra Teramo e Pescara). Ci sono i clan russi
e i vecchi siciliani che investono in immobili, nel turismo, aprono
aziende e rilevano attività. La ‘ndrangheta e soprattutto la camorra.
Ma anche i pugliesi, che cercano un rifugio per affiliati e latitanti.
Nell’ultimo biennio l’Abruzzo registra piccoli e grandi manovre
delle mafie nostrane, autoctone e straniere, che a volte fanno trust.
Dalla contraffazione (pugliesi e campani insieme ai cinesi) alla droga
(la camorra insieme agli albanesi) fino alla prostituzione (albanesi
e rumeni a braccetto), le mafie trovano l’accordo operativo sugli
affari. Linee di tendenza che emergono dalle relazioni annuali della
Dna (2006-2008).  

Il check up. Una
strutturazione territoriale delle organizzazioni criminali è visibile
nel teramano e nel pescarese in settori classici, quali il gioco d’azzardo,
i traffici di droga e la contraffazione. Omicidi, attentati e intimidazioni,
e cioè i sintomi più visibili della presenza mafiosa, restano pochi.
Ma le mafie si muovono in silenzio. Troppe banche e società finanziarie,
troppi investimenti sospetti. E c’è poi un elemento sottolineato
da tutti gli investigatori: isola felice o meno, gli abruzzesi hanno
imparato in fretta il principio dell’omertà. Se i grandi traffici
hanno l’Abruzzo come crocevia, resta altissimo e sproporzionato il
consumo di stupefacenti. Un giro che progressivamente è passato in
mano alle mafie straniere. Così come la prostituzione nei night delle
città e lo sfruttamento dei braccianti irregolari nella conca del Fucino. 

I porti della droga.
Arriva attraverso gli scali marittimi di Pescara, Giulianova, Vasto
e Ortona, ormai la meta principale di alcune rotte secondarie dei traffici
dai Balcani. Sono gli albanesi a gestire il commercio internazionale.
E per intensificare i propri traffici, sempre più spesso cercano il
contatto con le mafie tradizionali, soprattutto con la camorra, per
accedere ai canali sudamericani e olandesi. Il commercio al dettaglio,
e l’Abruzzo è una piazza di spaccio di grande rilievo, è nelle mani
delle famiglie rom. 

Le schiave del sesso.
Sono centinaia, lavorano per strada ma soprattutto nei locali notturni.
Nigeriane e ragazze dell’Est Europa, spesso attirate con l’inganno
in Italia e poi costrette a prostituirsi. A dominare la scena sono le
bande albanesi. Si affianca la criminalità rumena e quella cinese. 
La mafia asiatica gestisce lungo la costa tra Teramo e Pescara diversi
centri benessere che camuffano le case d’appuntamento.  

I Rom, la mafia autoctona.
È un elemento proprio dell’Abruzzo: la presenza di famiglie “nomadi-stanziali”
particolarmente attive e potenti. Sono i Di Rocco e gli Spinelli, dediti
tutti i possibili traffici, dallo smercio degli stupefacenti acquistati
dagli albanesi, alle estorsioni e all’usura, con conseguenti investimenti
immobiliari milionari. A spacciare la droga sono spesso le donne dei
clan. 

CHIETI. Tra il 2007
e il 2008 è l’inchiesta Histonium a rivelare la presenza
di una ‘ndrina allargata, operativa anche in Lombardia, che taglieggia
e minaccia gli imprenditori della zona di Vasto e di altre province
abruzzesi.

Lungo gli oltre cento chilometri
di costa, sono intensi e capillari lo spaccio di droga (operazione
Carwash
, ai danni di un sodalizio campano) e la prostituzione nei
locali notturni, come rivela l’operazione Circus. Quest’ultima
è partita dalle rivelazioni di una ragazza del Kyrghyzstan, reclutata
nel circo in cui lavorava, insieme a molte altre donne dell’Est europeo.
Le promesse, l’inganno, il trasferimento, le minacce e  il lavoro
nei night. 

PESCARA. Sono le
famiglie rom e gli albanesi a tenere banco. Con l’operazione
Carpe diem
si è scoperto un traffico di droga portato avanti in
combutta. Mentre altre famiglie albanesi gestivano un giro di prostituzione
di donne rumene lungo la costa abruzzese e romagnola.

Gli investigatori hanno
annientato alcuni gruppi dediti a rapine e truffe, e poi ancora taglieggiamenti
e prostituzione (con il sequestro di un locale notturno, il “Tortuga
gestito da italiani e stranieri dell’Est).

Nella rete finisce anche
la politica. Nel 2006, l’operazione Ciclone porta all’arresto
del sindaco di Montesilvano e a vari avvisi di garanzia, con l’accusa
di corruzione, concussione e abuso d’ufficio.

Viene poi sgominata la banda
guidata da Angelo D’Alberto, che gestiva scommesse clandestine
e gioco d’azzardo sfruttando internet.

Nel febbraio 2006, 18 cinesi
e 11 italiani vengono arrestati a Pescara per un giro di permessi di
soggiorno falsificati: è l’operazione Piramide. L’indagine
del Ros si è concentrata su alcuni funzionari e imprenditori pescaresi,
che dietro pagamento di denaro semplificavano la concessione di autorizzazioni
al lavoro, consentendo l’ingresso regolare di migranti cinesi. I quali
finivano per essere schiavizzati nelle attività commerciali di altri
connazionali. E nei bordelli della costa.

A Pescara (e in altre quattro
regioni) la ‘ndrangheta mette in pratica il proprio know how in quanto
a truffe all’Ue nel settore agricolo. Si tratta dei contributi
per il riposo ventennale del terreno. Una truffa da 30 milioni di euro,
grazie a liste taroccate. Tra gli inquisiti ci sono 60 calabresi, parecchi
dei quali con collegamenti familiari sospetti. 

TERAMO. Oltre alla
criminalità comune, ci sono le famiglie rom, dedite all’usura e ai
traffici di droga, e poi organizzazioni di albanesi, rumeni e bulgari,
che spacciano e gestiscono la prostituzione. Un episodio emblematico:
un albanese di Roseto degli Abruzzi viene sequestrato e liberato
dopo tre giorni a Torino. Si tratta di una vendetta trasversale: i parenti
del rapito dovevano 50mila euro a un gruppo di connazionali per una
partita di droga. Da segnalare l’aumento vertiginoso del consumo di
cocaina

L’AQUILA. Nella
Marsica c’è la camorra, come rivelano le operazioni Replay e Tulipano.
Per gli inquirenti, la famiglia campana dei Franzese, insieme
al clan dei Limelli-Vangone, gestiva un giro di droga tra la
zona Peligna e Pescara. Viene sequestrata una villa con piscina da un
milione e mezzo di euro. E nella Marsica ci sono anche quelli del clan
Gionta
di Torre Annunziata. Un gruppo guidato da Emidio Viola,
che gli investigatori ritengono dedito allo spaccio di grandi quantità
di coca. A comprovare l’inquinamento camorristico della zona gli arresti
di due pericolosi latitanti: Nicola Del Villano, alla macchia
dal 1994, definito il braccio destro di Michele Zagara, capo
del clan dei Casalesi, e Giuseppe Sirico, della famiglia
di Nola-Marigliano.


Gianni Lapis
, prestanome dei Ciancimino
di Palermo, che si sarebbe adoperato nel drenare appalti e finanziamenti
pubblici in Abruzzo attraverso una serie di società, tra le quali la
Alba d’oro srl
. Nel marzo 2009 arrivano tre arresti: Nino Zangari,
Achille
e Augusto Ricci.

Nel 2008 parte nella Marsica
un procedimento per 416 bis, ai danni di abruzzesi e siciliani, con
il sequestro di beni e capitali a Giovanni Spera, figlio del boss siciliano
Benedetto Spera.

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