Lombardia, sgominato nuovo locale di ‘ndrangheta
A pochissime ore dall’allarme lanciato dagli schermi televisivi dal magistrato Vincenzo Macrì, in forza alla Direzione Nazionale Antimafia e considerato uno dei massimi esperti della mafia calabrese, arriva una ulteriore e autorevole conferma da parte delle forze dell’ordine: la ‘ndrangheta in Lombardia ha messo solidi radici e ha trovato ampie possibilità di inquinare il tessuto economico e sociale della regione, ricreando in alcuni casi i meccanismi dell’estorsione e della minaccia violenta a persone e imprese.
Ieri sera, il giudice Macrì nel corso di una intervista andata in onda durante la trasmissione “Exit” condotta da Ilaria D’Amico e in onda su La 7, ha messo in guardia tutti dal limitare la presenza delle cosche della ‘ndrangheta in Lombardia alla mera gestione del narcotraffico interno ed internazionale. Al contrario, secondo quanto esposto ai microfoni de La 7, sarebbe in atto una sorta di mutamento genetico della stessa organizzazione, che grazie agli enormi introiti derivanti dalla vendita degli stupefacenti avrebbe destinato gran parte dei profitti al potenziamento di altri rami d’affari, a partire dall’acquisto di esercizi commerciali e di immobili, per finire al sub ingresso in aziende in difficoltà di liquidità.
Prefigurando una sorta di “calabresizzazione della Lombardia”, Macrì ha poi dichiarato che non si deve pensare alle cosche calabresi come realtà che operano in trasferta, perché mantengono il loro centro di direzione e di interessi in Calabria, ma piuttosto occorre considerare che ormai, in Lombardia, siamo in presenza di veri e propri “locali” che operano in piena autonomia, perché si sentono a “casa loro”, in quanto componenti stabili di un tessuto sociale ed economico che li ha inglobati a pieno titolo come soggetti economici legittimati in tutto e per tutto. E a proposito dei rischi di infiltrazione criminale connessi al grande flusso di finanziamenti disposti per il prossimo Expo 2015, il parere è stato altrettanto lapidario: “Stiamo assistendo a un riposizionamento delle cosche calabresi che operano in Lombardia proprio in vista di questi lavori. Stanno tentando la costituzione di organismi in qualche modo autonomi dalle case madri, ma ci sono resistenze, perché non è che da giù li lasciano fare”.
Non sono ancora spuntate le prime luci dell’alba del giorno dopo, e prima ancora che si scateni la prevedibile disputa tra le diverse forze politiche lombarde e milanesi su quanto dichiarato dal magistrato, le principali agenzie di stampa rimbalzano nelle redazioni la notizia dell’ultima operazione che l’Arma dei Carabinieri sta portando a termine contro la ‘ndrangheta, a conclusione di una approfondita indagine che dura dal lontano 2005. L’operazione, diretta dalla Direzione Distrettuale Antimafia di Milano, è eseguita dal comando provinciale dei Carabinieri di Varese, con il determinante appoggio del Terzo battaglione Lombardia, di unità cinofile e del nucleo elicotteri di Orio al Serio (BG).
Epicentro dell’operazione è la Lombardia (Milano, Varese e Lodi le province interessate), anche se alcuni degli arresti vengono portati a termine contemporaneamente in Piemonte (nel novarese), Valle D’Aosta, Emilia Romagna (Forlì-Cesena), Lazio (Roma), Campania (nel casertano), Basilicata (Potenza) e, naturalmente, Calabria, in particolare nel crotonese. A finire in manette sono ben trentanove esponenti affiliati ad una cosca calabrese, con base operativa nel cuore della Lombardia: per la precisione gli inquirenti parlano di affiliati ad un locale della ‘ndrangheta operante tra Legnano e Lonate Pozzolo, due cittadine in provincia di Milano la prima e di Varese la seconda. La famiglia di riferimento è quella dei Farao Marincola di Crotone e i suoi esponenti sono accusati di tentato omicidio, estorsione, rapina, usura, riciclaggio e incendio, traffico d’armi e di esplosivi, tutti reati commessi al fine di controllare diverse attività imprenditoriali nel campo del commercio, dell’edilizia e della compravendita immobiliare.
Il territorio d’azione principale dei mafiosi arrestati oggi sarebbe proprio quello compreso tra Legnano (MI) e Lonate Pozzolo (VA), compresi due importanti centri della provincia varesina, Gallarate e Busto Arsizio, dove diversi esercizi commerciali e imprese sarebbero state messe sotto pressione, mediante intimidazioni e veri e propri attentati, perché si sottomettessero docilmente al racket e, in alcuni casi, consentissero l’ingresso nella compagine proprietaria di propri uomini di fiducia. Un particolare da non sottovalutare è dato dal fatto che nel territorio dove si muovevano gli uomini della cosca si trova anche l’aeroporto internazionale di Malpensa, da sempre al centro delle strategie del narcotraffico internazionale.
Nella conferenza stampa tenutasi al termine dell’operazione, il procuratore capo della Repubblica di Milano, Manlio Minale è sembrato però accreditare una lettura diversa da quella proposta da Macrì a La 7, una lettura che non prefigura alcuna autonomia di fatto nella cosca smantellata. Al contrario, secondo Minale, siamo di fronte ad una “diretta affiliazione della ‘ndrina calabrese con una struttura che consegna intatto il Dna della mafia calabrese nelle sue forme più arcaiche, con le stimmate di una struttura che fa perno su estorsioni condotte nel modo più violento e comprende le “bacinelle” per il sostegno dei detenuti e delle loro famiglie”.
Il procuratore di Milano quindi prefigura una continuità di fatto tra quanti operano al Nord, in trasferta, e chi rimane a dirigere le operazioni dalla Calabria, tanto che ai nuovi affiliati veniva imposto il rituale battesimo di affiliazione, secondo le modalità arcaiche in voga ormai da due secoli all’interno della consorteria mafiosa.
Oltre ad accreditare una diversa lettura di quella offerta da Macrì nel corso dalla trasmissione “Exit”, con queste sue ultime dichiarazioni odierne, Minale sembra fare marcia indietro rispetto a quanto egli stesso aveva affermato in occasione dell’operazione “Isola Felice”, quando si era soffermato a descrivere con dovizia di particolari l’esistenza di una terza generazione di mafiosi calabresi, più disposti a entrare nei business leciti, utilizzando il capitale accumulato, che a ricorrere al tradizionale impiego della violenza, per estorcere il pizzo e controllare il territorio.
Non ci interessa ora accreditare una lettura piuttosto che un’altra, confidando in un approfondimento giudiziario che possa sciogliere il dubbio a favore di una piuttosto che dell’altra tesi, anche perché a proposito delle infiltrazioni mafiose nel tessuto economico, restano da segnalare un’ultima osservazione e una importante proposta provenienti sempre da Macrì.
Per quanto riguarda la circolazione di capitali sospettati di essere di origine mafiosa all’interno dei circuiti bancari e dei “paradisi fiscali”, il magistrato della DNA sostiene che “il sistema bancario non può non essere consapevole di questa provenienza illecita della propria liquidità e in qualche modo ci deve essere una complicità in tutto questo”. Il ruolo delle banche finisce quindi sotto i riflettori una volta tanto e in tale direzione si rendono necessari puntuali verifiche.
Parole forti quindi, alle quali far seguire una proposta altrettanto dirompente, che tiene conto anche del fatto che la Lombardia – ormai da decenni ma, a maggior ragione, prevedibilmente ancora di più nei prossimi anni – si presenta come il prioritario territorio di riferimento per ingenti investimenti, collegati al flusso di capitali che sarà veicolato in regione dall’Expo: “se è vero che in Lombardia c’è l’etica del lavoro, c’è però anche quella del profitto a ogni costo. In Sicilia la
Confindustria ha fatto un’azione positiva: chi non denuncia le persone mafiose viene espulso, ecco io penso che sistemi di questo genere anche al nord possano essere utili”.
Chi paga il pizzo, chi si appoggia al capitale mafioso venga quindi espulso, a prescindere dal fatto che la sua impresa abbia la sede a Catania piuttosto che a Varese.
Ora aspettiamo per vedere se qualcuno raccoglie l’intelligente provocazione.
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