Quando memoria e lotta civile fanno paura
Una targa di legno con la scritta
verde spezzata in due. Da un lato, gettata tra i rovi la scritta
Porto Selvaggio e dall’altro, ai piedi della staccionata che la sorreggeva,
la scritta “a Renata Fonte”.
Un atto violento, fatto con
spregio, su cui gli inquirenti devono ancora fare chiarezza ma che ricorda
tanto i metodi mafiosi.
Sabato scorso le guardie forestali
di Portoselvaggio, meraviglioso parco del salento a strapiombo sul mare,
hanno scoperto che è stata distrutta la targa in ricordo dell’assessore
alla cultura di Nardò, una donna coraggiosa e tenace che a soli 33
anni è stata uccisa perché si era opposta alla speculazione edilizia
in progetto in quella zona che è un tappeto di pini marini.
Renata Fonte negli anni ’80
aveva anche coraggiosamente denunciato che il salento non era l’isola
felice che si voleva far credere, che anche in quella zona la criminalità
organizzata aveva allungato le mani.
La targa di legno con la scritta
in verde “Portoselvaggio a Renata Fonte” era stata posta appena
il 31 marzo scorso dopo 25 interminabili anni di colpevole silenzio
delle amministrazione locali che si sono succedute a Nardò, di voluta
rimozione di quanto fosse successo nell’84.
Quest’anno il Sindaco Antonio
Vaglio ha deciso di intitolare all’assessore uccisa il parco.
Il minimo che potesse fare.
Quel luogo di cui godono ogni anno migliaia di persone esiste ancora
grazie al suo sacrificio. Insieme alla figlia Viviana Matrangola dalla
pagine di Lotta Civile avevamo auspicato questo gesto di riconoscimento
della battaglia di Renata Fonte, di ammissione degli interessi
politico-economici-criminali, solo in piccola parte svelati, che
ci sono dietro il suo omicidio.
La targa è arrivata e ha dato
subito fastidio nonostante sia nella scritta quasi neutra:”Portoselvaggio
a Renata Fonte”. Senza che neppure venga accennata la storia tragica
che c’è dietro.
Le figlie di Renata Fonte,
Sabrina e Viviana Matrangola sono rimaste profondamente amareggiate,
scosse dalla profanazione della memoria della loro madre ma ancora più
determinate a ricordarla e a mantenere viva la sua battaglia: “ Evidentemente
quella targa è al posto giusto- mi ha detto Viviana Matrangola –
ma c’è chi vuole ancora che la figura di mia madre continui a restare
nell’oblio, perché fa comodo così, perché la verità giudiziaria
sulla sua morte è ancora parziale. Quella targa vuol dire anche che
la collettività riconosce la lotta di Renata Fonte, significa che finalmente
prende coscienza, reagisce e tutto questo per qualcuno è inaccettabile”.
Per l’assassinio di Renata
Fonte come mandante è stato condannato Antonio Spagnolo, suo compagno
di partito, il Pri. Ma gli stessi giudici della Corte d’Assise di
Lecce in alcuni passaggi della sentenza di primo grado, riportati in
Lotta Civile, riconoscono che Spagnolo ordina di uccidere
non solo per vendetta personale (Fonte alle ultime amministrative era
stata eletta al posto suo) ma anche nell’interesse di altri
personaggi rimasti oscuri.
Il sindaco ha promesso una
nuova targa e presto dovrebbe essere ultimato anche il monumento a Renata
Fonte nel cimitero di Nardò. Da anni l’ha chiesto don Luigi Ciotti
che ogni 31 marzo
Portoselvaggio insieme alla
famiglia e agli amici dell’assessore ricorda il suo impegno civile
pagato con la vita e ricorda che ognuno di noi deve essere “ un cittadino
responsabile, attivo”.
All’indomani dei funerali
di Renata Fonte, celebrati il 2 aprile dell’84 a Nardò, il marito
Attilio Matrangola e le figlie Sabrina e Viviana firmarono un manifesto
cittadino che potrebbe essere stato scritto in questi giorni dopo
la sciagurata distruzione della targa:”…L’efferato delitto ripropone
alla mente di chi è autenticamente democratico il perché di tanta
violenza e lascia in noi, che toccati negli affetti più sacri direttamente
paghiamo il prezzo di tanto odio, un vuoto incolmabile. Speriamo come
cittadini che il suo estremo sacrificio valga a migliorare la coscienza
di questa travagliata società contemporanea….”.
Lettera a Renata Fonte (da Libera.it)
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