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Da Villa Sant’Angelo a Coppito
Il silenzio e la speranza

Di Stefano Fantino il . Abruzzo

Da Villa Sant’Angelo a Coppito ci sono meno di trenta chilometri. In macchina scorrono tutti i paesi che dalla periferia aquilana portano al centro abruzzese, sfogliando, in rapida successione il gran numero di frazioni che il capoluogo annovera. Le abitazioni martoriate, quando non del tutto crollate, sono una cornice immobile al continuo via via automobilistico. Volontari, giornalisti, ma soprattutto forze dell’ordine che presidiano il territorio sotto il controllo della protezione civile.

Fanno di tutto, anche le cose più basilari, come dirigere il traffico e fare piccoli controlli. Ce ne accorgiamo quando prima di muoverci alla volta di Coppito, una pattuglia della Guardia di Finanza raggiunge il campo da rugby dove abbiamo una provvisoria sede e chiede lumi sulle nostre intenzioni e poi ritorna sull’asfalto, appreso che siamo giornalisti. 

Lungo la strada scorrono i nomi dei centri, sempre più familiari. Il cartello che ci indica la svolta a sinistra per raggiungere la frazione di Onna, quasi totalmente cancellata dal sisma, pare quasi superfluo. Già decine di metri prima si notano case completamente sventrate e un paese raso al suolo. Davanti alla via che conduce al cuore del borgo un presidio della forestale ci spiega che per entrare a Onna è necessario un pass, reperibile nella frazione di Paganica. Senza non si può entrare. Dietro le due guardie si intravede la frazione, o meglio ciò che resta. Muri crollati, abitazioni azzerate, macerie ovunque. E il silenzio di un paese che non c’è più. E non è il solo. Anche muovendosi sempre più addentro al capoluogo abruzzese ci si rende di trovarsi di fronte a un cumulo di macerie disabitato. Un cemento violato in maniera talmente profonda da non credersi. Le scene di palazzoni completamente privati di mura come se fossero di cartapesta è profonda, mentre si scende verso L’Aquila. Il centro storico è chiuso e difficilmente raggiungibile.

Si prosegue verso Coppito, periferia nord ovest del capoluogo abruzzese, mentre comincia a piovere e il tempo, particolarmente rigido, è l’ennesimo schiaffo a una terra già pesantemente segnata. 

Quando entriamo nel campo allestito dalla protezione civile a Coppito troviamo le persone in un bar, privato, che si trova all’interno del campo. Un barbiere e alcune parrucchiere stanno tagliando e acconciando capelli alle persone che vivono nella tendopoli. Quando ci avviciniamo e chiediamo del costo ci dicono che è tutto “gratis” e che sono volontari che vogliono offrire questo servizio. 

Mentre distribuiamo copie del giornale cartaceo stampato da Site.it parliamo con un gruppo di ragazzi venuti qui nel campo a fare animazione. “Quasi Adatti”è il nome della loro associazione:« Con una raccolta fondi autonoma siamo venuti qui a fare animazione con i ragazzi e a portare vino e arrosticini per la popolazione. Veniamo da Bisenti, in provincia di Teramo e facciamo il giro nei campi cercando di offire qualcosa ai terremotati». Sono circa 30, una ventina per la cucina (hanno portato 12000 arrosticini e 150 litri di vino) e una decina per l’animazione per i bambini. Sono studenti e alcuni studiavano qui, all’Aquila.

Quando arriviamo a Campo Murata Gigotti, sempre a Coppito, entriamo invece in una tendopoli non gestita direttamente dalla Protezione Civile. L’iniziativa partita dai sindacati confederali è gestita da un vasto numero di volontari, spesso ragazzi universitari, studenti provenienti dalle più disparate realtà italiane.

Cesare studia a Roma Tre e fa parte dell’associazione “Ricomincio dagli Studenti”. Ci racconta come è nata la loro collaborazione: «Abbiamo organizzato diversi punti di raccoltà nelle facoltà e insieme ad altre realtà studentesche come Udu e Uds ci siamo offerti di dare una mano anche sul campo. Siamo stati almeno 50 dall’inizio, a rotazione a coprire questo campo». Rispetto ai campi della protezione civile una gestione più autonoma del campo e autoorganizzata viene percepita come «qualcosa di più simile a una comunità sociale senza una netta burocratizzazione del campo» continua Cesare. In effetti il clima è quantomeno differente, ivi comprese le grandi difficoltà che si sono registrate e si registrano nel campo.  Se da un lato l’organizzazione offre spunti sociali interessanti, come «proiezioni, biblioteca, parrucchieri, dottori clown e psicologi» pare chiaro che la situazione dei servizi di prima necessità sia più latitante. A prima vista anche i “bagni chimici” sono ridotti. Se al campo di Coppito se ne notavano diversi qui sono solo due. Mi conferma questa situazione Simone, volontario dell’Udu: «Acqua non ce n’è, salvo un filo per la cucina e la corrente elettrica è arrivata da due giorni. Io sono da giovedì qui e non mi sono mai lavato e rispetto ad altri mi è ancora andata bene». Rispetto alla scorsa settimana la situazione è già migliorata e i servizi cominciano a venire erogati, cosa che ci conferma un magazziniere che ci dice che a breve il campo verrà dotato di docce. Nel frattempo le 300 persone ospitate nel campo tenderanno ad aumentare. «Già succede a pranzo – continua Simone- e la gente è in aumento specie quelli autonomi che si sono montati la tenda sotto casa e vedono nel nostro campo un riferimento soprattutto per nutrirsi».

E se i ragazzi mi parlano di una organizzazione pianificata per distribuire i volontari sul lungo periodo, mi viene raccontato della percezione che gran parte degli sfollati ha di questa situazione: un periodo non lungo nelle tendopoli, ma un rientro a breve nelle loro abitazioni. Persone ancora impaurite dalle scosse, dalla paura di trovare nel proprio futuro un grosso punto interrogativo, abbandonate dai riflettori che hanno illuminato il sisma nei primi giorni dopo la sciagura, disinformate sugli avvenimenti in una città dove giornali e informazioni non arrivano o non possono arrivare.Guardando le strade, le case rase al suolo, purtroppo non appare così vicino il giorno del rientro. E rimane l’idea che il tempo vivere nei campi con il fango che ora, sotto la pioggia, cresce a vista d’occhio, potrebbe essere più lungo di quanto non si pensi.

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