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Cosa Nostra, la massoneria e la borghesia, intrecci attuali

Di Rino Giacalone il . Dai territori, Sicilia

È la descrizione della moderna «mafiopoli»
che emerge dall’ultima relazione sullo stato delle indagini antimafia
in provincia di Trapani, è stata redatta dalla Procura nazionale guidata
dal procuratore Piero Grasso. Concetti  immediatamente chiari,
il giudizio è netto, si deduce da quella parte di relazione sottoscritta
dall’allora pm della Dna Teresa Principato, neo procuratore aggiunto
della Dda di Palermo. È adesso lei, ex procuratore aggiunto a Trapani,
che coordina le indagini antimafia nel trapanese. 

«La mafia esiste e non è affatto
sconfitta»
, c’è un incessante lavoro investigativo e inquirente,
«ma c’è un tessuto sociale permeabile alle organizzazioni mafiose».
Analisi precisa che dice di fotografare la situazione odierna: «Cosa
Nostra, a Trapani, è capillarmente radicata sul territorio ed è in
grado di condizionare pesantemente la realtà sociale, economica ed
istituzionale. Permane, sempre in provincia di Trapani, lo stretto rapporto
esistente tra esponenti mafiosi, uomini politici, pubblici funzionari,
tecnici progettisti ed imprenditori. Fatti ormai accertati e consacrati
nelle numerose sentenze emesse negli ultimi anni dal Tribunale e dalla
Corte di Assise di Trapani».  

Stretti i legami con le cosche palermitane,
«uomo cerniera» è Matteo Messina Denaro

(latitante, ricercato dal 1993), intrattiene i rapporti con la pericolosa
cosca di Brancaccio, retta da Giuseppe Guttadauro, fratello di Filippo
che è sposato con Rosalia Messina Denaro, sorella di Matteo. La mafia
trapanese resta alleata delle cosche dei corleonesi, ma la relazione
della Dna coglie anche elementi dell’essenza di un’altra serie di rapporti:
«Una specificità della criminalità trapanese resta il legame con
logge massoniche, settori della borghesia professionale e della pubblica
amministrazione». Indagini che danno ragione a questo assunto sono
quelle come «Black Out», condotta dalla Polizia, soggetti di rilievo
l’imprenditore mazarese Michele Accomando e l’ex capo dell’Utc del Comune
Pino Sucameli, soggetti che si incrociano in altre indagini come quelle
denominate «Hiram» (mafia e massoneria, condotta dai Carabinieri)
e «Eolo» (interesse di Cosa Nostra nella realizzazione di parchi eolici,
frutto di indagini della Polizia). 

La mafia trapanese è «ricca»:
«L’organizzazione ha una fortissima vitalità fondata su ampie risorse
umane e finanziarie», sfruttate «per attuare la strategia di sommersione».
Le azioni delittuose eclatanti sono ferme all’ultimo omicidio eccellente,
quando l’antivigilia di Natale del 1995 fu ucciso l’agente di custodia
Giuseppe Montalto. È cambiata la strategia, ma non gli uomini: «Le
scelte strategiche mafiose restano saldamente in mano agli stessi soggetti
responsabili dei più gravi delitti di sangue del passato». 

Il «lato » amaro
della relazione riguarda quello che le ultime indagini hanno evidenziato
assieme al «penetrante controllo del territorio» da parte della mafia
e cioè i «consensi riscossi  che hanno assunto contorni di vera
e propria connivenza». Situazione questa che spiega la capacità del
super boss Messina Denaro a riuscire a restare ancora latitante.
La relazione si sofferma parecchio sui fiancheggiatori
: «Cosa Nostra
può contare su una cerchia indefinita di fiancheggiatori che al momento
opportuno si mettono a disposizione, soggetti che formano la cosiddetta
zona grigia, all’interno della quale si materializzano momenti di una
realtà sociale multiforme, il cui denominatore comune è rappresentato
dal disconoscimento dell’autorità statale e dalla spontanea compenetrazione
dei suoi adepti ai modelli di riferimento proposti da Cosa Nostra». 

Oggi a costituire l’organigramma mafioso
trapanese
sono una serie di «uomini d’onore» tornati liberi, che
dopo avere evitato la condanna per gravi delitti e dopo avere scontato
le pene, usciti dal carcere, si sono reinseriti nell’organizzazione
criminale. Ognuno con ruoli precisi. Ci sono quelli inseriti nella rete
tra esponenti mafiosi, uomini politici, pubblici funzionari, tecnici
progettisti ed imprenditori, per il controllo mafioso sui pubblici appalti,
merce di contraccambio denaro e procacciamento di voti. Ci sono poi
quelli che tornano a comandare, nei paesi in particolare, Salemi, Vita,
Campobello, per esempio. Restano quattro i mandamenti attraverso i quali
oggi il capo mafia latitante Matteo Messina Denaro «governa» Cosa
Nostra trapanese: il mandamento di Trapani, che ricomprende le famiglie
di Trapani, di Valderice e di Paceco; quello di Alcamo, che ricomprende
le famiglie di Alcamo, Calatafimi e Castellammare (nel passato ricomprendeva
anche la famiglia di Camporeale, durante la guerra di mafia dei primi
ani ’80 il mandamento di Alcamo venne sciolto e le relative famiglie
furono aggregate al mandamento di Mazara; successivamente venne ricomposta
la famiglia di Alcamo e ricostituito il relativo mandamento); quello
di Castelvetrano, che ricomprende le famiglie di Campobello di Mazara,
Santa Ninfa, Gibellina, Partanna, Salaparuta e Poggioreale; questi ultimi
due centri formano un’unica famiglia; e Mazara del Vallo, che ricomprende
le famiglie di Salemi, Vita e Marsala. Maggiori latitanti sono oltre
a Matteo Messina Denaro, il marsalese Francesco De Vita e il salemitano
Salvatore Miceli. 

Secondo la relazione della Dna, l’imposizione
del «pizzo» a tutte le imprese, lavori e servizi pubblici
, continua
ad essere lo strumento principale di arricchimento e contemporaneamente
di controllo del territorio da parte di Cosa Nostra: «Il pagamento
del pizzo è recepito come atto dovuto da essere sostanzialmente considerato
dalle imprese alla stregua di un costo di produzione; la costante registrazione
di atti intimidatori e danneggiamenti più o meno gravi non è quasi
mai seguita dalla collaborazione dei soggetti destinatari di tali atti
che già nell’immediatezza del fatto – quindi in condizioni psicologiche
che potrebbero essere favorevoli alla denuncia – si trincerano dietro
la negazione assoluta di ogni seppure minimo elemento, arrivando a non
ammettere addirittura ciò che è evidente».

Nel settore dei pubblici appalti, dalle
indagini condotte continua ad emergere la presenza di Cosa Nostra, in
particolare nella fase di esecuzione dei lavori e non soltanto con la
nota pressione estorsiva. Tra i soggetti individuati alcuni arrestati,
altri ad oggi sottoposti ad indagini, vi sono soggetti appartenenti
o vicini all’organizzazione che partecipano ad attività di turbativa
del pubblico incanto, sono emerse situazioni di assoggettamento delle
stazioni appaltanti. La cosidetta «messa a posto» ha cambiato forma
e metodo: si sono colti nelle indagini gli aspetti relativi al monopolio
delle forniture di inerti, alle «imposizioni nella produzione, nel
trasporto, gestione del mercato del lavoro». 

Affari e interessi.
Ma per la mafia non ci sono solo gli appalti, ma c’è anche il traffico
di stupefacenti.
Non è un «ritorno» perchè il commercio di droga
non è mai sparito dall’agenda mafiosa, «non v’è traffico di livello
alto che non veda coinvolti uomini di Cosa Nostra». Molti sono gli
«uomini d’onore» attivamente dediti al traffico degli stupefacenti
come testimoniano alcune indagini condotte non solo dalla Dda di Palermo
ma anche dalle procure di Trapani e Marsala. Particolare attenzione
la Dna ha dedicato ad una indagine coordinata dalla Procura di Trapani
e condotta dalla Squadra Mobile a proposito delle truffe nell’ambito
dei giochi controllati dai Monopoli di Stato e che portò all’esecuzione
di 10 arresti, chiamati a rispondere, a titolo diverso, di associazione
per delinquere, estorsione, sfruttamento della prostituzione, usura
e di altri gravi reati. Le investigazioni hanno fatto luce su un’organizzazione
criminale che, attraverso danneggiamenti ed intimidazioni, «obbligava»
i gestori di alcuni locali pubblici ad installare all’interno dei propri
esercizi commerciali apparecchiature per i videogiochi del genere vietato,
pretendendo poi la metà dei guadagni realizzati». Dietro questi scenari
di criminalità comune sarebbero emersi contatti con la mafia gelese.

Una delle nuove frontiere è rappresentata
dall’uso indebito di pubblici finanziamenti, regionali, statali e comunitari.
La Guardia di Finanza ha individuato un soggetto condannato per mafia
che è riuscito a percepire contribuzioni pubbliche nel settore dell’agricoltura,
una parte di questa inchiesta è concentrata nell’alcamese, dove alcuni
degli indagati sono peraltro risultati sottoposti a misure di prevenzione.
Analoga situazione è emersa anche nei confronti di soggetti residenti
a Marsala. È all’interno di queste indagini, condotte anche da Polizia
e Carabinieri, che gli investigatori si sono imbattuti in quella rete
di fiancheggiatori, alcuni pubblici funzionari, con posti chiave in
più svariati settori, cosa che conferma «la pericolosità dell’organizzazione
mafiosa, nonché la sua straordinaria capacità di infiltrare il tessuto
economico e sociale». 

L’attualità. Mafia e Casalesi. Anche
Trapani è Gomorra
. L’omicidio di un commerciante di carni oggetto
di una indagine della Procura di Reggio Emilia, ha svelato «alleanze»
fino a quel momento segrete, tra gli oramai famosi gruppi dei «casalesi»
e i mafiosi trapanesi. La «Gomorra» criminale non è fatta solo dalla
Camorra ma anche da Cosa Nostra, messi assieme da una serie di «affari».
Nel caso in questione commercio di carni e riciclaggio dei relativi
proventi attraverso una rete di cooperative di servizio: una complessa
indagine originata dall’omicidio di un imprenditore del settore, ha
posto in risalto il diretto coinvolgimento di soggetti ritenuti collegati
sia al clan camorristico dei Casalesi che a soggetti originari della
zona di Trapani. Sono tre le Procure antimafia impegnate nella ricerca
di Matteo Messina Denaro, super boss latitante di Castelvetrano, capo
assoluto della mafia trapanese, ma in grado di «comandare» anche nell’agrigentino
e in una parte del palermitano. Matteo Messina Denaro avrebbe investito
in diverse società imprenditoriali, maneggiando grossi capitali di
provenienza illecita. La storia delle «alleanze» tra mafia e camorra
non è notizia nuova. Già a metà degli anni ’80 se ne occupò il giudice
Giovanni Falcone dopo averne raccolto particolari dal pentito Tommaso
Buscetta. Casalesi e Cosa Nostra hanno molte cose in Comune, capaci
di usare le armi ma in grado a far diventare l’«illecito» impresa
«lecita», riusando i capitali del traffico di droga e riuscendo ad
attingere a canali pubblici di finanziamento, creando un nuovo «welfare»
del malaffare.

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