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L’Odissea di Saline Joniche

Di Tiziana Barillà il . Calabria, Dai territori

Quale destino per Saline Joniche? A distanza di quasi 40 anni si vivono ancora le conseguenze del fallimento delle politiche degli anni 70, Saline con l’ex Liquichimica e le Officine per le Grandi Riparazioni ferroviarie  ne sono loro malgrado il simbolo.

Dopo la battaglia delle associazioni ambientaliste e dei Comuni della zona contro la centrale a carbone presso l’area dell’ex Liquichimica, arriva la sigla del protocollo d’intesa tra il presidente della giunta calabrese Agazio Loiero e la società Api Nòva Energia per la realizzazione di un Polo Tecnologico dell’Energia “pulita” a Saline Joniche.

Partiamo dal principio. Dobbiamo tornare indietro fino al 1970, quando per mettere fine alla Rivolta reggina, il Governo centrale pensò di affiancare alla forza repressiva dell’esercito un’allettante piano di sviluppo economico. Così si cominciò a parlare dell’insediamento nel territorio reggino di apparati produttivi, tra cui i poli industriali di Saline Joniche. Trecento miliardi di lire per dare vita allo stabilimento Liquichimica, che avrebbe dovuto dare lavoro a circa mille persone.

La struttura viene ultimata nel 1974, giusto il tempo di distruggere la costa jonica, fare qualche collaudo e dare inizio alla primissima produzione delle bioproteine che l’allora Ministero dell’Ambiente bloccò per il rischio di agenti cancerogeni.  

1977 viene dichiarato il fallimento. A farlo è il petroliere roccellese Raffaele Ursini. In questo modo la Liquichimica finisce nel calderone dell’Enichem assieme alla Sir di Rovelli, che manda in cassa integrazione i circa 600 operai che non hanno nemmeno avuto il tempo di cominciare a lavorare.

1997 il Consorzio Sipi (Saline Ioniche Progetto Integrato), costituito da imprenditori locali, rileva all’asta gli impianti e i terreni ex Enichem con l’obiettivo di rottamare il ferro e l’acciaio degli impianti e rivendere il terreno.

Ovvio a questo punto osservare che le “opportunità” programmate dal pacchetto Colombo non vennero mai realizzate o furono immediatamente oggetto di controllo e speculazioni da parte della ‘Ndrangheta. Come il caso delle ormai chiuse officine Grandi Riparazioni delle Ferrovie, dalle cui relative indagini è emerso come fosse diventato l’obiettivo delle cosche mafiose per la realizzazione dell’ennesimo centro commerciale.

2006. L’impresa svizzera Sei SpA (Società Energia Saline composta da Ratia Energia G.A., Hera S.p.A., Foster Wheeler Italiana S.p.A., Apri Sviluppo) acquista dalla SIPI una parte dell’area dove sorgeva l’ex Liquichimica nel comune di Montebello Jonico, per la realizzazione di una centrale termoelettrica con la potenza di 1320 MW, con raffreddamento ad acqua di mare. Insomma una centrale a carbone, lo stesso carbone il cui utilizzo per la produzione di energia elettrica è vietato dal Piano energetico regionale per tutto il territorio calabrese.

Nuovo progetto, nuovo investimento, questa volta tanto ingente da sembrare un buon affare: un miliardo di euro, cui si aggiungerebbero 500 milioni di investimento per le infrastrutture, più 1, 7 milioni all’anno per i costi di esercizio. Non fosse altro che tra le varie fonti energetiche, quella a carbone è proprio la maggiore produttrice di CO2, ossido di azoto e zolfo e polveri, tutte sostanze altamente cancerogene, cardiotossiche o capaci di interferire sullo sviluppo del sistema nervoso.

Inoltre, il progetto prevede una tecnica di cui ancora non si conoscono i rischi, specie di tipo geologico, a cui si potrebbe incorrere: l’immissione, in appositi contenitori installati nel sottosuolo, della CO2 prodotta. L’unica cosa certa è che secondo la Commissione Europea, dedicata alla prevenzione ed al controllo dell’inquinamento, l’utilizzo di questa tecnologia porterebbe ad un aumento dei costi di produzione che va dal 35 al 70%.

A questa nuova via, quindi, si contrappone da subito un ampio fronte del “no”, fatto di associazioni ambientaliste ma anche di Enti Locali, come i diversi comuni dell’area, la Provincia e la Regione, che chiede alla Sei la sospensione dell’iter autorizzativo e della procedura di Valutazione di Impatto Ambientale.  

2008. Il 18 giugno con un comunicato stampa la Sei proclama: “La procedura di autorizzazione parte oggi con la trasmissione della documentazione del progetto alle autorità competenti”. Tre mesi dopo, il 19 settembre, l’Amministratore Delegato Fabio Bocchiola annuncia: “Comunichiamo di aver richiesto oggi la sospensione dell’iter autorizzativo e della procedura di Valutazione di Impatto Ambientale per il progetto della centrale termoelettrica di Saline Joniche”.
Questo cambiamento di rotta avviene successivamente alla conferenza dei servizi del 17 settembre, indetta dal Ministero dello Sviluppo Economico. In quella occasione la Regione Calabria presenta un documento, con il quale viene espresso e ribadito il motivato dissenso alla richiesta di autorizzazione alla costruzione ed esercizio della centrale a carbone.
Il procedimento viene sospeso per permettere l’acquisizione di atto deliberativo da parte della Regione Calabria e quindi dare il tempo di formalizzare la negata intesa, sul presupposto che nel piano energetico regionale è esclusa la possibilità di realizzare centrali a carbone. La delibera n.686 arriva il 6 ottobre (pubblicata sul BUR della Regione Calabria n.22 del 15 novembre 2008) e dispone di “ non accordare l’intesa regionale prevista dalle leggi n.55/2002 e n.239/2004 al procedimento amministrativo avviato dal Ministero dello Sviluppo Economico sull’opera “CentraleTermoelettrica a carbone da circa 1320 MWE, da ubicarsi in Comune di Montebello Jonico, proposto dalla società Saline Energie Ioniche S.p.A.”
2009. La Sei Spa presenta ricorso al Tribunale Amministrativo Regionale per la Calabria per ottenere l’autorizzazione unica e corredando l’istanza da elaborati progettuali e da relazioni varie. Con questo ricorso si contesta il diritto della Regione Calabria e degli altri soggetti interessati di negare l’intesa senza attendere l’esito della procedura VIA, apertasi a seguito di separata istanza presentata al Ministero dell’Ambiente.
Nella totale confusione che regna da decenni, ad aprile giunge un colpo di scena. Il 1 aprile, infatti, viene sottoscritto un protocollo d’intesa, dal presidente della Regione Agazio Loiero e dall’amministratore delegato di Api Nòva Energia Mauro Sartori, per la realizzazione di un “polo tecnologico dell’energia” in Calabria. Il progetto prevede la realizzazione di impianti per la produzione di silicio cristallino, di una filiera fotovoltaica per la produzione di celle e moduli e di una filiera eolica per la produzione di componenti di turbine.

Con l’accordo sono stati individuati i tre siti idonei agli insediamenti industriali che dovrebbero essere realizzati con l’utilizzo di risorse meramente pubbliche per complessivi 500 milioni di euro e circa 1.000 posti di lavoro. Secondo Api Nova Energia le migliori localizzazioni per le iniziative produttive sarebbero le aree industriali dismesse di Saline Ioniche (Reggio Calabria), di Lamezia Terme e dell’area industriale di Crotone.

Certo una grande svolta, ma i dubbi rimangono. L’API Nòva Energia è già presente in Calabria con il modello “centralizzato” della Biomasse Italia e delle sue due centrali di Strongoli e Crotone. Una mega centrale solare, infatti, anche se sicuramente meno inquinante, mantiene le grosse problematiche legate poi al trasporto dell’energia, come la costruzione di elettrodotti e le inevitabili perdite della rete.

Siamo giunti al 13 aprile, quando l’assessore regionale all’Ambiente Silvio Greco, a fianco dell’accordo con Api Nova, come intervento della Giunta regionale, propone la costruzione di un laboratorio di Biofisica e di Fisica applicata al settore energetico per lo studio dei meccani
smi di trasformazione termoacustica dell’energia e per lo studio e l’ottimizzazione dei sistemi fotovoltaici, assicurando che per tale progetto ci sono già 20 milioni di euro disponibili nell’Apq Pon Ricerca e Competitività. “Con tale progetto già esecutivo che vede come soggetti attuatori le Università di Messina e Reggio Calabria – ha spiegato l’assessore Greco – intendiamo contribuire al definitivo lancio dell’area di Saline Joniche quale polo mediterraneo per le nuove tecnologie legate alle risorse rinnovabili”.  

L’Odissea di Saline continua, dunque, e sembra si stia aprendo l’ennesimo libro che tratta sempre di rilancio del territorio, di grandi investimenti economici e di opportunità di lavoro. E la Calabria attende ancora, nella speranza che sia la volta buona.

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