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Paradisi fiscali e riciclaggio di denaro sporco: le ambiguità del G20 e le “liste” dell’Ocse

Di Gaetano Liardo il . Internazionale

Il G20 di Londra,
riunito i primi di aprile nella capitale britannica per cercare di dare
una risposta concreta alla travolgente crisi finanziaria, ha lanciato
la “guerra santa” contro i paradisi fiscali e i centri offshore.
Basandosi su un rapporto dell’Ocse, l’Organizzazione per la cooperazione
e la sicurezza in Europa, sono stati individuati quattro differenti
categorie di paesi in relazione agli standard internazionali sullo scambio
di informazioni per fini fiscali. I paesi meno collaborativi sono quelli
inseriti nella cosiddetta “lista nera”: Costa Rica, Malaysia, Filippine
e Uruguay.

Proprio ieri, nel timore di sanzioni da parte delle maggiori
potenze mondiali, la “banda dei quattro” ha annunciato l’adeguamento
agli standard internazionali. Come riporta l’Ocse, gli standard riguardano
lo «scambio di informazioni su richiesta in tutte le materie fiscali
per l’amministrazione e lo sviluppo di legislazioni fiscali interne
senza considerare requisiti di interesse fiscale interno o segreto bancario
per scopi fiscali». Le quattro categorie di giurisdizioni individuate
riguardano: i paesi “virtuosi”, quelli cioè che hanno sostanzialmente
attuato gli standard internazionali condivisi. A questi fanno seguito
quei paradisi fiscali impegnati a seguire gli standard internazionali
senza averli tuttavia ancora attuati.

Seguono poi gli altri centri finanziari,
non ritenuti paradisi fiscali, ma che come i primi, hanno preso l’impegno
di seguire gli standard internazionali senza averli tuttavia ancora
attuati. Infine i quattro paesi che non hanno accettato gli standard
internazionali, ma che da ieri si sono impegnati a rispettare, rendendo
di fatto vuota la tanto famigerata lista nera. Per il G20, quindi, la
lotta ai paradisi fiscali e ai centri offshore è diventata una questione
di vitale importanza. Come scrive l’economista Loretta Napoleoni dalle
pagine di Internazionale «da qualche mese tutti dicono che bisogna
riformare i mercati, e nel mirino dei politici sono finiti i paradisi
fiscali e i titoli derivati.

Viene da chiedersi se basterà così poco
per rimettere in carreggiata la finanza mondiale». Perché, dopo molte
ipocrisie, i grandi del mondo hanno deciso di attaccare frontalmente
i paradisi fiscali? Semplicemente perché è il modo più semplice per
racimolare denaro liquido da riversare in un sistema economico a corto
di liquidità. Secondo il quotidiano francese Le Monde,
in questi centri transita il 50% dei flussi finanziari mondiali, un
cifra valutata approssimativamente in 10.000 miliardi di dollari. Una
spaventosa enormità di denaro. Un centro finanziario può essere definito
paradiso fiscale se presenta un sistema fiscale leggero o inesistente,
un rigido segreto bancario e la mancata collaborazione con altri paesi
nella lotta all’evasione.

Ai paradisi fiscali vanno collegati due
fenomeni figli di quello che Loretta Napoleoni ha definito “economia
canaglia”: l’evasione fiscale e il riciclaggio di denaro sporco.
Spesso i due fenomeni sono fortemente correlati tra loro. I fondi sporchi
frutto dei traffici criminali hanno la capacità di «destabilizzare
le economie, indebolire l’integrità del sistema finanziario internazionale,
sovvertire le regole del commercio internazionale e corrompere i governi».
L’allarme viene lanciato dal Dipartimento di Stato americano nell’annuale
International Narcotics Control Strategy Report, nel volume dedicato
al riciclaggio di denaro sporco e ai crimini finanziari. Nel rapporto
vengono individuati 60 paesi considerati come i maggiori riciclatori
di proventi illeciti, in cui le «istituzioni finanziarie sono impegnate
in operazioni valutarie che coinvolgono significativi proventi del traffico
internazionale di narcotici» e comunque dei traffici illeciti in generale.

Tra i 60 paesi individuati dal Dipartimento di Stato sono presenti molti
di quelli considerati virtuosi dall’Ocse, tra cui Usa, Gran Bretagna,
Italia. La connessione tra riciclaggio ed evasione fiscale viene ripetutamente
affrontata: «il riciclaggio di denaro è lo strumento tramite il quale
i criminali evadono il pagamento delle tasse su profitti illegali nascondendo
la fonte e l’ammontare del profitto. Il riciclaggio è infatti evasione
fiscale in progress». Altro dato allarmante è la capacità dei riciclatori
di penetrare in ogni sistema finanziario, trasformando, di fatto, ogni
giurisdizione in un potenziale centro di riciclaggio.

Quindi, partendo
dal postulato che evasione fiscale e riciclaggio di denaro sporco sono
strettamente connessi e che potenzialmente ogni paese può essere utilizzato
come centro di riciclaggio, siamo testimoni della pochezza del risultato
sbandierato dal G20. Inoltre, c’è il rischio che nel tentativo di
battere cassa ed ottenere un’iniezione di liquidità i governi saranno
ben disposti ad utilizzare quei fondi di provenienza illecita nel circuito
legale, dando così vita ad un processo globale di riciclaggio di denaro,
ed aprendo le porte dei sistemi finanziari alle grandi organizzazioni
mafiose. 

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