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Al via processo su mafia e massoneria

Di Rino Giacalone il . Sicilia

Sono 27 i testi che i pm della Dda di Palermo hanno chiesto di sentire nel processo Hiram che vede imputati davanti ai giudici della terza sezione del tribunale imprenditori, un faccendiere e un impiegato del ministero della Giustizia in servizio alla Cassazione per corruzione in atti giudiziari e concorso esterno in associazione mafiosa.

Il dibattimento si è aperto ieri 7 aprile ed è stato rinviato al 24 aprile. Fra i testi che i pm Fernando Asaro, Paolo Guido e Pierangelo Padova hanno citato vi è il senatore Marcello Dell’Utri (Pdl), per riferire in merito ai suoi rapporti con gli imputati, ed in particolare con Rodolfo Grancini, Calogero Licata e Nicolò Sorrentino. Inoltre sui contenuti dell’incontro avvenuto in Roma il 19 luglio 2006 con alcuni degli imputati e ai colloqui telefonici avuti con Grancini. Nella lista testi figurano anche Edoardo Fazioli, presidente di sezione della Cassazione, Antonio Morgigni, consigliere della Suprema corte, l’ex rettore della Chiesa Sant’Ignazio di Loyola, Ferruccio Romanin, l’economo della provincia d’Italia della Compagnia di Gesù e superiore della comunità di Sant’Ignazio, Francesco Deluccia.

Nel processo sono imputati l’imprenditore mazarese Michele Accomando, il ginecologo palermitano Renato Gioacchino De Gregorio, il faccendiere di Orvieto Rodolfo Grancini, l’imprenditore agrigentino Calogero Licata, l’impiegato della Cassazione, Guido Peparaio, e gli imprenditori di Agrigento Calogero Russello e il marsalese Nicolò Sorrentino.

L’accusa ipotizza che vi siano state corruzioni per ritardare la celebrazione di processi in Cassazione o l’esecuzione di misure cautelari. Nel gruppo emerge la figura del faccendiere umbro Rodolfo Grancini, massone e presidente di uno dei Circoli del Buon governo di Marcello Dell’Utri, col quale sono stati individuati alcuni contatti telefonici e diversi incontri.

I pm hanno chiesto ai giudici di sentire uno dei capi della massoneria italiana, Stefano De Carolis Villars, per riferire sui rapporti con gli imputati e con le logge massoniche siciliane, inoltre sulle richieste formulategli da alcuni imputati finalizzate ad ottenere vantaggi processuali.

Il mazarese Accomando si sarebbe mosso per «tutelare», presso la Cassazione, le posizioni di alcuni suoi concittadini finiti nei «guai» con la giustizia, tra questi Giovan Battista ed Epifanio Agate, zio e nipote, rispettivamente fratello e figlio del capo mafia di Mazara Mariano Agate.

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