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Meno cultura, più mafie

Di Santo della Volpe il . L'analisi

Danilo Dolci ci ha insegnato,in quegli anni ’60 che sembrano lontani, una verità invece attualissima: solo la cultura ed il lavoro possono essere vera emancipazione sociale, solo la scuola e la consapevolezza dei diritti e doveri trasformano la persona in cittadino. E solo i cittadini consapevoli possono e sanno ribellarsi alla sub-cultura della sopraffazione ed a quel rapporto tra criminalità e politica che identifica le mafie, cosa nostra,la camorra o la ‘ndrangheta, come forme particolari ed incancrenite di malavita organizzata.

E’ scritto ed affermato in saggi e ricerche, da anni: eppure in Italia, patria della Cultura e del Diritto, si continuano a tagliare i fondi per la scuola e per le varie forme di cultura, dal teatro alla cinematografia, dalla musica all’editoria. Non basta purtroppo fare recenti esempi di successo editoriale e cinematografico, “Gomorra” su tutti, come libro e pellicola, ma anche il recente film su Giancarlo Siani, per far capire ai nostri governanti che ogni taglio alla cultura,significa aiutare chi vuole persone con poco spirito critico e quindi più asservibili alle logiche mafiose. Niente da fare: neanche i dati economici,in questo periodo di crisi, sembrano far capire ai ministri Tremonti e Gelmini ed al presidente del Consiglio Berlusconi, che la cultura è anche una industria che produce maturità sociale e lavoro, per di più intellettuale, oltre che materiale.

 Perché in Italia lavorano nel mondo della cultura e dello spettacolo 400mila persone: a queste vanno aggiunti tutti gli addetti dell’indotto legato al turismo culturale. Ma l’Italia, nel 2008, ha investito in Cultura solo lo 0,28% del Pil e per il 2009 la previsione è molto al ribasso: negli altri paesi europei,si investe l’1,4- 1,5% del Prodotto Interno Lordo, quattro volte la cifra stanziata nel nostro paese, che dovrebbe essere invece(per la sua storia) il primo paese al mondo negli investimenti culturali. Invece in Italia si tagliano i fondi per lo spettacolo,i beni culturali, la scuola e la ricerca. In più, per effetto dei tagli del governo ai Comuni (ad esempio quello dell’Ici), i Comuni hanno tagliato il 50% degli investimenti per cultura e spettacolo. Per questo si può ben dire che in Italia si sta uccidendo il futuro: perché la volontà di fare cultura sembra sia affidata solo alla televisione (dove per altro i programmi veramente culturali sono rari), cioè ad uno strumento comunque passivo per gli spettatori, ancora di più in questo momento.

Eppure in Italia, lo scorso anno, si sono venduti più biglietti per il teatro che per gli stadi di calcio, un sorpasso significativo, che sembra però aver lasciato indifferenti gli uomini del bilancio dello stato, che sembrano preferire tagli indiscriminati nella cultura e nella scuola, cioè proprio là dove si formano i cittadini,dove si cresce come sistema paese, dove si crea futuro e intelligenza attiva, capacità critica e voglia di migliorare il mondo: e dove si crea coscienza antimafia,perché è dalla cultura (preservando i valori sani del passato e riproponendo il confronto dialettico con altre culture, con libri, teatro, musica), che si impara a crescere sapendo che i propri diritti non sono un favore da chiedere a qualcuno; al potente di turno, al mafioso che scambia i bisogni per protezione, al politico che chiede il voto in cambio di un aiuto ad avere quel che la Costituzione prevede come diritto del cittadino italiano.

 E’ invece tragicamente vero che oggi molti modelli di comportamento passano dall’uso distorto delle televisioni, dal concetto che il cittadino sia più consumatore che persona con una coscienza critica. Per i governanti italiani il sostegno della cultura equivale ad un atto di assistenzialismo, mentre il contributo statale per la sostituzione di un elettrodomestico seminuovo è considerato un incentivo economico. I tagli drastici alla cultura non sono mai il frutto di scelte casuali e chi li pratica conosce bene il rischio di dover governare un popolo colto. Un popolo che legge e che va al cinema e a teatro, che ascolta la musica, che studia e fa ricerca è un popolo che sa scegliere, che partecipa, che giudica, che non accetta di ridursi a una “plebe” passiva di consumatori.

E’ soprattutto un popolo che sa difendere, insieme con la cultura, la propria identità e la democrazia. Nei Paesi civili, qualunque sia il colore del governo e l’entità della crisi economica, nessuno si sognerebbe mai di penalizzare la cultura. Perché, nei Paesi civili, la cultura è considerata una priorità, un bene da difendere e incrementare, alla pari con la sanità, con i trasporti, la viabilità e tutto il resto. Come non vedere,poi, che i film di Rosi e Marco Risi (solo per citare un maestro ed un giovane regista tra i tanti…), le fiction su Falcone e Borsellino, i libri di Saviano e di Dalla Chiesa, hanno influenzato molti giovani nel giudizio verso le mafie, facendo capire che gli eroi sono solo coloro che combattono per la legalità? Come non capire che la scuola , soprattutto in alcune regioni e periferie del nostro paese, è la prima frontiera dell’antimafia vera, quella educativa? Invece i nostri governanti non vedono e non capiscono: e viene il sospetto che non vogliano vedere o capire, che pensino che il potere di cui oggi usufruiscono abbondantemente sia invece basato su un livello culturale non alto, (“da terza media e cultura medio bassa” come disse a suo tempo l’attuale presidente del consiglio riferendosi agli spettatori-consumatori delle sue Tv) . Offrendo così il fianco, e la testa, alla sub-cultura mafiosa che proprio di ignoranza e sottomissione si alimenta e vive. Forse non è una scelta consapevole, certo è un corto circuito pericoloso e devastante.

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