Lirio Abbate, serve il coraggio di cambiare registro
E’ il 2007 e sotto un’ auto parcheggiata c’è un ordigno funzionante e in grado di esplodere. Siamo nel quartiere della Kalsa a Palermo e il proprietario dell’automobile è un giornalista, fa il cronista all’Ansa e si chiama Lirio Abbate, pochi mesi prima ha pubblicato un libro che si chiama “I complici” scritto con il collega Peter Gomez. Dentro c’è il racconto di tutte le connivenze, politiche e di professionisti, che hanno permesso a Provenzano di restare latitante per 40 lunghissimi anni. Due mesi dopo Leoluca Bagarella, durante l’udienza di un processo che lo vede imputato, nonostante l’isolamento del 41 bis minaccia lo stesso cronista per alcune notizie pubblicate dall’agenzia poco tempo prima.
Questa è una storia di mafie e informazione in Sicilia e non è la sola. In questi trent’anni di luci e ombre il ruolo del giornalismo nella lotta alle mafie è diventato sempre più centrale, soprattutto nel racconto della zona grigia preziosa per la nuova mafia. Ne parliamo con Lirio Abbate, collaboratore de La Stampa e cronista dell’Ansa di Palermo, invitato alla sei giorni perugina del Festival internazionale del giornalismo.
Davanti al tribunale del capoluogo umbro in questi giorni sono accalcate le maggiori emittenti nazionali e internazionali per seguire le fasi del processo Meredith. Quante ce ne sono davanti a quello di Palermo dove sono in corso processi che raccontano della trattativa, presunta, fra la mafia e parti dello Stato e altri fatti rilevanti per interesse pubblico nazionale?
Beh, quelli sono processi che le televisioni non seguono. Non stanno seguendo quello contro il generale Mario Mori e colonnello Mauro Obino. Lo stesso vale per il processo d’ appello del senatore Marcello dell’Utri. Così come non seguono tanti altri procedimenti penali che riguardano fatti di mafia.
Perché?
Io non sono un giornalista radiotelevisivo dunque non so spiegarti tecnicamente perché loro ritengano di non doverli seguire. Posso ipotizzare – come dice qualcuno in Rai – che le notizie di mafia non facciano audience, non siano più di moda, per cui queste cose comunque non vadano, secondo i direttori, trattate a fondo mentre un omicidio, di importanza e rilevanza, non danneggia nessun uomo politico, nessun appartenente alle istituzioni o ex appartenente alle forze dell’ordine. E’ molto più facile speculare su questi processi che su altri dove ci sono i fili scoperti dell’alta tensione.
Non fanno notizia ma danno fastidio alle mafie. Quaranta colleghi si sono trovati in questi due anni minacciati, intimiditi, in questo elenco ci sei anche tu, dal 2007 sotto scorta. Com’è dare le notizie con la scorta?
Si danno lo stesso, si trovano comunque. Se sai lavorare le notizie le trovi ugualmente, anzi a maggior ragione sei più sereno sai che qualcuno ti guarda le spalle mentre lavori e cerchi le notizie. Chi vuole spettacolarizzare la scorta fa tutto un altro mestiere, non è giornalismo quello.
Uno dei giornalisti che quotidianamente denuncia mafie e collusi in Sicilia – Pino Maniaci di Telejato – è stato di recente accusato di “esercizio abusivo della professione”. Qual è tua opinione in merito?
Penso che non bisogna imbavagliare nessuno. Però bisogna ricordare che se la magistratura ha rinviato a giudizio Maniaci è perché esiste una legge per cui se fai un professione e la fai arbitrariamente, non sei in regola. Ci sono delle regole – detto ciò ovviamente – il giornalismo in Italia non ha bisogno di tessere e nessuno deve imbavagliarlo, neanche la magistratura.
Nel rapporto presentato qui al Festival dall’Osservatorio sui cronisti minacciati, si fa riferimento all’atteggiamento tenuto in questi anni dalle testate regionali, Giornale di Sicilia e La Sicilia, in particolare. Qual è stato il rapporto di questi quotidiani con i temi di mafie e antimafia in questi trent’anni?
Tutti i giornali locali danno le notizie di mafia. La cronaca è assicurata da tutti. I giornali siciliani raccontano la notizia per quello che è. Il problema è analizzare e contestualizzare queste notizie. E ricordarle, talvolta, quando qualcuno ad esempio si candida, se per esempio, ha avuto problemi di mafia: dire chi è o chi sta candidando, spiegare i collegamenti
Questo viene fatto dai giornali siciliani attualmente?
Questo manca. Manca un’analisi e un approfondimento dei fatti di cronaca, ma sul fatto di cronaca tutti i giornali ci sono. Manca una lettura a 360° gradi dei fatti raccontati.
Questo manca. Nell’era dell’informazione, giornali, radio tv e internet, per agganciare i lettori (o gli editori) alcune notizie sono state slegate dal contesto. Così si racconta tutto ma non del tutto. Qualche omissis resta e lo abbiamo letto anche di recente in alcuni giornali di provincia. Qualche collegamento salta e i lettori ormai lo denunciano sui blog. Qualche accordo editoriale non consente il pluralismo dell’informazione e anche questo ormai è stato denunciato anche dal servizio pubblico radiotelevisivo. Il dossier contenuto in “Problemi dell’informazione” ne fa un’analisi completa e senza precedenti e fra le righe del rapporto proprio Lirio Abbate scrive “ . … ci sono fatti che per i giudici non sono penalmente rilevanti ma per noi sono moralmente ed eticamente rilevanti e quindi vanno scritti sui giornali e riferiti in Tv nei notiziari di prima serata. Abbiamo abdicato al nostro ruolo, a quello che l’articolo 2 della nostra legge professionale definisce come l’insopprimibile diritto della libertà d’informazione e di critica […] mi auguro che si possa andare alla ricerca di quella fiducia tra stampa e lettori di cui parla sempre l’articolo 2. Per questo motivo noi giornalisti dobbiamo avere il coraggio di cambiare registro”. (Lirio Abbate, Problemi dell’Informazione, 1-2- 2009. Ediz. Il Mulino)
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