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Scuole aperte per territori educativi

Di Alessandre Del Giudice il . Campania, Dai territori

La Scuola è
uno dei primi luoghi dove la bellezza dei ragazzi può essere scoperta,
condivisa e valorizzata ma solo partendo dall’ascolto e dalla condivisione.

Di questo e
di ciò che può rendere una scuola aperta a 360 gradi, si è discusso
nel seminario “SCUOLE APERTE per territori educativi”, moderato
da Michele Gagliardo, Libera e Gruppo Abele .

Prendendo spunto
dall’esperienza campana di “Scuole Aperte” i relatori, impegnati
concretamente nel campo della formazione dei giovani, hanno ragionato
sulla funzione della scuola in una società sempre più multietnica
e caratterizzata dalle differenze che necessita quindi nuove prospettive,
nuovi modi di sporcarsi le mani a partire dallo scambio con

“Scuole Aperte”
è il progetto lanciato dall’assessore regionale Corrado Gabriele
nel 2002, di tenere aperte le scuole anche nel pomeriggio per laboratori
e corsi di formazione, di teatro, artistici, sportivi, linguistici etc.
tenuti anche da operatori sociali e formatori esterni.

Ma l’idea
di una scuola “aperta” è anche un elemento educativo di grande
valore in ogni realtà scolastica. 

“Le scuole
rappresentano il cuore pulsante di un territorio e il catalizzatore
di energie positive in un momento così fragile.- Ha esordito Michele
Gagliardo introducendo gli ospiti-. L’istruzione è il primo modo
di liberare i giovani e gli adulti dal giogo della criminalità. Attraverso
la cultura bisogna creare percorsi che sappiano restituire a ciascuno
le proprie ambizioni, il proprio protagonismo, riprendere le fila della
propria vita” 

Leopoldo
Grosso, Vice Presidente dell’Associazione Gruppo Abele, psicologo
e psicoterapeuta
ha sottolineato l’importanza delle esperienze
di vita scolastiche ma anche extrascolastiche nella crescita psico-sociale
di un giovane.

“Il diritto
allo studio per la stragrande maggioranza degli studenti- ha spiegato
Grosso- passa per lo star bene a scuola. Altrimenti la scuola è perdente,
i ragazzi scappano non solo fisicamente ma con il disimpegno, creando
conflitto, semplicemente stazionando a scuola.

Far star bene
i ragazzi a scuola è un punto di arrivo più che di partenza. La prima
funzione è quella della relazione. Gli studenti devono sentirsi accettati
e protetti per quel che sono. Nel bene e nel male. Bisogna andare incontro
anche agli studenti meno amabili, più detestabili. Bisogna incuriosire
i ragazzi, interessarli. Si insegna ad essere curiosi, non si nasce
così. Un’altra cosa molto importante è coinvolgere le famiglie non
solo nella discussione dei voti dei figli ma anche sulle problematiche
personali dei ragazzi”.

Infine Leopoldo,
dopo aver raccontato l’esperienza di un ragazzo italiano che in seguito
a numerose difficoltà di studio e psicologiche in Italia è riuscito
ad inserirsi al meglio ad Amsterdam, ha sottolineato come le nuove esperienze
facciano tirare fuori risorse che in altri contesti non si reperirebbero.
Per questo ha suggerito che il progetto di scambio universitario “Erasmus”
dovrebbe essere esteso anche agli studenti del liceo. 

Leandro
Limoccia, Coordinatore del progetto Scuole Aperte

ha mostrato una panoramica dettagliata delle attività e delle finalità
dei progetti realizzati grazie a Scuole Aperte della Regione Campania
passati dai 105 del 2006/2007 agli oltre 550 del 2008/2009.

“Dietro questi
numeri ci sono volti, persone, associazioni, cittadini, università,
imprese- ha sottolineato Limoccia-. Ci sono i volti dei bambini di Afragola,
Ercolano, persone con disabilità, i bambini immigrati che vivono dai
fratelli Comboniani a Castelvolturno e tanti altri. Ciò che ci ha insegnato
“Scuole Aperte” è che bisogna pensare ad un’identità mobile
basata sulla convivialità delle differenze. Bisogna stimolare le nuove
esperienze, l’educazione sociale, la legalità, attraverso il pensiero
critico e conciliando democrazia e legalità. Non bisogna soltanto guardare
le ombre, ma partire dal positivo dei territori per sconfiggere la camorra.
La prossima sfida campana sarà passare dal progetto al piano di  

Paola Maiello
della Federazione Associazioni italiane spina bifida e idrocefalo (FAISBI)

nonché mamma di un ragazzo disabile ha parlato della doppia invisibilità
dei bambini con problematiche fisiche o psichiche: quella dovuta
ai deficit culturali e quella dovuta ai deficit architettonici.

“La scuola
non è capace ancora di accogliere i bambini disabili- dice Paola Macello-,
c’è la mancanza di competenze, di abitudine all’inclusione, alla
relazione con le persone differenti. Inoltre il taglio dei fondi alla
scuola incide proprio sulla mancata presenza di insegnanti di sostegno.

Chissà poi
perché quando la violenza si abbatte su un disabile non ci si chiede
cosa c’è dietro, quali strumenti educativi ha offerto o meno la scuola
per evitare quella violenza. Una violenza che non dipende dal contesto
sociale così detto “elevato” ma è presente ovunque. E’ la scuola
che con le sue barriere culturali ed architettoniche rende i bambini
handicappati. Le differenze invece sono una ricchezza che andrebbe assolutamente
valorizzata”.  

Andrea Brignone
dell’Agesci Napoli,
dal 2001 porta gli scuot sull’isola di Nisida
dove, oltre al carcere minorile, si trova anche una comunità per ragazzi
a rischio.

“Parliamo
tanto di legalità e illegalità ma non si può superare questa divisione
se non andiamo prima a vedere cosa c’è dall’altra parte, se non
ci confrontiamo con chi si trova in quella condizione- afferma Andrea
Brignone-. E per capire il miglior modo è fare insieme. Mangiare insieme,
vivere le esperienze in un contesto naturale come quello di Nitida,
significa costruire. Ma ciò che dico sempre ai ragazzi è : “Non
pensate di venire qui e cambiare il mondo. Possiamo dare un contributo.
Tutto dipende anche dai singoli ragazzi, da chi hanno incontrato sul
loro cammino e dalle esperienze che hanno fatto e faranno”.  

Francesco
Alvaro, garante per la tutela dei diritti dell’infanzia e dell’adolescenza
della Regione Lazio
da 15 anni si interessa del contrasto alla fragilità
sociale da quella dei bambini a quella delle donne. Quella del garante
è una figura importante che però oggi esiste solo in cinque regioni.
“Si sta tentando di creare una figura nazionale.- sottolinea Francesco-
Invece bisognerebbe avere un garante in ogni Regione, perché solo stando
nei territori, a contatto con le realtà locali si può cercare di affrontare
e risolvere i problemi. Io sto realizzando infatti uffici decentrati
e sto cercando di verificare chi sono gli operatori che lavorano in
certe realtà sociali. A volte assisto ad una mancanza di umanesimo,
di accoglienza. In questo senso credo molto nella pedagogia del teatro…
Quest’anno, il ventesimo della convenzione internazionale dei diritti
dell’infanzia. Vorrei che fosse un anno che possa accendere i riflettori
sulle realtà difficili”. 

La testimonianza
di “Scuole Aperte” portata da Nicola Battaglia, attore di
“Gomorra”, è invece quella di chi prima era “dall’altra parte”
e grazie a “Scuole Aperte” è passato “da questa parte”.

“Prima vivevo
molto a contatto con la camorra, a Scampia.- racconta Nicola- Poi ho
partecipato a molti “teatri” come Scugnizzi dove faccio la parte
di un ragazzo che prende il posto di “Don Sannino” quando la camorra
lo uccide. Scuole Aperte mi sta dando la forza di andare avanti. Non
lo dico solo perché sono qui. Oggi sceglierei la legalità. Il mio
sogno è diventare attore”. 

Chiudono il
seminario le parole di Adicoudè
Sena mediatore culturale a “Scuole Aperte”
che affronta il tema
attualissimo dell’integrazione razziale.

“Quando ho
iniziato a collaborare a Scuole Aperte ho pensato alle scuole in Africa
dove tutto è aperto – ricorda Adicoudè-. Bisogna sporcarsi le mani
per fare risorgere la legalità. Mettersi in azione, legale le parole
ai fatti. Se riconosciamo l’altro sul terreno della diversità, dell’unicità
di ogni persona possiamo amarci.

C’è bisogno
di nuovi linguaggi. Abbiamo bisogno dell’ascolto di insegnanti, genitori,
amici. Per fortuna questa società sta cambiando, la società italiana
è già multietnica.

Molti ragazzi
fanno il percorso dell’infanzia e dell’adolescenza in Italia. Purtroppo
si parla di classi separate, di “ragazzi di seconda generazione”.
Ma non è corretto dire così. Se sono nati qui o se abitano qui sono
italiani”. 
 

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