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Strani resoconti del Tg1 e de La Repubblica sulla trasmissione Report dedicata a Catania e agli affari dell’editore Mario Ciancio

Di Domenico Valter Rizzo il . L'analisi

Il Tg1 ha evitato con cura di occuparsi del caso Catania e dei
particolari affari dell’editore Mario Ciancio, denunciati, domenica 15
marzo, con dovizia di particolari, prima da l’Unità e quindi, con un
reportage di grande qualità, dalla trasmissione Report di Rai Tre. Fino
a qui poco male. Il Tg1 e il suo direttore hanno mille cose a cui
pensare e quindi il “caso Catania” e il “ Caso Ciancio” potevano non
essere al centro della loro attenzione.

Ha destato perciò una
certa curiosità il fatto che il 21 marzo nell’edizione delle 13,30 il
TG1 abbia sentito il bisogno di dare notizia del fatto che l’editore
Mario Ciancio Sanfilippo aveva dato mandato ai propri legali di
querelare Report e di chiedere un risarcimento di dieci milioni di euro
da destinare, bontà sua, ad opere di beneficenza. Il Tg1 si è guardato
bene però dal dare notizia riguardo al contenuto della trasmissione
incriminata. Insomma ha dato ampio risalto alla notizia della querela
di Ciancio, ma non ha spiegato ai suoi telespettatori cosa aveva detto
Report su Ciancio e su Catania.

Non una parola sugli affari
dell’editore, non una parola sul sistema di potere, realizzato sempre
da Ciancio, che impone a larga parte della Sicilia e segnatamente alla
seconda provincia dell’Isola, una condizione di monopolio assoluto
dell’informazione, imponendo a La Repubblica non solo di non aprire una
redazione a Catania, ma addirittura di non distribuire nelle edicole
catanesi (fatta eccezione per quella della Stazione e dell’Aereoporto)
l’edizione regionale realizzata a Palermo e stampata proprio a Catania,
ovviamente dalle rotative di Ciancio. Zero anche sui soci di Ciancio
nell’affare del centro commerciale Icom, dove l’editore si trovava in
società col figlio di Giovanni Mercadante, ex deputato regionale,
arrestato per mafia con l’accusa di essere vicinissimo a Bernardo
Provenzano. LO stesso centro commerciale per la cui realizzazione i
lavori di movimento terra sono stati affidati – come raccontato da
l’Unità –  ad una ditta che vedeva tra i suoi soci un soggetto
arrestato per associazione mafiosa. Tutti fatti irrilevanti per il TG1,
mentre era di assoluta rilevanza la querela di Ciancio.

Non c’è però
da meravigliarsi. Il Tg1 si trova in ottima compagnia. La Repubblica
nell’edizione del 16 marzo dava ampio risalto all’inchiesta di Report
su Catania, dedicando una pagina intera alla vicenda. Una pagina,
firmata da Concetto Vecchio, nella quale non si diceva una parola sulla
parte del reportage che denunciava il monopolio dell’informazione e lo
scandalo delle sue copie stampate a Catania e non distribuite in
edicola nella città etnea. Silenzio assoluto anche sugli affari di
Ciancio il cui nome, nell’articolo non viene mai citato.  Il capolavoro
è però  arrivato il 21 marzo. La Repubblica si precipita anch’essa a
dare notizia della querela di Ciancio contro Report, poi, con una
spudoratezza priva di qualsiasi limite, aggiunge che La Repubblica ha
denunciato le stesse cose trasmesse da Report nella pagina pubblicata
il 16 marzo. Le stesse cose, certo ma senza mai nominare né Ciancio e
neppure i suoi affari. Non risulta al momento che  i Cdr del Tg1 e de
La Repubblica abbiano chiesto conto ai loro direttori di queste
scelte. 

Va notato infine che – per  singolare coincidenza –  il
corrispondente de La Repubblica a Catania è persona fidatissima di
Mario Ciancio. Si tratta di Michela Giuffrida, attuale direttore di
Telecolor, storica televisione catanese, acquisita nel 2000 da Ciancio.
Devota all’editore al punto da accettare la direzione dell’emittente,
in sostituzione di Nino Milazzo che non aveva voluto accettare i
licenziamenti di sei giornalisti dell’emittente,  troppo attenti agli
affari dell’editore.

Nino Milazzo, era l’ex vice direttore del
Corriere della Sera e dirigeva da anni  quella redazione alla quale
aveva  garantito libertà piena. Di fronte a quella violenza  si rifiuto
di avallare i licenziamenti e si dimise. Poche ore dopo quelle
dimissioni Michela Giuffrida, che era una semplice redattrice, accetto
la direzione di Telecolor e, il 16 agosto del 2006, guidò il plotone di
esecuzione che mise al muro i suoi colleghi che pensavano e scrivevano
troppo.

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