Migranti e sicurezza, appello ai media:
“Non sono criminali, raccontiamoli”
Emergenza. È un paese in perenne emergenza, quello raccontato dalla tv e dai giornali. Emergenza caldo (d’estate), emergenza maltempo (d’inverno), emergenza sempre. Soprattutto emergenza clandestini. All’anormale si risponde con lo straordinario. E la sicurezza diventa una priorità dell’agenda politica, o meglio certe politiche sull’immigrazione trovano legittimità e si affermano.
È il corto circuito mediatico che porta alla costruzione dello straniero come nemico. Il classico capro espiatorio. Ma il paese reale è un altro. Ecco perché la Cgil, da anni impegnata nella tutela dei diritti dei migranti, ha voluto chiamare in causa i giornalisti, per decostruire i pregiudizi e costruire un nuovo modo di comunicare. Un confronto a tutto campo – insieme agli universitari dell’Udu Roma – nella facoltà di Scienze della comunicazione della Sapienza. Un convegno che chiude la campagna “Stesso sangue, stessi diritti” e inaugura quella nuova, “Non avere paura”.
E invece gli italiani di paura ne hanno parecchia. “Non si scrive della crisi, ma solo della cronaca. Per un colpevole pagano interi popoli”, dice Amalia De Sanctis, segretaria della Cgil Roma e Lazio. Ma gli stranieri sono ormai 4 milioni (il 6,7%), due i regolari, un milione i minori (di cui il 50% nati in Italia ma senza cittadinanza), e infine un milione di irregolari (la gran parte accusabili solo di una semplice infrazione amministrativa), spesso impiegati a nero. “I migranti – spiega il segretario generale del sindacato Flavio Fammoni – sono il 10% della forza attiva del paese”. Pagano 4 miliardi di tasse e dovrebbero avere gli stessi diritti degli altri, ma non è così, ecco perché “lo sciopero generale del 4 aprile ci riguarda tutti”.
Quello della cosiddetta tautologia della paura è un tema che il mondo accademico studia da anni. Il professore Mario Morcellini pone subito un nodo: nel biennio 2002-2004 la consapevolezza dei giornalisti era molto superiore. “Quello della cronaca urlata è lo stile narrativo e linguistico dominante – spiega – e la categoria non sembra voglia mettersi in discussione”. Risultato: la percezione della realtà è influenzata dai media, pesantemente, attraverso un “racconto oltraggiosamente ossessivo”. Un esempio: il picco altissimo di esposizione mediatica della questione sicurezza (fonte Osservatorio di Pavia) nel novembre 2007, mentre i reati calano la gente ha sempre più paura. E il governo cade.
È un assist a Roberto Natale, presidente della Fnsi. “Non siamo esenti da responsabilità, ma la politica sfrutta l’onda delle emergenze, che la stampa poi cavalca”. È un circolo vizioso, “interroghiamoci” dice Natale. Sul populismo mediatico, sulle campagne stampa. “Ma interroghiamoci sul ruolo del giornalismo, perché l’idea che il giornalismo sia il racconto delle emergenze, che per farsi leggere occorra raccontare il sensazionale, titolato e strillato, è un’idea pericolosa. Viviamo in un mondo che ha bisogno di spiegazioni, di approfondimenti”. Non tutto in negativo: dopo la Carta di Treviso (autoregolamentazione sui minori), la Carta di Roma (Fnsi, Odg, Alto commissario Onu per i rifugiati e altri) sancisce le regole deontologiche alle quali “tutti i giornalisti sono chiamati a rispondere” affrontando i temi dell’immigrazione.
Ma resta il nodo di fondo. Raccontare le emergenze della cronaca vuol dire spesso nascondere questioni “scomode”, che si tratti della crisi economica piuttosto che la questione mafiosa. “Per una ragione qualsiasi, un edile rumeno viene criminalizzato – dice Roberto Morrione, direttore di Libera Informazione – mentre un signore col colletto bianco fa affari insieme alle mafie e resta impunito”. Ecco la vera questione sicurezza: “Come dice il pm Antonio Ingroia, il 30% dell’economia italiana, e una parte consistente di quella europea, ha a che fare con capitali mafiosi”. Anche Morrione non nasconde i limiti culturali dei media italiani. Un mercato editoriale “malato”, schiere di precari sfruttati da imprenditori che “coi loro giornali vogliono coprire o promuovere certi interessi”, il giornalismo che “sfrutta l’emotività e diventa prodotto”. Un giornalismo che non ha più contesto: “La velocità nei media di oggi è pericolosa, ogni notizia ha un padre e una madre e avrà dei figli, bisogna approfondire”. Per Morrione è anche una questione di linguaggio, da rinnovare sul modello della Bbc (al bando il termine terrorista), ma anche di Redattore sociale (eliminato il termine clandestino, una scelta trasferita in una campagna sociale partita dalla Toscana).
Ma c’è anche “un’altra televisione possibile” dice Natale parafrasando i quotidiani del giorno. “Quell’uso diverso del servizio pubblico che abbiamo visto in onda con Saviano – aggiunge Morrione – ne tenga conto il nuovo presidente della Rai, l’amico Paolo Garimberti”. Da Fammoni l’ultimo spunto: “L’informazione attualizzi la memoria. Pensate alle classi differenziali della Gelmini: ci sono milioni di italiani emigrati nel mondo, chiedete a loro, chiedete ai ragazzi cresciuti in Germania. I migranti vivono le stesse discriminazioni. Insistiamo, insistiamo, insistiamo”.
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