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Informazione e sicurezza a confronto

Di Rino Giacalone* il . Sicilia

*Nei giorni scorsi mi hanno chiesto di parlare come relatore, assieme ad altri relatori, al congresso provinciale del sindacato autonomo di polizia, il Sap. Ho pensato a lungo su cosa un giornalista quale sono poteva andare a dire. Certo ho pensato subito ad alcune cose ritenendole le più importanti ma che poi sono anche le più scontate.

La prima è stata quella di ricordare, cosa che ho fatto, a quella “pattuglia” di agenti riuniti a congresso, che con loro ci si trova in questa città, Trapani, in questa provincia, in questo Paese, dalla stessa parte della barricata. Noi da un lato, i mafiosi, i criminali, gli ignavi e i collusi da un’altra parte. Noi, da questa parte, che pensiamo a leggi, e a norme che aiutino il Paese a crescere, a difendersi e a tutelare la sua democrazia, loro, quegli altri, che stanno altrove, perchè autori e promotori di leggi pensate a fermare chi ha i compiti di giudicare, indagare e raccontare, scrivendo per giornali e tv, su ciò che succede.

Dire queste cose, come ho fatto, ha ottenuto un risultato di vera condivisione di ideali e pensieri, si è sfondata una porta aperta, col rischio però di cadere nella ritualità. E’ vero, ho pensato, del rischio di dire cose di uno scontato unico ma poi pensandoci ancora meglio ho ritenuto che tutte le occasioni debbono essere sfruttate, e così è stato, per far comprendere che questa nostra società sta correndo precisi rischi e che questa cosa non la si dice tanto per dirla, ma perchè è fondata su dati di fatto.

E’ vera anche un’altra cosa: che simile affermazione suscita in una parte della società sentimenti di contestazione, come se si raccontassero fandonie, per fortuna c’è un’altra parte di collettività che è d’accordo con chi ritiene la democrazia in pericolo e chiede semmai di saperne di più. E dunque questo mi ha dato ragione di parlare di una serie di cose che vanno accadendo.

Ho parlato con molta franchezza al congresso del Sap. Descrivendo una situazione, quella di Trapani, carica di tante anomalie. A Trapani è difficile ancora oggi cogliere indignazione e protesta per tutti quegli episodi che vedono Stato e antistato, mafiosi e colletti bianchi confondersi tra loro. Anzi questa situazione per Trapani è come l’acqua per i pesci, come raccontò un pentito, facendo questo esempio, dell’acqua e dei pesci, per parlare dei rapporti tra mafia e politica. E però credo che si ha un compito preciso quello di continuare a parlare a quella parte di società che è incredula, disattenta, o incosciamente collusa, o connivente con cognizione di causa, per cercare di fare opera di persuasione e convinzione.

Io come giornalista lo faccio ogni giorno sapendo che quello di Trapani è un territorio che si ricorda nei momenti topici, magari quando c’è da esultare per degli arresti o per delle sentenze di condanna, più dei professionisti dell’antimafia che della mafia. A Trapani in generale non suscita fastidio e non dà i nervi il fatto di sapere, dalle cronache giudiziarie relative ai processi penali, che il nome di uno dei più grossi imprenditori edili della città, viene ripetuto di continuo da testi e imputati reo confessi a proposito di mazzette, tangenti e appalti pilotati, ai trapanesi suscita fastidio non la connivenza e la spudoratezza dell’imprenditore, ma la circostanza che sui giornali possa finires stampata questa storia. E se non si passa per politicizzati (perchè quell’imprenditore è anche amico dei politici che così si sentono attaccati) si passa per professionisti dell’antimafia.

Mancano i nomi e al congresso del Sap ho pensato che fosse l’occasione giusta per fare i nomi di questi professionisti: Ciaccio Montalto, Mauro Rostagno, Alberto Giacomelli, Giuseppe Montalto, Barbara Rizzo, Salvatore e Giuseppe Asta, quelli che una fine violenta i mafiosi la volevano far fare, Carlo Palermo e Rino Germanà, quelli che hanno incontrato la morte dopo avere lasciato Trapani, Ninni Cassarà e Natale Mondo. Ma di professionisti dell’antimafia ce ne sono altri, li conosco personalmente e pochi giorni addietro i loro nomi li hanno fatti nell’aula bunker del carcere di San Giuliano i ragazzi delle scuole ericine: ci sono uomini e donne, ci hanno detto quei ragazzi, che oggi calcano le orme lasciate da altre donne e altri uomini e che a costo di sacrifici personali altissimi, lavorare 365 giorni all’anno in questa terra senza avere certezze di ristoro economico, dovendo affrontare ore e ore magari appicciati alla terra e al fango sapendo che i soldi per pagare quello straordinario non ci sono.

I nomi, potrebbero essere quelli di tutti gli agenti di Polizia, Carabinieri e Finanza che lavorano in questa provincia, i loro dirigenti, il capo della Squadra Mobile di Trapani Giuseppe Linares, il magistrato Andrea Tarondo, o altri magistrati che hanno lavorato qui e sono andati via, donne giovanissime che qui sono dovute crescere in fretta come Giuseppina Mione, oggi pm a Firenze che si è occupata di quella mafia alcamese, violenta, arrogante e spietata che suscitava clamore non tanto per il suo agire quanto perchè ad aniomarla erano altri giovani, cresciuti con insegnamenti di morte. Nei confronti di tutti questi non ho mai sentito sprecare una sola parola, se non impegni di solidarietà generici e soprattutto a costo zero.

E allora probabilmente e non l’ho detto sommessamente al congresso del Sap di Trapani, sarà il caso di alzare la voce quando sentiamo qualcuno parlare di professionisti dell’antimafia? Io penso proprio di si.  

Le cose non vanno bene e lo sanno per primi i poliziotti, tutti i tutori dell’ordine, i magistrati e i giudici. In questa graduatoria ci siamo anche noi, i giornalisti. Il segno dei tempi che cambiano è dimostrato dal fatto che oramai di mafia e malaffare si scrive poco e meno. Molti miei colleghi hanno da tempo finito di scrivere di mafia ma ci hanno inguaiti a noi altri che vorremmo scrivere di mafia. Lo hanno fatto quando nel giro di poco tempo quasi presi da una irrefrenabile voglia di gossip sono cominciati a spuntare sui giornali le intercettazioni delle attricette. Apriti cielo. Il Parlamento ha scoperto il caso, ha detto che le intercettazioni non si possono pubblicare, poi ha esteso il ragionamento, ha sostenuto che le intercettazioni vanno proibite, non vanno fatte. Tutte le intercettazioni. Anche quelle che non riguardano le attricette, ma i mafosi e maggiormente i politici sospettati di collusione.

Il risultato davanti agli occhi è questo: le leggi non vengono fatte per tutelare tutti ma per garantire pochi, non per garantirci più libertà ma per fermare le penne di poliziotti, magistrati e giornalisti. Chi indaga, magistrati, investigatori delle forze dell’ordine, un’arma la troveranno lo stesso per agire, ce lo auguriamo, è a noi giornalisti che stanno togliendo la penna che per noi è l’unico prezioso strumento di lavoro.

Togliere l’autonomia alla magistratura, affidare alle forze dell’ordine compiti investigativi e di indagine togliendo però le risorse, impedire ad un giornalista di scrivere, se non quando le sentenze sono passate in giudicato, e magari nel frattempo negli anni che trascorrono il mio vicino di casa potrebbe essere sotto processo perchè pedofilo, criminale, assassino o più semplicemente un corrotto, tutto questo – lo ricorda Marco Travaglio in un suo blog – sta scritto in un piano firmato da un super massone, quel tale Licio Gelli che elaborò il piano di rinascita democratica. Gelli (Travaglio lo ricorda) aveva scritto che “occorreva per decreto una serie di norme urgenti per riformare la giustizia” ed ancora aveva inserito il “divieto di nominare sulla stampa i magistrati comunque investiti di procedimenti giudiziari”.

Gelli – prosegue Travaglio –  aveva capito esattamente che questo del silenzio sui nomi dei magistrati era fondamentale per garantire un Paese dove formalmente la legge è uguale per tutti ma sotto sotto ci sono gli amici c
he sistemano le cose per gli amici degli amici. Che è una storia che è passata per Trapani, e si è fermata, per progredire e continuare a produrre effetti, sviluppata nelle stanze della Iside Due, loggia coperta, e nelle stanze del potere occulto che spesso si confondevano (e si confondono ancora oggi) con quelle del potere politico ed istituzionale.  

Se queste norme su intercettazioni, diritto di cronaca, divieti di pubblicare atti giudiziari, fossero già diventati legge non avremmo mai potuto raccontare, per restare a Trapani, dove non sono certo state scoperte cose poco rilevanti, delle mazzette prese dagli ingegneri capo degli uffici tecnici, delle combine per gli appalti pilotati, dei tavoli dove sedevano (siedono) mafiosi, politici e imprenditori, dell’ingegnere trovato a mangiare l’offerta di una gara di appalto, mai avremmo potuto dire delle malefatte di chi è stato ammanettato per vare truiccato dati pubblici, mai avremmo ptuto scrivere degli intrallazzi della mafia all’interno delle imprese che si occupavano di ricettività turistica, facendo scoprire alla mafia il magico mondo delle false fatture, meno che mai potevano scrivere dei colloqui in carcere di un imprenditore che dava al nipote gli ordini di parlare con senatori e futuri sindaci, nè tantomeno delle recenti vicende riguardanti l’affare degli impianti eolici controllato da mafiosi, imprenditori e politici corrotti.

Vittorio Sgarbi, il critico d’arte che frequenta tra alti e bassi la provincia di Trapani facendo il sindaco a Salemi, mai avrebbe potuto esaltare le sue ragioni contro quei pali eolici che lui contesta dal punto di vista dell’impatto ambientale determinato, perchè mai avrebbe potuto trovare sui giornali una sola riga della faccenda se quella legge fosse in vigore.

Con quelle norme mai avremmo potuto pubblicare le intercettazioni che sono servite a spiegare come mai è finito in galera ed è stato condannato a 20 anni il “padrino” di Trapani Ciccio Pace, rappresentante di Matteo Messina Denaro. Pace è quello che voleva far trasferire questori, prefetto e capo della mobile, insomma se passa questa legge non potremo più fare cronache complete per informare i cittadini su quello che succede. Ma c’è di peggio e ancora una volta ad aprirci gli occhi è Marco Travaglio.

Le intenzioni di don Ciccio Pace ve le ho poc’anzi ricordate. Come è finita è cosa nota. Il prefetto, Fulvio Sodano, fu trasferito, il Governo Berlusconi nel 2003 prese una decisione che i mafiosi avevabo annunciato non si sa ancora se con dati di fatto o solo per coincidenza, ma sono tanti i sospetti che portano a ritenere che delle mani si siano strette per sancire questo accordo a danno di Sodano. Il trasferimento del capo della Mobile Linares fu bloccato grazie ad una norma di legge. Al suo trasferimento per tempo fu opposto il parere negativo della Procura di Trapani e della Dda di Palermo, che per legge debbono dare il loro consenso in casi del genere, quando riguardano investigatori e funzionari di pg. Adesso nelle norme allo studio del Parlamento vi è inserito un articolo che cancella la necessità di questo parere. Insomma Linares e gli altri come lui rischiano di vedersi rimossi senza tanti complimenti.  

Ci sono le norme che danno più poteri a proposito di sicurezza ai sindaci che magari salgono oggi in cattedra e invece di guardare agli sprechi di casa loro, commessi sotto la loro responsabilità, vanno a guardare gli sprechi (sic!) tra le forze dell’ordine. Invece di dare una mano alla sicurezza, alzano barricate.  

Ce ne sono tante di ragioni per cui dobbiamo oggi stare attenti e vigili su quanto sta accadendo. Ai poliziotti che si sono interrogati sulla lora professione e sul professionismo per la sicurezza, ho ricordato che loro hanno anche un compito in più, aiutare la povera gente e chi oggi deve fare i conti con la crisi, dando loro sostegno e voce. Questo lo si può fare non solo intercettando i flussi finanziari che finiscono nelle tasche sbagliate e quindi far si che equamente le risorse vengano distribuite tra chi ne ha titolo, ma anche in altro modo, dedicando attenzione a chi abita nei rioni popolari, nei quartieri più poveri, in quella parte di centri storici non lucciccanti.

Per essere efficace mi ritrovo ancora a citare Travaglio: siamo un Paese dove bisogna essere coraggiosi per fare il proprio dovere e ci sono ancora tante persone coraggiose che fanno il proprio dovere. Negli altri Paesi ci vuole coraggio per fare i delinquenti, in Italia ci vuole coraggio per restare persone perbene. Bisogna fare uno sforzo in più per stare meglio in mezzo alla gente, a quei cittadini che non hanno nessuno che li ascolta, perchè se vogliamo trovare una soluzione ai problemi, che sono intanto quelli di mettere a legiferare persone oneste e competenti, è in mezzo alla gente che dobbiamo stare perchè è lì che possiamo trovare ciò che ci serve per andare avanti, e cioè coscienza e speranza.
 

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