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“Questa terra ha bisogno di noi per riscattarsi”

Di Stefano Fantino il . Campania, Dai territori

11 dicembre 1980. Sono passati solo diciotto giorni dal terremoto
che a fine novembre ha devastato la Campania e non solo. Ma la potente
macchina della camorra già si è mossa. Infiltrarsi nell’assegnazione
dei primi appalti per la ricostruzione è una occasione troppo ghiotta.
A meno che qualche sindaco non metta i bastoni fra le ruote. Marcello
Torre, sindaco di Pagani, di lasciare in mano alla camorra la
ricostruzione non ne vuole certo sapere. E per suo impegno civile fu
ucciso in quel dicembre di quasi trentanni fa, su ordine del potente
boss della Nco Cutolo, come ha accertato il processo riguardante il suo
assassinio.

Annamaria, figlia di Marcello è nervosa quando la incontro
in albergo, poche ore prima della riunione dei familiari che da tutta
Italia sono convolati a Napoli per la giornata della memoria
dell’impegno. Ma nonostante ciò non disdegna un caffè e guardandomi
negli occhi dice: «Sono molto tesa perché oggi pomeriggio farò un
intervento davanti agli altri familiari; per me il 21 marzo in Campania
ha un doppio significato, essendo non solo la giornata della memoria ma
anche un momento di risveglio per la Campania, quell’etica che non solo
“libera la bellezza” ma libera anche la nostra coscienza civile».
Annamaria da quel giorno non ha mai smesso di soffrire: «una morte del
genere non la sorpassi è un dolore costante che ti porti dietro, il
tempo non aiuta, però noi ci battiamo, ci dobbiamo battere perché
questa terra ha anche bisogno di noi per riscattarsi».
Ne è convinta Annamaria che appunta su un foglio questa frase, «mi
servirà per questo pomeriggio, perché anche noi dobbiamo impegnarci e
batterci».

A
Pagani, come mi ricorda Annamaria, il ricordo di suo padre è molto
forte. La realtà paganese, poco considerata dai media, non è certamente
avulsa da logiche camorriste anche oggi: «Non è giusto pensare a un
cono d’ombra che inglobi questa realtà e la preservi perchè la camorra
è molto pervasiva e le collusioni sono all’ordine del giorno». E mi
ricorda le imprese edili che solo qualche giorno fa sono state indagate
per il collegamento con la camorra casalese.

«Non si può parlare di camorra con una visione Ottocentesca della
questione, in un momento di acclarata globalizzazione mafiosa- mi dice
Annamaria- negare questa realtà, questa zona grigia assai diffusa
ovunque è “omertoso”».

Chiedo ad Annamaria come si concretizza soprattutto nella sua città
il suo impegno e il ricordo di suo padre. E lei ricorda le
appassionanti parole del padre scritte nella sua lettera testamento del
30 maggio 1980, indirizzata alla moglie Lucia e ai due figli, Giuseppe
e Annamaria appunto. Pochi giorni dopo sarebbe stato eletto sindaco per
una lista civica, ma già in quella lettera affidava ai familiari il suo
alto senso civico e l’importanza dei valori che avrebbe rispettato
soprattutto dopo l’elezione a sindaco. «Non ho alcun sogno personale.
Sogno una Pagani civile e libera. […] Siate sempre degni del mio
sacrificio e del mio impegno civile». Parole che quasi presagiscono
l’alto sacrificio cui Marcello Torre andò incontro: «Per me l’ultima
lettera di papà è un Vangelo – dice Annamaria- su cui baso la mia vita
e l’impegno nel ricordare la sua memoria, anche tramite il premio e
l’associazione Marcello Torre a lui dedicati».
Nella tensione, nella dura amarezza e nel dolore del ricordo di quei
giorni Annamaria non riesce a nascondermi la sua anima solare anche
quando mi ricorda i momenti più duri non l’ultimo quello dell’uccisione
di Marco Pittoni, giovane tenente dei carabinieri, il cui funerale, lo
scorso anno, portò Annamaria a rivivere il trauma della morte del
padre: «Fu come ritornare a trentanni prima, fortunatamente ci fu più
mobilitazione attiva, ma penso che morti del genere siano una ferita
costantemente aperta».

Il dolore per chi si ne va riesce purtroppo a fare altre vittime.
Il trauma del ricordo della morte del padre così duro per Annamaria è
stato più duro per il fratello Beppe che mai ripresosi da
quell’omicidio è morto sette anni fa. Anche per lui bisogna combattere,
per quel filo di dolore e disperazione che un omicidio lascia dietro di
se. Il 19 marzo la madre di Annamaria Torre e moglie di Marcello e
Iolanda Di Tella, madre  di Don Peppe Diana erano a Casal di Principe.
Ricorrevano i   quindici anni dall’uccisione del prete casalese. Ed era
anche S. Giuseppe. Non solo per don Diana ma anche per Beppe Torre,
strappato sette anni fa alla vita. Le due donne ha portato un mazzo di
fiori sulla tomba di don Diana per ricordare i loro due figli: «Hanno
voluto ricordare così i due Giuseppe, Don Diana ucciso direttamente e
mio fratello vittima di ciò che la camorra ha fatto a mio padre» mi
racconta commossa Annamaria, prima di salutarmi.

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