Riapriamo il caso Alpi
Nella grande piazza del Plebiscito, stracolma delle decine di migliaia di giovani, di cittadini, di amministratori comunali, di rappresentanti della società civile, accorsi a Napoli da tutt’Italia per dare vita alla “giornata della memoria e dell’impegno” voluta da Libera, risuonano dal palco, insieme a quelli di centinaia di vittime innocenti delle mafie, i nomi di Ilaria Alpi e Miran Hrovatin.
Sono stati assassinati a Mogadiscio quindici anni fa, quindici anni senza verità e con poca memoria, nonostante lo straordinario impegno messo in atto dai genitori di Ilaria, Giorgio e Luciana e dall’associazione che ne porta il nome, che non hanno mai cessato di lottare, di denunciare deviazioni, depistaggi ,omissioni, silenzi, complicità istituzionali. Nonostante i procedimenti giudiziari avviati in mezz’Italia, ricchi di indizi e clamorose rivelazioni, ma tutti lasciati infine cadere, fino all’ultima esile speranza assegnata alla Procura di Roma per una riapertura delle indagini. Riapertura certo possibile, ma molto problematica, dopo che la Commissione Parlamentare che vi ha lavorato per anni si è conclusa nel 2006 spaccandosi fra la relazione di maggioranza, guidata dal presidente Carlo Taormina e due di minoranza, che contestavano le affermazioni del Centro-Destra. I genitori di Ilaria hanno ritenuto volgari e calunniose le conclusioni e alcune affermazioni di Taormina, volte a negare qualsiasi pista legata all’inchiesta che la giornalista conduceva sui traffici d’armi e di rifiuti tossici e a dare all’agguato un tratto casuale o al più terroristico.
Nonostante quella pista sia stata confermata da numerose testimonianze, a ogni livello, compreso quello di uomini del SISMI e nelle inchieste realizzate da giornalisti che non si sono lasciati intimidire dal potere, in articoli e servizi televisivi di denuncia, in libri frutto di documentazioni e del pericoloso lavoro da inviati in Somalia, un paese dove a tutt’oggi si può facilmente morire.
Non sta a me ripercorrere qui il lungo cammino di chi chiede ancora giustizia e verità. Altri lo hanno fatto sollevando pesantissimi interrogativi sul ruolo in questa tragica storia di settori dei servizi segreti, di potenti ambienti affaristici, finanziari e massonici, di personaggi italiani e internazionali collegati a interessi di natura illegale e criminale, di settori e personaggi della Cooperazione allo Sviluppo del Ministero degli Esteri. E’ a tutti costoro che si deve la mala-gestione di enormi finanziamenti ai paesi africani, primo fra tutti la Somalia, migliaia di miliardi delle vecchie lire, che hanno in molti casi coperto il traffico d’armi e la corruzione in cambio dell’accoglienza sul disgraziato territorio somalo dei veleni mortali dei rifiuti tossici, con i conseguenti drammi sanitari che investono in modo crescente la popolazione civile.
Ciò che voglio invece sottolineare è che a buon titolo il duplice delitto, per il quale sta scontando una pena solo uno dei somali che parteciparono all’attentato a Mogadiscio, per di più con un incerto ruolo diretto nel delitto, può essere considerato un crimine di alta mafia. In senso morale e generale, perché è culturalmente “mafiosa” una linea di omertà e coperture, quale quella attuata da funzionari dello Stato, da imprenditori cinici, in grado di affermare insieme tutto e il suo contrario, di contraddirsi platealmente anche in sede giudiziaria, come induce a pesanti sospetti l’avocazione a Roma e di fatto il bavaglio posto a serie e approfondite indagini, quali quelle della Digos di Udine o delle Procure di Torre Annunziata, Asti, Milano. Nel Paese degli “omissis”, il confine fra compiti istituzionali, ruoli e responsabilità politiche e il “mare magnum” della corruzione, che apre la porta agli interessi criminali, è incerto e sempre più esile: Ilaria e Miran l’avevano abbondantemente superato già 15 anni fa, con la loro passione professionale e lo scrupoloso impegno dell’inchiesta investigativa.
Ma anche sul terreno concreto delle indagini, sono molti i riferimenti che si affacciano ripetutamente e che inducono a inquietanti domande. Dice uno dei testimoni, implicato in un ruolo di mediatore dei traffici: “spesso questi affari potevano avvenire grazie al coinvolgimento di mafiosi che garantivano protezione e , all’occorrenza, lavori sporchi”. E ancora ci sono il lavoro della Commissione Parlamentare che ha indagato nelle scorse legislature sui traffici di rifiuti e le inchieste giudiziarie delle Procure di mezz’Italia, a partire da quella di Reggio Calabria, mentre le recenti vicende dei rifiuti in Campania e nelle regioni meridionali hanno messo in rilievo il ruolo peraltro ancora in corso dei potenti clan della camorra e della ‘ndrangheta in tutti i traffici di rifiuti dall’Italia e dall’estero.
Infine sono da chiarire le vicende e il ruolo di precisi personaggi che hanno certo avuto a che fare con l’inchiesta di Ilaria, che li conosceva bene e che, in un modo o nell’altro, sarebbero stati in grado di approfondirne i contorni, se non fossero stati uccisi, in circostanze ancora da chiarire…Come il maresciallo Vincenzo Li Causi, uomo dei servizi segreti militari, ucciso in una strana sparatoria in Somalia nel Novembre del ’93, dopo avere avuto un ruolo centrale nella gestione segreta a Trapani del centro Scorpione , legato all’organizzazione Gladio e ai traffici da un vecchio aeroporto militare in quella zona. E proprio a Trapani si svolge e si conclude la vicenda umana e giornalistica di Mauro Rostagno, che secondo molte circostanze e testimonianze mai del tutto chiarite avrebbe conosciuto e documentato proprio i traffici in corso da quell’aereoporto. Un delitto, il suo, certamente compiuto materialmente dalla mafia – come attesta l’inchiesta ancora aperta dopo molti anni da parte del Procuratore Aggiunto di Palermo Antonio Ingroia – ma con risvolti che hanno chiamato in causa Francesco Cardella, ex responsabile della Comunità Saman, amico di Bettino Craxi, già indagato per quel delitto e ora rifugiato in Nicaragua, Stato che lo ha anche incaricato di delicati compiti diplomatici.
La strana coincidenza è che il braccio destro di Cardella in Sicilia,Vincenzo Cammisa (detto Jupiter) personaggio losco legato ad ambienti mafiosi, a sua volta in un primo momento arrestato per il delitto Rostagno, era proprio negli stessi giorni a Mogadiscio, anzi sembra a Bosaso, ultima tappa nell’inchiesta di Ilaria prima di tornare nella capitale somala e andare incontro all’agguato… Srane coincidenze o coperture inquietanti, dunque, sulle quali occorrerebbe aprire una nuova inchiesta a vasto raggio, per rispondere a una domanda di fondo. Chi sono i potenti personaggi che erano in cima ai percorsi dei traffici criminali e alle deviazioni della Cooperazione sui quali Ilaria era certo arrivata tanto avanti da indurli a ordinarne l’eliminazione fisica? E cosa proteggono realmente i rami deviati dei Servizi che hanno offerto una così disonorevole doppiezza?
Per ora, purtroppo, la vicenda di Ilaria e di Miran termina qui. Con l’immenso vuoto nell’animo di Giorgio e Luciana Alpi, con l’impegno di un Premio giornalistico che vuole rilanciare quel bene raro e prezioso che è l’inchiesta televisiva, con la richiesta di memoria e verità di tanti colleghi, cittadini, giovani, che non si rassegnano a subire un’informazione omissiva guidata dall’alto.
E’ certo troppo poco, ma è già qualcosa: Ilaria e Miran non sono stati dimenticati.
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