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In 150mila contro le mafie e per i diritti

Di al.ma. il . Campania, Dai territori

È il popolo degli onesti a scendere in piazza a Napoli. Sfilano in 150mila alla quattordicesima giornata della memoria e dell’impegno, tanti giovani, tante famiglie, insieme ai migranti campani, ai volontari dell’antimafia sociale, ai familiari delle vittime delle mafie. In marcia contro la criminalità organizzata, ma soprattutto in marcia per la giustizia e per i diritti. Il 21 marzo di Libera e Avviso Pubblico si trasforma quest’anno in un rito civile ancora più carico di significati, per dire no alle cosche e al terrorismo, per onorare la memoria di chi è stato ucciso perché si è opposto ma anche delle “vittime del dovere”, per riscattare la bellezza di un paese assediato dai clan e dalla corruzione. Nel primo giorno di primavera il lungomare partenopeo è un simbolo, è il chilometro più bello d’Italia.

 

E Napoli ritrova un altro simbolo: Roberto Saviano sale sul palco in piazza Plebiscito, accanto a don Luigi Ciotti e Ilya Politkovskij, il figlio di Anna Politkovskaja, accanto ai familiari delle vittime delle mafie e ai tanti rappresentanti delle istituzioni. Arriva a sorpresa e la sua voce ricorda i nomi dei sei immigrati africani uccisi a Castelvolturno, della giornalista russa, delle vittime della faida di Scampia e di Annalisa Durante, uccisa a Forcella a soli 14 anni. È un messaggio ai camorristi, che il fondatore di Libera sfida e ammonisce: “Che vita è la vostra? Vi aspetta il carcere, la clandestinità, la morte. I vostri beni li confischeremo tutti. Fermatevi”. Ma è anche un messaggio alle istituzioni: “Saremo una spina nel vostro fianco, con le nostre idee e il nostro impegno” dice don Ciotti. Perché “bisogna dare vita ai diritti”, a quei diritti affermati dall’articolo 1 della Costituzione “che nessuno può mettere in discussione”, nel rispetto della giustizia sociale e della legalità, “un concetto che troppo spesso si piega a facili strumentalizzazioni per legittimare provvedimenti che vanno in direzione opposta”. Un messaggio alla politica “che calpesta tutti i giorni la legalità e la giustizia”.

 

Il corteo. Sono arrivati da tutt’Italia e da 30 paesi europei, con due navi e decine di trene, con 800 bus e centinaia di auto. Un fiume di gente, gioioso e composto. In testa i 500 familiari delle vittime, che portano le foto dei loro cari e aprono la marcia con le parole di Mameli. Sfila il popolo dell’antimafia, mentre dagli altoparlanti risuonano i nomi dei tanti caduti per mano delle mafie. Sono più di ottocento, ogni nome è un esempio. Chi si è opposto al pizzo e chi ha detto no, chi è morto perché ha fatto il proprio dovere, con la toga o con la divisa. È la memoria che si rinnova e si rafforza con i nomi delle vittime del terrorismo. La memoria che si fa globale con i dieci nomi delle vittime delle mafie europee.

 

I colori.Un corteo gioioso e festoso. I ragazzi delle scuole medie campane si vestono da clown, quelli di Lucca hanno il volto coperto da fazzoletti bianchi, perché “vogliamo guardare con altri occhi”. Dietro uno striscione giallo ci sono gli africani del Movimento dei migranti e rifugiati di Caserta, che marciano “Contro la camorra e il razzismo”. Magliette bianche con un codice a barre e un uomo con il cappio al collo ricordano che “La mafia ha un prezzo”.  “Vivo in mezzo alla mondezza, la vogliamo spazzare sta camorra o no?” dice ridendo Ugo, un bambino di Scampia. Gli studenti dell’Uds e dell’Udu cantano e ricordano che l’antifascismo è un valore. Dal camioncino parte un pezzo storico dei 99 Posse, “il sole splende forte a piazza Plebiscito”. E la fantasia linguistica supera l’eccellenza quando su un cartello si legge la coniugazione del verbo camorrare.

 

La denuncia e la speranza. Ma quello di Napoli è anche un momento di protesta. Mario Congiusta – il padre di Gianluca, usccio a Siderno dalla ‘ndrangheta – alza le mani coperte da guanti bianchi con una scritta che è un’invocazione: “Certezza della pena”. Claudio Fava dice secco a un cronista che lo interroga sul caso del sottosegretario Cosentino: “Non è vero che il governo non ci dà risposte, il silenzio è già una risposta”. E Rita Borsellino parla con dolcezza ai ragazzi che la fermano e la salutano: “Avete visto in quanti siamo. Dobbiamo crederci, se ognuno di noi porta anche solo un’altra persona allora ce la possiamo fare”.

 

Sul palco. La primavera debutta in piazza Plebiscito coi girasoli portati in braccio da due ragazze sorridenti. Quando il corteo entra nello slargo la coda deve ancora partire, e ci metterà parecchio a guadagnare la piazza. Don Tonino Palmese, referente campano di Libera insieme a Geppino Fiorenza, accoglie la folla mentre sul palco si susseguono gli ospiti, si leggono i nomi dei morti.

 

Le testimonianze. Ci sono le autorità, ci sono i familiari, ci sono i racconti. A parlare per prima è Anastasia, studentessa scesa a Napoli insieme ad altri 1500 torinesi. Racconta l’esperienza della coopeativa nata su un bene confiscato a San Sebastiano da Po. Una cascina presa alla ‘ndrina Belfiore, quelli che ammazzarono il giudice Bruno Caccia nell’83, proprio in Piemonte. “La mafia c’è anche al Nord”, ma c’è anche l’antimafia, che faarte e cultura e si prepara alla produzione del miele, un altro dei tanti prodotti di Libera Terra. Il giorno della memoria e dell’impegno dà voce ai migranti, agli africani colpiti lo scorso settembre. Moamadou Ji, della Rete antirazzista di Caserta, non li vuole commemorare, “perché sono qui insieme a tutte le altre vittime”. E per loro, “per la convivenza e la solidarietà” si scenderà ancora in piazza il 18 aprile proprio a Castel Volturno. La commozione sale quando il figlio della Politkovskaja dice poche ma sentite parole: “Andate avanti, dobbiamo essere sempre di più”.

 

Grazie Napoli. Il dolore si trasforma in speranza quando Alessandra Clemente racconta la storia di sua madre, Silvia Ruotolo, ammazzata nel ’97 quando aveva 39 anni. Alessandra è giovane, ma fortissima: “Non dobbiamo arrenderci. Ci hanno travolti con la loro violenza, senza alcuna motivazione. Ma noi dobbiamo raccontare le nostre storie, abbiamo il dovere e il diritto di farlo”. Quasi una liberazione, in quella che “è la mia città e finalmente posso dirlo, grazie Napoli”.

 

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