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Lenzuola bianche sui balconi
come nel giorno del funerale

Di Alessio Magro il . Campania, Dai territori

Dieci, venti, trenta, cento, urla di dolore e di speranza, di pace e di sdegno. Urla mute, silenziose. Ma a Casal di Principe a parlare sono anche le lenzuola. Lungo il viale sporco e polveroso, di una periferia che più periferia non si può, quelle lenzuola, le più belle e le più ricamate, squarciano il pregiudizio. Le lenzuola bianche, come nei giorni di processione. Un simbolo religioso, di una religione antica e varia, il bianco della vergine, della purezza, il bianco della vita. Quelle lenzuola accolsero la salma di don Peppe Diana, ammazzato dalla camorra dei casalesi con la c minuscola, nel giorno del funerale, quindici anni fa. Le stesse lenzuola accolgono oggi i 20mila accorsi da ogni parte d’Italia per onorare la memoria del prete antimafia. Solo urla di dolore e di speranza, per una vita che è stata stroncata, la vita di un sacerdote. E per la nuova vita, la vita futura dei Casalesi con la C maiuscola. Quelli che protestarono nel marzo del ‘94 e protestano oggi, a modo loro.
Protestano con “quelle lenzuola bianche dal grande significato” dice Piero Marrazzo, il governatore del Lazio, andando con la memoria al padre Joe, il grande giornalista dalle inchieste scomode che morì prima che la mafia potesse ucciderlo. “Mio padre era di Nocera Inferiore – racconta Marrazzo – terre come questa, dove anche un piccolo segno come quelle lenzuola è dirompente”.
Sui balconi del viale che porta al camposanto di Casale, sulle porte dei negozi e sui portoni dei palazzi ci sono i vecchi e i giovani del paese. Ti guardano straniti, perché “qui la gente vive ancora con sgomento e con sfiducia” dice il senatore Lorenzo Diana, uno che conosce uomini e cose e che ha conosciuto più volte il sapore delle minacce di morte. Sopportano, sopportano tutto, ma l’assassinio di un prete, e di un prete come don Peppino, quello è troppo. E allora dalla piega di uno sguardo, dal silenzio, dalle mani giunte sulle finestre di casa, dai segni di croce fatti alla svelta ti accorgi che forse si va troppo avanti con i giudizi. Perché queste sono anche e soprattutto le terre di don Peppe Diana.
Oltre le porte del cimitero tutti i casalesi tornano uguali. Viali squadrati, lapidi allineate, cappelle uniformi, la città dei morti è ordinata e regolare, l’abusivismo selvaggio è per i vivi. Fiori e lumini fino in fondo alla strada, una svolta a destra e appare una lunga fila di scout in processione, è il sepolcro di don Peppe. Due scalini, le tombe dei familiari, la lapide, i ceri e i santini e le croci, poi un epitaffio di speranza: “Dal seme che muore nasce una messe nuova di Giustizia e di Pace”.
In sette piazze del paese si sono ritrovati i giovani, le associazioni della zona, laiche e religiose, tutti insieme al Comitato don Peppe Diana e a Libera. Le mele annurca, i maccheroni alla sorrentina, le zeppole di San Giuseppe, il vino e il cous cous. Negli stand si dà vita alla solidarietà e alla fratellanza, alla tradizione e all’accoglienza, ci sono gli immigrati e le signore coi loro segreti da casalinga, i tanti manifestanti venuti da fuori e gli abitanti della zona. E in queste piazze che i casalesi non sono più uguali, la memoria fa rivivere l’esempio di don Diana. Il testimone è raccolto.
A Casale è arrivato il tempo del raccolto.

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