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«Quattro mosse per dare scacco ai clan»

Di Giovanni Marino* il . Campania, Interviste e persone

Si può combattere la camorra anche senza armi. Senza manette. Senza
divise decorate da gradi. Don Luigi Ciotti ci crede. E lo fa. Da anni.
Stringendo gli occhi come fessure nei momenti più duri. Aprendosi in un
sorriso quando le mafie devono cedere il passo alla forza e allo
spirito della legalità. Come sarà tra breve, sabato 21 marzo, equinozio
di primavera. In tutti i sensi, nella lotta alla criminalità
organizzata. «Saremo tantissimi nel corteo che sfilerà per Napoli,
verranno giovani da tutto il mondo, rappresentanti di almeno 30
nazioni», assicura con entusiasmo contagioso il fondatore di Libera e
il primo animatore della “Giornata della memoria e dell’impegno” in
ricordo delle vittime delle cosche.
Luigi, come invita tutti a
chiamarlo, crede ostinatamente nell’esempio e nella parola. E riesce a
vedere la speranza anche lì dove potresti annegare nel più cupo
pessimismo. «Chi perde la vita per la giustizia, le vittime innocenti,
in realtà donano la loro esistenza per un ideale superiore. Tracciano
una strada che noi abbiamo il compito di seguire e il dovere di non
dimenticare».

Non dimenticare. È un impegno per don Ciotti.
«Lo dobbiamo a questi uomini e donne coraggiosi. Lo dobbiamo a loro e a
noi stessi. Alla società». E spiega cosa si cela dietro una giornata
come quella del 21 marzo. «Siamo andati a trovare quei familiari che
pensavano di essere stati abbandonati all’oblio e, uno ad uno, li
abbiamo convinti a percorrere il nostro cammino. A unirsi ai molti
altri che da tempo hanno deciso di non chiudersi nel loro dolore.
Genitori, fratelli, sorelle, mariti, mogli, fidanzati, figli che
addirittura prendono le ferie pur di poter portare il loro messaggio
anticamorra ai ragazzi delle scuole. Lo fanno a loro spese. Ed è un
circolo virtuoso quello che si instaura, una cosa bellissima».
Prosegue: «Ho davanti a me gli sguardi di alcuni familiari di vittime
delle zone interne della Campania; persone piegate, incapaci di
proseguire dopo il lutto. C’è stato un colloquio, intenso, e alla fine
hanno deciso: saranno con noi, possono dare ancora molto nell’azione
anticamorra».

Don Ciotti svela un contatto che ha stabilito
proprio in queste ore. «Non amo fare nomi, ma credo sia giusto dire che
la mamma di Gelsomina Verde, nota a tutti come Mina, la ragazza
innocente uccisa durante l’orrenda faida di Scampia, ci ha incontrato
con tutto il carico della sua enorme sofferenza umana. Voleva parlarmi.
E io l’ho ascoltata a lungo. È stato importante. È fondamentale stare
vicino a chi ha subìto una perdita così atroce. Così ingiusta. Farle
comprendere che può diventare una sentinella della legalità e
diffondere il suo messaggio a tutti, a partire dai più giovani». Quanti
ricordi di un impegno ormai antico. «L’immagine di don Peppino Diana è
scolpita nella mia mente. Venti giorni prima di essere barbaramente
assassinato mi invitò a Casal di Principe, aveva il solito entusiasmo,
il suo naturale coraggio, la sua proverbiale voglia di dare agli altri.
Che bel dialogo con lui. Adesso ho un contatto continuo con i suoi
genitori, che mi portano la mozzarella così come la portavano al loro
straordinario figlio. E quando a Capua mi hanno consegnato un premio,
il Follaro d’oro, ho accettato solo a una condizione: che potessi darlo
al padre e alla madre di don Diana. Insieme, abbiamo deciso che lo
incastoneremo nella tomba di Peppino, morto per amore del suo popolo».
Casal di Principe, nel mondo ormai sinonimo di malavita. «Mi auguro di
contribuire a cambiare le cose, da lì può partire la riscossa. Ci sono
tante anime buone. Vanno aiutate. Lo faremo. A Casale vado spesso. Una
volta pubblicamente invitai i capi camorristi a cambiare pagina, a
chiudere il libro degli assassinii. Ricevetti una lettera della signora
“Sandokan”, la moglie del padrino Francesco Schiavone. Non erano
proprio rose e fiori le parole che usava nei miei confronti».

Nella
creatura di don Ciotti, Libera, confluiscono qualcosa come 1500 grandi
associazioni. C’è il rischio che camorra e mafia si infiltrino e
cerchino di inquinare la struttura? «Sono realista. Devo esserlo. C’è
stato un mafioso, in Sicilia, nella zona di Villabate, che chiese di
poter aderire a Libera. Fortunatamente capimmo tutto e gliela negammo.
Siamo in contatto con le prefetture italiane, che altro possiamo fare?
Contiamo pure sul fatto che un organismo sano espelle sempre uno
infetto». Don Luigi conosce l’importanza di una comunicazione incisiva
e usa uno slogan per dare sprint alla lotta alla camorra: «Le 4 C:
coerenza e continuità nell’azione, credibilità di quello che si fa,
cultura».
 
Quanti affetti nati sul dolore. «Tanti. Non ce la
faccio a ricordarli tutti. Cito Alessandra Clemente, era una bimba
quando la madre Silvia Ruotolo fu uccisa durante una sparatoria. Adesso
è una giovane donna e sarà lei a parlare dal palco, il 21 marzo».
Pochi
lo sanno, ma la famiglia Ciotti ha un cordone ombelicale con Napoli:
«Mio padre, Angelo, venne qui a lavorare nel 1945. Rimase 10 anni e gli
è rimasta nel cuore la creatività e la generosità di questi luoghi. Se
ci riesco, il 21 marzo, porterò papà Angelo qui. E magari lui si
metterà alla testo del corteo. Per dimostrare che c’è un’Italia che non
dimentica le vittime innocenti. Un Paese che ha la responsabilità della
memoria. E vuole divulgarla».

*da Repubblica – Napoli

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