Le cinque W del giornalismo universitario
Parteciparanno per il secondo anno consecutivo al Festival del Giornalismo di Perugia, per parlare dell’importanza del giornalismo universitario e della loro esperienza catanese. Sono i ragazzi di Step one – giornale on line dell’ateneo catanese che proprio in questi mesi viene “messo in dubbio” da alcune delibere del Senato accademico. In attesa che l’Ateneo si pronuci sulla sorte di questa esperienza che in questi anni è diventata un luogo di informazione non solo per l’università ma anche per la città, a seguire un approfondimento sul “caso Step one”. Con la speranza, ovviamente, che non di “caso” Step one si continui a parlare ma di uno Step one che vive, continua a raccontare quello che vede, liberamente.
di Gianfranco Faillaci e Roberta Marilli*
Cinque W, come sempre. È da lì che si parte ogni volta che si parla di giornalismo.
Ed è da lì che dobbiamo ricominciare per discutere di cosa sia il
giornalismo universitario: tra i redattori di Step 1, tra i docenti di
quest’Ateneo e con i nostri lettori e amici, vicini e lontani.
Urge un dibattito, per nulla accademico, che nasca adesso, in un
momento e in un luogo preciso. Nel momento in cui, dentro il nostro
Ateneo, si mette in dubbio – su iniziativa dello stesso Rettore – il
senso ed il valore del progetto di questo giornale. Nel momento in cui
Step1 è invitato ufficialmente, per il secondo anno consecutivo, al Festival Internazionale del Giornalismo di Perugia.
Un giornale scritto da studenti che studiano comunicazione è o non
è un progetto didattico? Un giornale didattico deve essere un vero
giornale, libero e pluralista, o va visto come una semplice propaggine
dell’Ufficio stampa d’Ateneo?
Sono questi i temi da cui dipende il futuro di Step1. Ripercorriamoli, appunto, attraverso le cinque W.
Who. Prima domanda:
chi fa il giornale? La risposta è semplice: giornalismo universitario è
quello fatto dagli studenti. Non da soli, naturalmente. Essi devono
avere il supporto di tutor professionisti, che insegnino il mestiere e
le sue regole, che controllino la correttezza deontologica e legale
degli articoli, che aiutino ad affinare la scrittura e spingano a
confrontarsi con forme sempre più complesse di lavoro, con le
innovazioni della tecnologia, con i nuovi linguaggi. Ma un giornale
universitario ha anche una risorsa in più: il sapere e la voglia di
discutere di tutti quei docenti che, da dentro l’Ateneo, intendano
contribuire – con editoriali, opinioni, spunti di dibattito –
alla libera circolazione delle idee.
What. Già. Cos’è giornalismo? È, prima di tutto, ciò
che la legge definisce come tale. E secondo la legge «è diritto
insopprimibile dei giornalisti la libertà d’informazione e di critica,
limitata dall’osservanza delle norme di legge dettate a tutela della
personalità altrui ed è loro obbligo inderogabile il rispetto della
verità sostanziale dei fatti, osservati sempre i doveri imposti dalla
lealtà e della buona fede».
Queste regole non vanno applicate solo al Corriere della Sera,
ma valgono anche per un giornale scritto da studenti. La libertà di
informazione e di critica – principio di rango costituzionale – va
praticata anche all’Università.
Ma c’è chi confonde giornalismo e comunicazione istituzionale, o
“pubblica” (un neologismo che fa riferimento ad alcuni sbocchi
professionali: gli uffici stampa delle pubbliche amministrazioni, gli
uffici delle relazioni col pubblico, ecc.), chi sostiene che il
giornalismo universitario vada posto sotto la tutela dell’informazione
ufficiale d’Ateneo, sotto il vaglio dell’ufficio stampa o del portavoce
del Rettore. Se applicassimo questo discorso ai grandi giornali,
l’assurdità sarebbe evidente: nessuno penserebbe mai che il Corriere della Sera possa diventare un supplemento della Gazzetta Ufficiale.
Perché ciò che è assurdo per i grandi dovrebbe diventare logico e
naturale per i piccoli? È un modello profondamente sbagliato,
inconciliabile con la formazione al giornalismo; conformista, di scarso
livello e tendenzialmente autoritario.
When. Il giornalismo universitario non è un
fenomeno recente, esistono ormai numerose ricerche, anche storiche,
sulla stampa studentesca. Il suo sviluppo e la sua capacità
di comunicazione hanno ricevuto però una potente accelerazione dal web.
Magazine, radio, tv, siti web universitari nascono sempre più
frequentemente in tutta Italia. Nascono con l’intenzione di informare
sui più vari aspetti della realtà, senza altri limiti che non siano
quelli del mestiere che si impara facendolo, e della correttezza
deontologica. L’esperienza catanese – di cui fa parte Step1, così come
ne fa parte il settore giornalistico di Radio Zammù – è tra le più
longeve, e gode anche di una discreta considerazione fuori dall’Ateneo
e dal territorio di appartenenza. Siamo dunque di fronte a
un paradosso: proprio mentre altrove si va imboccando la stessa strada
che noi seguiamo da anni, e di cui siamo stati anticipatori, ci viene
proposto di far dietrofront. E di tornare all’informazione in livrea.
Where. Il giornalismo universitario è legato ad un
luogo (l’Università) che è a sua volta parte di luoghi più ampi (la
città, il mondo). Che esso debba coltivare il suo specifico, quello di
raccontare il mondo accademico, è fuori discussione. Il programma del
Festival Internazionale del Giornalismo di Perugia non mette in
discussione neanche il resto: «Qual è la missione che i giovani
aspiranti giornalisti si prefissano per “movimentare” il loro Ateneo e la loro città?».
Eppure, proprio l’idea che il giornalismo universitario esca dalle aule
è quella che ispira più diffidenza. Ma si può negare agli studenti che
si accostano al giornalismo il diritto-dovere di affacciarsi sul mondo
che li circonda? Si può insegnare l’etica della notizia spiegando loro
che ci sono cose che non vanno raccontate? Si può farlo, poi, in una
città in cui le voci che raccontano sono già così rare? Si
può insegnare un mestiere cominciando dal negarne la deontologia?
Why. I giornali universitari si fanno per insegnare e
per permettere agli studenti di imparare. Sono esperienze didattiche
che devono coinvolgere chi studia e pratica il mestiere, perché solo
chi lo conosce potrà insegnarlo agli altri. Visto che nessuno ha mai
imparato una professione semplicemente rimanendo seduto sui banchi, è
ovvio che le esperienze didattiche sul giornalismo prevedano la
prassi, come anche le esperienze delle grandi scuole di professione ci
insegnano e come ci insegna la stessa storia del giornalismo. Eppure
c’è chi afferma che un giornale che insegni una professione attraverso
la pratica vada oltre il suo statuto didattico, imbocchi una strada
pericolosa. Qui non è più in questione solo la natura del giornalismo.
È pure in questione la natura della didattica, la legittimità di
un apprendimento basato (anche) sul fare, e non semplicemente
sull’approccio teorico. È in discussione, in fondo, il senso stesso del
verbo insegnare.
È forse la più sottile delle questioni fin qui poste. Ma non è certo – dentro un Ateneo – quella meno importante.
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