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Placido Rizzotto una vittima della lunga strage

Da Corleone Dialogos il . Dai territori, Sicilia

L’Italia è un paese di misteri
e di stragi, dove spesso alla criminalità, al terrorismo si aggiungono
servizi deviati, politici, pezzi dello Stato. Uno dei tanti casi è
quello che verificatosi in Sicilia tra il 1946 e il 1948. Per avere
una visione più chiara non si può non tener conto delle influenze
internazionali, dei rapporti politici italiani e regionali. L’Italia
usciva dal fascismo ed era governata da un governo di unità nazionale
tra le sinistre, la DC e i partiti minori, erano escluse le destre.
In tale clima il Ministro dell’agricoltura Fausto Gullo, del PCI,
ha approvato dei decreti che permetteva alle cooperative di contadini
di avere assegnati i terreni incolti o mal coltivati. Non dimentichiamo,
che tale principio era rimasto sulla carta dopo essere state emanate
due leggi, una nel 1906 e una nel 1920. I contadini dopo anni di guerra,
con la liberazione e spinti dal Partito Comunista, dal partito Socialista,
con la CGIL formano un movimento contadino che rivendicava proprio l’applicazione
della legge. Questo contrastava sia con gli interessi della classe agraria,
sia gli interessi della mafia da sempre braccio armato dei primi. In
questa situazione s’innesta anche la fine della luna di miele tra
Unione Sovietica e USA, infatti, viene formulata la dottrina Truman
con la quale gli USA dicono di opporsi in tutte le parti del mondo all’Unione
Sovietica. In Sicilia tale messaggio si traduceva nel fermare assolutamente
il Blocco del popolo, formato da comunisti e socialisti, che alle elezioni
regionali del 20 aprile del 1947 avevano ottenuto il 30% dei voti e
quasi un terzo dei seggi dell’Assemblea Regionale. La DC perdeva voti.
Di lì si ebbero due reazioni, da un lato la lunga strage che ebbe il
suo tragico picco con la strage di Portella delle Ginestre e la morte
di decine di contadini, braccianti, sindacalisti, sindaci e consiglieri
comunali, quasi tutti di orientamenti politici comunisti e socialisti,
fino al 1948 in cui si svolsero le elezioni nazionali, dall’altro
invece le sinistre usciranno dal governo nazionale. Una lunga strage
che intendeva fermare il movimento contadino, di sinistra, che rivendicava
le terre con le simboliche occupazioni, scontrandosi con agrari e mafiosi-gabelloti,
e fermare l’avanzamento delle sinistre in Sicilia in cui si temeva
una rivoluzione rossa che poteva andare a scontrarsi con la dottrina
Truman.  A rafforzare tale tesi c’è la dimostrazione che il
maggior numero di vittime si ha tra le elezioni regionali e le elezioni
politiche per il primo parlamento nazionale del 18 aprile del 1948.
Proprio nel 48 ci sarà una lunga scia di sangue in cui furono uccisi
Vincenzo Campo a Gibellina il 22 febbraio; Epifanio Li Puma a Petralia
Sottana il 3 marzo; Placido Rizzotto a Corleone il 10 marzo; Calogero
Cangelosi a Camporeale il 15 aprile.

Placido Rizzotto era nato il
due Gennaio del 1914 a Corleone ed era un ragazzo figlio di un contadino,
Carmelo e di Moschitta Giovanna, che morì giovanissima. Dovette abbandonare
la scuola perché il padre, sotto il prefetto Mori fu arrestato poiché
vicino alla mafia. Fu chiamato alle armi con destinazione i freddi monti
della Carnia, in Friuli Venezia Giulia, ma dopo l’8 settembre abbandonò
la divisa fascista e si unì ai partigiani della Brigata Garibaldi.
Sui monti della Carnia Placido ha contribuito alla liberazione dell’Italia;
ma i partigiani della Carnia hanno contribuito a formare in Placido
gli ideali di libertà che andavano oltre la lotta al fascismo, infatti,
entrò in contatto con le idee di uguaglianza socialiste, tutti gli
uomini sono uguali e non ci possono essere servi e padroni, come nel
suo paese, ma ha vissuto anche l’esperienza di quei giovani partigiani
che per quei valori e quelle idee erano morti accanto a lui. Sarebbe
stato facile continuare a inseguire la libertà dove già era affermata,
ma si rese conto che la sua lotta non era finita, sapeva che la sua
Corleone non era oppressa dal nazifascismo ma dai “signori” di Cosa
Nostra. Finita la guerra, ritornò nella sua Corleone, carico delle
sue esperienze e in poco tempo fu eletto Segretario della CGIL di Corleone
e rifondò la cooperativa agricola “B. Verro”, organizzando i contadini
nella lotta per l’applicazione del decreto Gullo. A Corleone e in
Sicilia, come abbiamo detto, continuava ad esistere il latifondo che
era nelle mani degli agrari e dei gabelloti mafiosi.

Placido incitava i “jurnateri”
(lavoratori pagati a giornata) a non accettare le proposte “di lavoro”
(sfruttamento!) che erano fatte dai picciotti dei latifondisti in pubblica
piazza come per le bestie, ma parlava di collocamento e li incitava
organizzarsi in cooperative. L’unione tra i lavoratori onesti poteva
essere l’unica arma per sconfiggere l’ormai assodata cultura del
subire e per affermare i propri diritti. Rizzotto portava avanti questa
lotta contro questi poteri e per questo motivo fu eliminato il 10 marzo
del 1948. Nessuno fu condannato attraverso la solita formula, di moda
in quegli anni, “assolti per insufficienza di prove”. A Corleone
il capomafia era il Dott. Michele Navarra, che gestiva l’ospedale
dei Bianchi e aveva un grosso potere, ma a suo servizio aveva tra gli
altri Luciano Liggio, che prenderà in seguito il suo posto facendo
uccidere il vecchio boss e i suoi affiliati con una vera e propria guerra
di mafia. Rizzotto voleva occupare le terre che erano state promesse
a Liggio. La sera del 10 marzo 1948 Luciano Liggio, Pasquale Criscione
e Vincenzo Collura lo rapirono e facendolo entrare con forza in una
Fiat 1100 lo portarono in contrada Malvello, dove venne  torturato
e assassinato. Il suo cadavere fu occultato nella foiba di Rocca Busambra.
Non venendolo rientrare il papà Carmelo e il cognato Giuseppe Di Palermo
andarono a cercarlo. Il padre ebbe la forza di denunciare i fatti all’allora
capitano Dalla Chiesa. Il capitano fece un rapporto indicando proprio
gli esecutori materiali, grazie alla testimonianza di Criscione e Collura.
Stessa denuncia fu fatta allora dai giornali l’Unità e la Voce della
Sicilia che scrissero anche sulla strana morte del piccolo Giuseppe
Letizia, che aveva assistito all’omicidio Rizzotto ed era stato ricoverato
nell’ospedale diretto dal Dott. Navarra. Ma al processo i due testimoni
ritrattarono e quindi il processo in tutti e tre i gradi si risolse
con la formula assolti per insufficienza di prove. Per Rizzotto come
per tanti altri non c’è mai stata giustizia.

www.corleonedialogos.it

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