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Enzo Palmesano ringrazia Dda e carabinieri: sono emerse le minacce della camorra.

Di redazione il . Campania, Dai territori

“Desidero ringraziare anche pubblicamente, dopo averlo fatto di
persona, il coordinatore della Direzione distrettuale antimafia di
Napoli, dottor Franco Roberti, il pubblico ministero dottor Giovanni
Conzo e il comandante provinciale dei carabinieri di Caserta,
colonnello Carmelo Burgio, per le parole di stima – che ricambio
ampiamente – pronunciate nei miei confronti in occasione della
conferenza stampa sull’operazione anticamorra che ha portato a numerosi
arresti di esponenti del clan camorristico-mafioso Lubrano-Ligato di
Pignataro Maggiore”. E’ quanto si legge in un comunicato del
giornalista professionista Enzo Palmesano, la cui collaborazione con il
quotidiano locale “Corriere di Caserta” fu troncata dalla testata di
Terra di Lavoro – secondo quanto è emerso nell’inchiesta della
Direzione distrettuale antimafia – a seguito delle minacce del boss
Vincenzo Lubrano (nel frattempo defunto) e delle pressioni operate da
un giornalista, Francesco Cascella, imparentato con il mammasantissima.
“L’ottimo
lavoro della magistratura e dei carabinieri, a cominciare dai militari
della Stazione di Pignataro Maggiore, con il comandante maresciallo
Antonio di Siena e il vicecomandante maresciallo Raffaele Gallo –
aggiunge Enzo Palmesano – conferma in pieno quanto era emerso nelle mie
pericolose e credo efficaci inchieste giornalistiche alle quali, per
quanto riguarda la pubblicazione sul ‘Corriere di Caserta’, fu messa
fine da convergenti e forse concordate pressioni camorristiche e
politiche. Non sono comunque riusciti a mettermi a tacere: quando non
ho potuto scrivere sui giornali locali, ho inviato una mole enorme di
denunce alla magistratura, illustrando lo scenario mafioso, gli affari
e i delitti della potente cosca Lubrano-Ligato-Nuvoletta-Romagnuolo”.
“Le
intimidazioni hanno colpito – sottolinea ancora Enzo Palmesano – pure
la mia innocente famiglia, mentre subivo ritorsioni sul piano
professionale. Ma ho sempre operato affinché la palude politico-mafiosa
di Pignataro Maggiore fosse costantemente sotto i riflettori,
nonostante la capacità di immersione che ha mutuato dalla mafia
siciliana, da cui ha appreso le modalità di condizionamento delle
Istituzioni, dell’economia e della stampa”.
“Mi rendo perfettamente
conto – conclude Enzo Palmesano – di essere in grave pericolo: non è di
oggi la notizia che la cupola politico-mafiosa di Pignataro Maggiore mi
vuole morto. Ma non posso che augurarmi un nuovo impulso nelle indagini
per appurare il ruolo degli esponenti politici, i cui nomi compaiono
nelle intercettazioni telefoniche e ambientali, nella campagna per
mettere a tacere il giornalismo investigativo a Pignataro Maggiore,
città tristemente nota come la ‘Svizzera dei clan’ e luogo dove nel
corso degli anni si sono sviluppati gli affari anche dei “corleonesi”
di Luciano Liggio, Totò Riina e Bernardo Provenzano e dei “casalesi” di
Antonio Bardellino, Francesco Schiavone detto ‘Sandokan’ e Francesco
Bidognetti”.

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