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“Nessuna mediazione sul ddl Alfano”

Di Alessio Magro il . Progetti e iniziative

Un fronte comune e
insolitamente compatto contro il secondo lodo Alfano. Giornalisti, editori,
parlamentari, magistrati, associazioni uniti per dire no a quello che
viene vissuto come un vero e proprio attacco al diritto di informare
e di essere informati. Al centro della manifestazione nazionale indetta
da Fnsi, Odg, Unci (nella sede della Federstampa) ci sono i nodi della
riforma: stop alla cronaca giudiziaria, abolizione delle intercettazioni
e oscuramento dei pm, carcere per i giornalisti e responsabilità degli
editori. Una coalizione determinata “a contrastare il testo con tutti
gli strumenti a disposizione” avverte Roberto Natale. Un no intransigente:
“Diamo per scontato che la misura del carcere ai cronisti sarà stralciata
– aggiunge il presidente del sindacato dei giornalisti – ma è il
cuore della riforma che mette in pericolo la democrazia italiana. Non
ci faremo distrarre”.

Stampa e magistratura
si sentono sotto schiaffo. E per questo il fronte del no annuncia determinato
la disobbedienza civile: “Si scriverà lo stesso” dicono Beppe Giulietti
(Idv) e Marco Travaglio, che insieme ad Antonio Di Pietro cavalca il
paradosso: “Speriamo che la facciano lurida, speriamo che il ddl sia
approvato il più presto possibile, così sarà più semplice farlo
bocciare dalla Corte Costituzionale o in sede europea”. In tanti auspicano
il confronto, richiamandosi alla fronda pdl annunciata sui giornali.
Anche se è chiaro ai più il pericolo dell’emendamento civetta sul
carcere ai giornalisti: Anche se dall’opposizione parlamentare si
alzano più voci convergenti: “Nessuna mediazione possibile sul cuore
della riforma”. Ma l’ex ministro delle Comunicazioni  (e capogruppo
al Senato del Pdl) Maurizio Gasparri lascia poco spazio al dialogo:
“Si può discutere quanto vogliamo, ma sappiate che il Parlamento
approverà la riforma proposta dal governo. Decidiamo noi. Il Carnevale
è finito,  non si pubblica più di tutto e di più”. 

Gli
interventi.

Roberto
Natale.
Il presidente della Fnsi sottolinea l’importanza della
ritrovata unita giornalisti-editori. E sottolinea soprattutto che “da
giugno, quando il ddl Alfano è stato presentato alla Camera, stiamo
portando avanti una battaglia per il diritto di informare e di essere
informati, una battaglia che tutela l’interesse generale”. Natale
affronta le questioni carcere e multe agli editori come un nodo secondario,
ma avverte: si rischierebbe il veto sistematico, “va dato atto alla
Fieg di avere subito detto no”. Sulla questione privacy, il presidente
si dice disponibile al confronto su una normativa più incisiva e rilancia
l’idea dell’udienza filtro per stabilire quali siano le intercettazioni
pubblicabili. Ma sottolinea che “non è il testo Alfano lo strumento
adatto allo scopo. Abbiamo posto una domanda: il crack Parmalat e lo
scandalo della Clinica Santa Rita hanno a che fare col diritto alla
riservatezza? La risposta non è arrivata”.

Carlo Malinconico.
Il presidente della Fieg va dritto alla questione editoria: carcere
o meno, la responsabilità oggettiva per la proprietà scardina l’equilibrio
editore-giornalisti. “E’ un attacco alla libertà di informazione”
dice Malinconico, che rileva in tutta la sua portata l’effetto della
norma che impone lo stop alla cronaca giudiziaria fino all’avvio del
processo. “E’ l’organizzazione dell’impresa editoriale, il sistema,
la struttura dei controlli che punta a prevenire i reati a mezzo stampa
– spiega – a garantire il rapporto bilanciato tra direttore ed editore.
La responsabilità oggettiva per la proprietà scardina l’equilibrio:
o si dice che l’editore paga in ogni caso, e si cade nell’incostituzionalità,
o risulta difficoltoso immaginare una modalità diversa dal controllo
sulla direzione”.

Giuseppe Giulietti.
Il parlamentare dell’Italia dei valori non lesina critiche al governo
per “un ddl che mira a impedire la formazione dell’opinione, ad
abolire la conoscenza dei cittadini sui fatti di rilevanza sociale”.
Per Giulietti si viola la deontologia professionale dei giornalisti,
si viola la libertà di informazione garantita dall’articolo 21 della
Costituzione, ma non solo: con l’abolizione dello strumento delle
intercettazioni “si crea insicurezza sociale”, mentre il divieto
di cronaca fino al processo “impedisce il controllo e la pubblica
discussione”. “Norme inefficaci” che vanno nella direzione opposta
ad altri provvedimenti del governo sui temi della sicurezza. Per Giulietti
il capitolo informazione va “stralciato dal ddl”, mentre “il carcere
per i giornalisti è una barzelletta” e ancora “si faccia un tavolo
di confronto sulla privacy”. Il deputato e animatore del sito d’informazione
Articolo21.info dice anche un’altra cosa: “Attenzione, i giornalisti
scriveranno lo stesso, così si alimenta la vendita di documenti, si
alimenta la corruzione, e ci sarà la corsa ad aprire blog all’estero”.
Stampa carbonara e stampa killer. 

Ricky Levi. Il capogruppo del
Pd alla commissione Cultura della Camera rileva tre nodi del ddl, legati
e inscindibili, da abolire senza mediazione possibile: il carcere per
i cronisti, lo stop al diritto di cronaca, le multe per gli editori.
“Nessun accordo è accettabile, le tre misure non sono emendabili
e vanno stralciate” spiega. Levi si sofferma sulle norme relative
al diritto oggettivo delle imprese editoriali, “un attacco alla libertà
di informazione” che mette “sotto schiaffo la stampa”. Levi aggiunge
un capitolo alla polemica: “Noto la stessa logica della normativa
sugli aiuti all’editoria, una prassi comune nei paesi civili, che
il governo vuole determinare per via regolamentare esautorando il Parlamento”. 

Marco Travaglio. Il
giornalista-scrittore va subito di sciabola: “L’iniziativa di oggi
è già un mezzo successo, nel 2007 nessuno votò contro il ddl Mastella”.
Per Travaglio “si commette un errore nel definire il testo Alfano
come ddl intercettazioni”, perché si tratta piuttosto di “un ddl
bavaglio”. Il riferimento è al divieto di pubblicare qualunque cosa
attenga ad un atto giudiziario, quindi anche il contenuto riassunto,
fino all’avvio dell’udienza preliminare. Sarà impossibile, dice,
informare i cittadini su fatti di cronaca, su chi ha commesso cosa.
Per Travaglio la questione privacy è una bolla: “esiste già la normativa
al riguardo”. Il giornalista ricorda le vicende Saccà e Bergamini,
e sottolinea come “è importante per i cittadini sapere come viene
amministrata la televisione pubblica, anzi sapere dell’uso criminoso
della tv pubblica pagata coi soldi di tutti, usando una espressione
del presidente Berlusconi”. Travaglio è convinto che più breve sarà
l’iter del ddl prima si potrà ricorrere alla Corte costituzionale
e alla Corte europea, “che nel caso Miterrand, in presenza di intercettazioni
illegali e illegalmente acquisite e pubblicate, assolse i giornalisti
e condannò la Francia che li aveva puniti”. Tutto può essere pubblicato,
dunque. E allora l’invito è “all’obiezione di coscienza”. 

Giuseppe Cascini. Il
segretario dell’Anm sottolinea il rischio insito nelle norme del ddl
che di fatto impediscono “il diritto di critica e controllo della
cittadinanza sui provvedimenti giudiziari”. L’oscuramento dei pm,
il silenzio nella fase delle indagini significano “nessun controllo
sui magistrati”, che alla loro indipendenza hanno visto contrapposta
fino ad oggi la libertà di critica e controllo dell’informazione.
Un rischio pesante, perché all’opinione pubblica non sarà dato sapere
“chi sono gli arrestati e di quali accuse devono rispondere”. E
senza informazione è difficile anche fare politica”. Cascini passa
alle questioni tecniche: “Le intercettazioni saranno abolite perché
il ddl indica due requisiti per l’autorizzazione, l’individuazione
del colpevole e le esigenze investigative, due requisiti che evidentemente
si autoescludono”. Senza dimenticare le indagini contro ignoti. Ma
Cascini rileva un altro punto di debolezza: “Il lodo Alfano rende
impossibile l’attività delle forze dell’ordine, che non potranno
più utilizzare le riprese video. Un’assurdità, un’idea assurda
di sicurezza, perché i privati potranno piazzare telecamere e gli investigatori
no”. 

Maurizio Gasparri. Spazio
anche alla maggioranza con il senatore pdl che esordisce subito biasimando
la pratica “delle intercettazioni a strascico”, “i pm che fanno
carriera con gli articoli di giornale”, “il Carnevale sulla stampa,
dove si pubblica di tutto e di più”. In poche parole è “la stagione
degli eccessi” che si concluderà presto: “Discutiamo quanto volete,
ma decidiamo noi. Sappiate che il Carnevale è finito”. 

Antonio Di Pietro. Intervento
tecnico quello del leader di Idv. Subito un elemento nuovo sul tavolo:
in base al ddl Alfano gli indagati “potranno scegliersi il giudice”,
in quanto sarà possibile denunciare il proprio giudice e quindi imporre
il trasferimento del fascicolo ad altra corte, “con la prescrizione
a portata di mano”. Segue il nodo dell’oscuramento del lavoro della
magistratura – i giudici “cattivi” potranno lavorare senza controllo,
i giudici “buoni” ostacolati si troveranno isolati – e dello stop
alla cronaca giudiziaria. Sulle intercettazioni, Di Pietro rileva che
“è come se si curasse un malato quando è già morto”. Mafia e
terrorismo sono escluse dalle limitazioni, “ma – avverte l’ex
pm – i reati di associazione emergono sempre nella fase conclusiva
delle indagini, che partono da single ipotesi di reato”. Traducendo,
non si intercetterà neanche per reati di mafia e terrorismo. E ancora:
si impone l’autorizzazione per tutti i tipi di intercettazioni, anche
le immagini video, che oggi possono essere raccolte liberamente. Autorizzazioni
per intercettare, autorizzazioni per le proroghe, da parte non più
di un singolo giudice, ma di un collegio di tre giudici. Con lo scenario
ipotizzabile di “distretti dove non si trova più un magistrato per
processare un imputato, per via del divieto del doppio giudicato”.
La paralisi. Di Pietro è netto: “Nessun dialogo è possibile in questo
Parlamento, che si approvi il testo, noi sosterremo la disobbedienza
civile, proporremo un referendum in attesa dei ricorsi a Corte costituzionale
e Corte europea. Ultimi nodi: “La Fnsi intervenga sullo scandalo del
rinnovo del cda Rai e sulla questione dei fondi all’editoria”. 

Giacomo Caliendo. Il
sottosegretario alla Giustizia fa lo slalom, evitando gli argomenti
più spinosi e soffermandosi sulle affinità del ddl Alfano con “le
soluzioni trovate dal governo Prodi che convergono con le misure indicate
dal governo attuale”.  

Lorenzo Del Boca. Il
presidente dell’Ordine dei giornalisti bolla come emendamento civetta
quello che istituisce il carcere per i giornalisti che pubblicano intercettazioni
destinate al macero. “Ma l’estetica della norma è significativa,
è una minaccia ai giornalisti in quanto disposizione stravagante su
una ipotesi di reato assurda. Del Boca trova la soluzione nell’autodeterminazione
della categoria, nell’autoregolamentazione, anche perché “o la
stampa è libera o non è”. Infine una nota incisiva: “Con il divieto
di pubblicazione del contenuto degli atti giudiziari si potrebbe arrivare
alla situazione assurda per la quale, ad esempio, l’arresto di un
presidente di Regione porterebbe a nuove elezioni con i cittadini chiamati
al voto senza conoscere le ipotesi di reato e i fatti contestati”.

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