Di Matteo: “Senza le intercettazioni oggi Provenzano sarebbe a Bagheria a fare affari”
«Di due strumenti la lotta alla criminalità organizzata non può fare a meno: le intercettazioni e il contributo dei collaboratori di giustizia. Basti pensare alle decine di processi che fino a qualche anno fa si concludevano con l´assoluzione degli imputati per insufficienza di prove. La scelta sull´utilizzo di questi strumenti spetta alla politica, ma allo stesso tempo è nostro dovere dire ai cittadini onesti che senza questi strumenti, e in particolare senza il sistema delle intercettazioni, oggi avremo Bernardo Provenzano in giro per Bagheria, impegnato ad investire i proventi dei traffici di droga e delle estorsioni». Lo ha detto il sostituto procuratore della Dda di Palermo Nino Di Matteo, rispondendo alle domande degli studenti nel corso di un lungo dibattito tenutosi al liceo classico “Francesco Scaduto” di Bagheria. Un incontro per fare il punto sullo stato di salute di Cosa nostra, ma anche per approfondire con i giovani i temi principali della cultura mafiosa e del suo possibile superamento.
«Qualcuno vuole far credere che Cosa nostra sia solo un problema di estorsioni e bassa macelleria criminale – ha proseguito il pm – mentre si parla sempre meno dei rapporti tra mafia, politica e istituzioni. Fin dalla sua nascita Cosa nostra cerca di convivere con lo Stato». Non è mancata un´iniezione di speranza sui giovani: «Voi avete armi eccezionali per combattere la mafia – ha detto Di Matteo rivolgendosi agli studenti – Dovete evitare di condividere la mentalità mafiosa. Basta con le raccomandazioni, i favori, il servilismo nei confronti dei potenti di turno. Presto vi scontrerete con i problemi del mondo e dovete cercare di preservare la vostra libertà e dignità evitando di ottenere favori. Se vi rivolgete ai chi gestisce il potere, sul momento avrete risolto i vostri problemi. Ma in futuro quella persona vi chiederà conto del favore, con gli interessi, e voi avrete perso l’unico bene che non ci dovrebbero mai togliere: la dignità».
Tanti i temi affrontati: dagli sconti di pena concessi ai collaboratori di giustizia all´atteggiamento omertoso, dalla crisi del giornalismo d´inchiesta alla ribellione al pizzo iniziata a Palermo e che lentamente si sta allargando all´intera Sicilia. «Vent´anni fa Bagheria era la roccaforte di Provenzano – ha affermato il pm – i “ricchi” erano gli imprenditori prestanome di Provenzano, i mafiosi comandavano, facevano affari con i politici riciclando denaro sporco. Vent´anni anni fa le persone per bene stavano zitte perché avevano paura – ha aggiunto – ma adesso le cose sono cambiate. Non è più il momento di avere paura, è invece il momento del coraggio e della ribellione dei commercianti e delle istituzioni. Oggi la maggior parte dei mafiosi è in carcere, alcuni per molti anni e altri per sempre. Non sono più forti come prima. La paura non paga, induce alla rassegnazione e al servilismo. Non crediate a chi dice che le cose non cambieranno. Le cose sono già cambiate».
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