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Il cuore di Lampedusa e le leggi razziali

Di Anna Foti* il . Dai territori

Maroni
vuole introdurre a Lampedusa il rimpatrio immediato di cittadini
stranieri verso paesi in cui rischiano la tortura, come la Libia,
vietato dalla Convenzione di Ginevra del 1951 (sottoscritta dall`Italia
ma non dalla Libia). L`accordo siglato a Tripoli nel dicembre del 2007
prevede i pattugliamenti della costa nordafricana ed una rete di
controllo satellitare. Prosegue il cammino della politica verso le
“leggi razziali”

Lampedusa, isola di persone accoglienti. Lampedusa, isola di migranti. Il lembo di terra siciliana in mezzo al mar Mediterraneo, da sempre approdo di speranza, ha il pregio di essere popolata da persone che hanno meritato il privilegio di accogliere. Accanto alle cifre sempre crescenti di cittadini stranieri che bussano alla frontiera italiana dall`isola, esistono anche storie di civiltà e di grande umanità che i lampedusani hanno vissuto e continuano a vivere con le popolazioni straniere più disperate di questo tempo. Molto più vicini al resto del mondo di quanto non lo siano tutti gli altri italiani.

Un`isola capace di scrivere la propria storia anche in lingue che disconosce ma che impara quotidianamente. Fortemente simbolico il corteo dei mesi scorsi in cui accanto agli isolani, sono scesi in piazza anche i cittadini extracomunitari presenti sull`isola per contestare l`allestimento di un altro centro di detenzione per stranieri, in un`isola che invece potrebbe fare scuola al governo di civiltà e integrazione. Certo i numeri cominciano ad essere alti. Dallo scorso dicembre oltre 1500 persone di diverse nazionalità sono sbarcate, mentre il centro di Lampedusa ha una capienza di sole 850.

Gli isolani hanno legittimamente chiesto un intervento del governo per gestire quella che è da sempre una storia annunciata, definita mediaticamente un`emergenza al solo scopo di poterla gestire sommariamente e per legittimare una soluzione “a tutti i costi”. Ed è quella che il governo Maroni ha riservato, in violazione delle Convenzioni Internazionali che vieterebbero il rimpatrio immediato di cittadini stranieri verso paesi in cui rischiano la tortura, come ad esempio la Libia. A ciò si aggiunga che l`alta affluenza ha inciso negativamente, come già posto in evidenza anche a Bruxelles, sulla prassi, già sommaria, di identificazione e garanzia di rappresentanza legale e avvio della procedura di asilo, diritto fondamentale inalienabile.

Già il pacchetto sicurezza (Disegno di legge n. 733), adesso al vaglio della Camera dopo la recente approvazione del Senato, introduce una serie di misure restrittive come la tassa di soggiorno, la soppressione del divieto di segnalazione di persone irregolarmente soggiornati in Italia da parte del personale ospedaliero, il reato di immigrazione clandestina e il prolungamento della detenzione presso i CPT fino ad un massimo di 180 giorni, rispetto ai 60 attuali. Ma questa sarà la prassi, poiché l`emergenza è stata invece gestita con rimpatri forzati e immediati in ragione dell`accordo con la Libia, con la Tunisia e con l`Egitto.

Ad onor del vero, devono riconoscersi i passi in avanti compiuti, anche da un punto di vista legislativo, negli ultimi due anni. Essi riguardano il trattamento dei minori migranti e l`effetto sospensivo del ricorso avverso il diniego della richiesta di asilo, introdotto dopo anni di pressioni solo nel 2008. Rimane ancora aperta, la questione, tuttavia, dell`accesso alla procedura di asilo. Secondo l`Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati, solo il 75% delle persone giunte nel 2008 ha presentato domanda di asilo (solo alla metà accordate nelle due diverse declinazioni della protezione sussidiaria e dello status di rifugiato). Ma non nelle ultime settimane, ed è lecito chiedersi perché non a tutti sia stata riconosciuta la medesima possibilità, atteso che non si intraprende un viaggio rischiando di non sopravvivere se la vita stessa non dipende da quel viaggio e dall`abbandono del proprio paese.

Torniamo adesso agli accordi con la Libia, la Tunisia e l`Egitto e alla scelta di affidare a strumenti di cooperazione internazionale, quali gli accordi (Libia) o le intese bilaterali ai fini della riammissione (Tunisia ed Egitto), la gestione del contrasto all`immigrazione clandestina. Dopo una prassi discutibile di accordi di carattere internazionale, neanche ratificati ma pienamente esecutivi come gli innumerevoli siglati fin dal 2000 con la Libia, almeno la buona prassi costituzionale della ratifica riprende. Ratificato (ddl 1333) infatti, nelle scorse settimane, l`accordo siglato a Tripoli nel dicembre del 2007 per i pattugliamenti della costa nordafricana, con sei motovedette della Guardia di Finanza cedute alla Libia, l`addestramento e l`istallazione di una rete di controllo satellitare per monitorare le frontiere di sabbia che avranno il marchio di Finmeccanica.

Le spese saranno divise tra Italia e UE. Un accordo dai profili molto discutibili che contrasta l`immigrazione clandestina disattendendo le Convenzioni Internazionali e consacrando la violazione del preciso obbligo che, almeno, l`Italia ha, in forza della Convenzione di Ginevra del 1951, di non respingere i cittadini stranieri verso paesi dove rischiano la tortura. Invece l`Italia stringe un accordo in materia di immigrazione con uno dei paesi che non ha sottoscritto la Convenzione di Ginevra e che presumibilmente non è incline a riconoscere protezione a chi fugge da guerre e persecuzioni. L`Italia stringe un accordo proprio con uno dei paesi verso cui non potrebbe respingere i cittadini stranieri senza violare la Convenzione che ha sottoscritto.

Condizioni disumane nei campi di detenzione, torture, procedure sommarie di espulsione e rimpatri, chiusura ad osservatori esterni. Tutto questo accade in Libia, secondo le denunce di Amnesty International e di altre ONG. Allora, per quanto geograficamente adatta alla scelta, perché affidare alla Libia, tutt`altro che accogliente e garante dei diritti umani, persone che transitano nel nostro paese in cerca di protezione? Nessuno si sente in dovere di spiegarlo. Intanto l`accordo esiste perché l`immigrazione è diventato un problema in Italia. L`amarezza rimane nonostante qualche segnale di speranza come la firma del protocollo di intesa siglato nel 2008 tra Il Centro Italiano Rifugiati (CIR) e l`Associazione libica per la Pace (IOPCR) al fine di promuovere il dialogo multiculturale e la cooperazione.

L`amarezza persiste perchè conviene investire più nel contrasto all`immigrazione che nell`integrazione. Perché conviene investire nell`unico paese africano che non ha ceduto il controllo dei suoi pozzi petroliferi ad un paese occidentale. Dunque la gestione dell`immigrazione clandestina, a dispetto degli standard di rispetto dei diritti umani, consente in realtà di raggiungere ben altri vantaggi in un periodo di strategica apertura in cui la Libia, nelle mani di Gheddafi dai tempi del colpo di stato di 40 anni fa, si apre all`Europa e agli Stati Uniti.

Riaprire il dialogo con Gheddafi, riabilitare una coscienza coloniale. Queste le argomentazioni. E del destino delle persone che arrivano nel nostro paese? Persone di cui, anche solo per questo breve passaggio oltre che per la civiltà di cui ci dichiariamo presidio, diventiamo responsabili? Anche in questo caso nessuno si sente in dovere di rispondere.

Il nostro governo ha rimpatriato centinaia di persone verso la Libia nelle scorse settimane. Nessuna assicurazione circa la loro incolumità. Nessuna responsabilità. Anche la Convenzione contro la Tortura è stata violata. Ma anche questo è ininfluente. Come il passaggio di centinaia di migliaia di anime sulle nostre coste. C`è da chiedersi allora cosa sia influente. Una domanda tanto banale quanto preoccupante. Qualcuno si sente in dovere di rispondere?

* www.terrelibere.org

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