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Traffico illecito di rifiuti: i due Bellia in carcere con avvocato pescarese

Da redazione il . Abruzzo

L’indagine è stata coordinata dal sostituto procuratore, Giuseppe
Falasca, della Procura della Repubblica di Chieti e condotta dal Noe di
Pescara del Comando Carabinieri per la Tutela dell’Ambiente.
Complessivamente
le persone deferite all’autorità giudiziaria sono state 36 per i reati
di associazione a delinquere, attività organizzata per il traffico
illecito di rifiuti, truffa, falso in attestazioni analitiche e
certificazioni ambientali e frode processuale.
Inoltre, a seguito delle richieste del pm, il gip ha emesso 5 ordinanze di custodia cautelare.
L’indagine
durata quasi due anni, ha svelato un imponente traffico illecito di
rifiuti speciali pericolosi, che venivano smaltiti illecitamente in
discariche nazionali compiacenti, con la sistematica cooperazione di
trasportatori, impianti di gestione di rifiuti, intermediari,
laboratori analitici e produttori.
I responsabili del traffico
illecito, attraverso il simulato trattamento chimico-fisico dei rifiuti
e la sistematica falsificazione dei documenti analitici e di trasporto,
per anni, hanno illecitamente smaltito ingenti quantitativi di rifiuti
speciali pericolosi caratterizzati dalla presenza di inquinanti nocivi
per l’ambiente e la salute umana, tra cui sostanze irritanti,
cancerogene, tossiche, nocive, mutagene, diossina, mercurio, cadmio,
piombo etc..
L’operazione ha portato anche al sequestro
dell’impianto di trattamento rifiuti di Chieti Scalo e di copiosa
documentazione, ritenuta utile alle successive indagini. 11/12/2008 8.02

DENUNCE ANCHE A GENOVA

Nell’inchiesta
sono finite anche quattro persone del management dell’Ilva spa, un
impianto siderurgico di Genova. Nello stabilimento sono state
sequestrate 100.000 tonnellate di rifiuti speciali costituiti
prevalentemente da polverino d’acciaio e circa 5.000 tonnellate di
pasta di zolfo.
Ai quattro manager dell’Ilva (tutti denunciati) si
contesta di aver realizzato uno stoccaggio di rifiuti speciali non
pericolosi in mancanza delle previste autorizzazioni.

«SMALTIMENTO ILLECITO DI RIFIUTI SPECIALI PERICOLOSI»

L’indagine,
hanno raccontato i militari, durata quasi due anni, ha svelato un
imponente traffico illecito di rifiuti speciali pericolosi, che
venivano smaltiti illecitamente in compiacenti discariche nazionali,
con la sistematica cooperazione di trasportatori, impianti di gestione
di rifiuti, intermediari, laboratori analitici e produttori.
Fulcro
delle attività illecite, presso cui confluivano dall’intero territorio
nazionale centinaia di migliaia di tonnellate di rifiuti speciali
pericolosi e non, era un impianto di trattamento rifiuti operante nella
zona industriale di Chieti Scalo, regolarmente autorizzato dalla
Regione Abruzzo.
I responsabili del traffico illecito, attraverso il
simulato trattamento chimico-fisico dei rifiuti e la sistematica
falsificazione dei documenti analitici e di trasporto, per anni, hanno
smaltito irregolarmente ingenti quantitativi di rifiuti speciali
pericolosi caratterizzati dalla presenza di inquinanti nocivi per
l’ambiente e la salute umana, tra cui sostanze irritanti, cancerogene,
tossiche, nocive, mutagene, diossina, mercurio, cadmio, piombo etc..
Durante
le indagini sono stati messi sotto controllo: l’impianto di gestione
rifiuti – trattamento – di Chieti; 3 ditte di trasporto rifiuti,
operanti in Campania, Toscana ed Abruzzo; 3 laboratori analitici
ubicati in Abruzzo e Puglia; 6 impianti di smaltimento in Puglia,
Toscana e Abruzzo; 5 inceneritori ubicati in Italia ed in Germania.

11/12/2008 12.50

I DUE BELLIA TRA GLI ARRESTATI

In carcere sono finiti:
Walter Bellia responsabile Seab srl;
Angelo Fabrizio Bellia, responsabile e socio Seab
Maurizio Minichilli, avvocato pescarese, residente a Manoppello e consulente Seab

Due sono agli arresti domiciliari:
Simone Batilde, ex responsabile del laboratorio analisi della Seab e attualmente dipendente dell’Arta di Chieti
Massimo Colonna, consulente esterno Seab.

IL PM AVEVA CHIESTO 15 ARRESTI

«In
realtà le richieste di custodia in carcere o ai domiciliari erano 15,
ma il Gip di Chieti, Marco Flamini, ne ha accolto solo 5 e stiamo
valutando se ricorrere contro questa decisione».
E quello che ha
detto Ermanno Venanzi, Procuratore capo della Repubblica di Chieti,
nella conferenza stampa che ha chiarito alcuni punti dell’operazione “4
mani”. Un’operazione che non è ancora conclusa perché altre indagini
sono ancora in corso in molte discariche regionali ed extraregionali,
soprattutto in Puglia, dove venivano smaltiti i rifiuti pericolosi non
trattati e che invece erano classificati come rifiuti normali con
l’aiuto di certificati compiacenti.
I reati contestati sono il
falso, la truffa aggravata allo Stato per il mancato pagamento
dell’ecotassa, trasporto illegale di rifiuti pericolosi.
Non è stato, invece, accolto dal Gip il reato di associazione per delinquere.
Il
meccanismo truffaldino consisteva nell’acquisire rifiuti pericolosi, in
particolare dalla Sicilia e dal Petrolchimico di Gela, oltre che dalla
provincia di Siracusa, nell’impianto Seab di Chieti scalo regolarmente
autorizzato.
Qui i rifiuti dovevano essere trattati per renderli inerti e poi smaltirli regolarmente.
Il
che non avveniva: i rifiuti rimanevano pericolosi e viaggiavano verso
le discariche pugliesi e abruzzesi con certificati compiacenti che
hanno portato agli arresti domiciliari due chimici, uno interno alla
Seab ed uno esterno.

150MILA TONNELLATE PER 3 MILIONI DI EURO

I
quantitativi smaltiti in due anni sono pari a 150 mila tonnellate, per
un guadagno illecito stimato di circa 3 milioni di euro.
L’indagine
è nata dopo alcuni controlli casuali nelle discariche ed è stata
condotta dai Carabinieri del Noe, Nucleo operativo ecologico di Roma e
di Pescara, con l’aiuto dell’Arma territoriale abruzzese e pugliese.
A lavorare sul materiale anche un consulente della Procura di Chieti, di cui non è stato rivelato il nome.
«Si
è trattata di un’indagine di due anni, molto difficile e molto tecnica
che ancora non è terminata – ha spiegato il sostituto Giuseppe Falasca,
che ha seguito direttamente il caso – ci sono stati pedinamenti,
intercettazioni telefoniche, controlli di vario tipo. Un grosso aiuto
ci è stato dato anche dall’Arta regionale di Pescara, così come ci
hanno supportato anche le altre agenzie dell’ambiente delle regioni
confinanti. Un grosso plauso ai Carabinieri ed al consulente, essendo
la materia delle indagini molto tecnica e molto complessa».
E a
sorpresa, al momento dell’arresto per i domiciliari, Simone Batilde,
consulente esterno della Seab, ha dichiarato di essere un dipendente
dell’Arta, l’agenzia per l’ambiente, nell’ufficio di Chieti.

PERCHÉ OPERAZIONE 4 MANI

«L’abbiamo
chiamata “Operazione 4 mani” proprio per indicare l’abilità con cui in
Abruzzo apparivano rifiuti normali e dalla Campania sparivano rifiuti
pericolosi e nocivi».
La spiegazione viene dal Colonnello Antonio
Menga, comandante del Noe Carabinieri di Roma che ha diretto l’indagine
insieme al Tenente, Fiorindo Basilico, del Noe di Pescara.
E’
proprio controllando il flusso di camion che dalla Campania si snodava
verso le discariche e gli impianti nazionali, Chieti compresa, che i
Carabinieri hanno disarticolato una complessa rete nazionale che
movimentava rifiuti pericolosi con la connivenza di una «fitta rete di
intermediari, trasportatori, titolari di centri di stoccaggio, recupero
e smaltimento, laboratori di analisi tutti inseriti nello stesso
contesto criminale».
Il tutto ruotava attorno alla «simulazione del trattamento dei rifiuti».
Come ha spiegato il sostituto procuratore, Giuseppe Falasca, se per
«inertizzare questi rifiuti, cioè chiuderli in una sorta di tomba di
cemento, servono ad esempio 100 tonnellate di cemento speciale e la
Seab ne acquistava dieci chilogrammi, ciò significa che il processo di
trattamento non avveniva».
«A volte non avevamo nemmeno bisogno di
analisi, che comunque abbiamo effettuato, tanto decisa era la puzza di
solvente» ha aggiunto il colonnello Menga.

LA TIPOLOGIA DEI RIFIUTI PERICOLOSI

La
tipologia dei rifiuti era comunque la più varia: dalle vernici ai
solventi, ai rifiuti fangosi della raffinazione petrolifera, ai rifiuti
solidi da fumi industriali, alle terre, alle rocce e alle ceneri con
sostanze pericolose o i fanghi delle acque reflue industriali.
Il tutto veniva miscelato e mandato in discarica o in inceneritore, sia in Italia che all’estero, soprattutto Germania.
«E’
del tutto evidente che l’omessa inertizzazione produce un enorme
risparmio dei costi di gestione e quindi un arricchimento illecito»,
hanno spiegato i due procuratori della Repubblica, che non hanno voluto
dire altro perché l’indagine non è ancora conclusa.
Sono stati
solo indicati genericamente i luoghi dove venivano smaltiti questi
rifiuti non trattati: oltre Chieti, nelle province di Bari, Brindisi,
Taranto, Pistoia, Belluno e Crotone.
Lungo l’elenco delle sostanze
tossiche, nocive, irritanti e cancerogene e molto pericolose le
miscelazioni incontrollate che potevano generare gas tossici
potenzialmente tossici anche se solo inalati.
Le analisi
effettuate nei laboratori che hanno collaborato, quello dell’Arta
abruzzese soprattutto, hanno identificato: cadmio, piombo, rame,
antimonio, zinco, cloruri, cianuri, fenoli, idrocarburi, trielina,
solventi alogenati, isocianati, Pcb e sostanze fitofarmaceutiche.

(da primadanoi.it)

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