Clan Madonia, 24 arresti. Accuse per il presidente della provincia
Sono 24 gli ordini di custodia cautelare nei confronti di affiliati al clan Madonia al termine di un’indagine su estorsioni e affari illegali condotta dal raggruppamento dei carabinieri del reparto operativo speciale e dai Ros di Caltanissetta. Gli indagati sono accusati di associazione mafiosa, estorsione, usura, trasferimento fraudolento di valori, illecita concorrenza mediante violenza e minaccia. I provvedimenti sono stati emessi dal gip del tribunale su richiesta del procuratore della Repubblica, Sergio Lari, e dei sostituti della Direzione distrettuale antimafia, Nicolò Marino e Antonino Patti. Predisposto inoltre il sequestro di due società che gestiscono sale scommesse a Gela e Niscemi, e inoltre un’azienda per la produzione di calcestruzzo, per un valore complessivo di oltre 4 milioni di euro. Dal quadro reso noto dagli inquirenti gli affari del Clan procedevano spediti, nonostante il boss Giuseppe “Piddu” Madonia si trovasse in carcere in regime di 41bis.
Dietro le sbarre si ma non isolato abbastanza. Il boss mafioso Giuseppe “Piddu” Madonia, infatti continuava a gestire il clan, ordinando attraverso la moglie e la sorella gli investimenti illeciti da fare, le estorsioni da compiere e i politici che andavano “appoggiati”. Secondo gli inquirenti erano proprio i familiari del capo dei Madonia a gestire gli affari illeciti del clan facendo da “corrieri” fra Madonia (che è detenuto) e gli affiliati ai quali erano destinati gli ordini del boss. Il clan imponeva il pagamento di tangenti alle imprese che lavoravano nel nisseno; in molti casi, oltre ad una percentuale sull’importo dell’appalto, imponevano l’acquisto di calcestruzzo dall’azienda ritenuta vicina ai boss. Dall’indagine “Atlantide-Mercurio” emerge il quadro di un sistema di estorsioni, una delle quali sarebbe stata imposta anche ad un consorzio temporaneo di imprese di Paternò (Catania), impegnato nei lavori di realizzazione di un parcheggio all’ospedale di Gela. La riscossione della “messa a posto” sarebbe stata gestita (in veste di intermediario) da Vincenzo Salvatore Rapisarda, figlio di un noto esponente di vertice del clan Laudani di Catania. Tanto arrivavano le mani della mafia nissena, sfiorando i confini dei mandamenti siciliani, sino al versante orientale catanese. L’impresa di Paternò, oltre a pagare il “pizzo”, sarebbe stata anche costretta a rifornirsi di calcestruzzo per la realizzazione del parcheggio a Gela dalla ditta di Gianfranco Sanzone (sottoposta a sequestro preventivo).
Riscossione del pizzo, estorsione, imposizione delle forniture “degli amici” da Caltanissetta a Catania, passando per Gela, questo il sistema che veniva gestito comodamente dalle sbarre di un boss ufficialmente in regime di 41 bis. Ancora una volta, infatti, gli uomini di Cosa nostra, seppure in isolamento riescono a tenere il “governo” del territorio senza particolari ostacoli, passando attraverso familiari e nominando reggenti temporanei pronti ad “eseguire” gli ordini. Il tutto in un territorio – sottolinea oggi all’indomani della maxi operazione, Giovanni Di Martino, sindaco di Niscemi – in cui il settore economico risulta inquinato dalle mafie”. Ma c’è di più. Nel pagine dell’ordinanza di custodia cautelare compare il nome del presidente della Provincia di Caltanissetta, Giuseppe Federico (Mpa), deputato regionale. L’accusa è quella di aver chiesto ed ottenuto l’appoggio della cosca mafiosa dei Madonia per le elezioni delle regionali 2006, il politico oggi precisa di “non aver ricevuto nessun avviso di garanzia”. Anello di congiunzione fra il clan e il politico, secondo gli accertamenti compiuti dai carabinieri, sarebbe stato Gaetano Palermo, 38 anni, gioielliere di Gela, impegnato a
“monopolizzare” più voti possibili a favore di Federico. Per sostenere la candidatura dell’esponente del Movimento per l’Autonomia (partito che governa la Regione Siciliana) avrebbe contattato Maria Stella Madonia, sorella del boss “Piddu”, attraverso la quale sarebbe riuscito a contattare “personaggi” di alcuni paesi del nisseno vicini al clan. A Mussomeli sarebbe stato raggiunto addirittura Salvatore Genco Russo, figlio dello “storico” boss Giuseppe Genco Russo. La gestione dei voti, com’è facile immaginare, sarebbe avvenuta dietro pagamento di somme di denaro: circa 50 euro a voto. Tanto costa svendere la democrazia in terra di mafie per i politici, per gli intermediari, e per i mafiosi stessi. Non è certo una novità e talvolta si finisce anche per non rendersi nemmeno conto della gravità dei fatti . Alcuni amministrazioni del nisseno come il Sindaco di Niscemi – paese che gravita nel triangolo fra Gela e Caltanissetta – in merito all’ operazione di ieri e alla situazione generale nella quale si trova ad operare dichiara: «gli ordini di custodia confermano le continue preoccupazioni che già dal mio insediamento ho evidenziato; per questa ragione reputo necessaria una immediata presa di coscienza da parte degli operatori economici di Niscemi e ribadisco l’importanza di avviare nell’immediato la nascita di una associazione antiracket nella nostra realtà ».
« Il Comune di Niscemi ha già messo in moto alcuni provvedimenti a sostegno dei cittadini che denunciano – commenta Di Martino. Alla luce dei presunti coinvolgimenti del presidente della nostra provincia – però continua il Sindaco – crediamo sia opportuno che le istituzioni si impegnino a collaborare con le strutture economiche per protestare contro l’inquinamento mafioso della politica ». Al termine di una operazione investigativa come questa, inoltre, rimangono aperte due questioni. Una di tipo politico e la accerteranno i giudici da un lato i partiti coinvolti dall’altro. L’altra riguarda il sistema giudiziario – repressivo: com’è possibile che boss di Cosa nostra riescano continuamente ad eludere il regime di 41 bis? La mente vola immediatamente alle dichiarazioni dei sostituti procuratori di Palermo (da Scarpinato ad Ingroia) lasciate cadere nel vuoto in questi mesi. In molti dibattiti pubblici e sulla stampa nazionale e locale di fronte al tema Giustizia, il team della Dda di Palermo (non a caso) aveva più volte lanciato un allarme su tutti: il 41 bis oggi è stato svuotato e indebolito. Cosa nostra continua a comandare con gli stessi uomini che crediamo di aver isolato, in breve ma il silenzio dei legislatori è stata la risposta e le conseguenze – lo dimostra anche questa ultima operazione dei Ros nel nisseno – continuano ad incidere sulla vita di commercianti, imprenditori e singoli cittadini.
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