Un colpo alla mafia ed uno alla sedia
Forse Piercamillo Davigo ha ragione quando dice che “in Italia delinquere conviene”… Il precedente che vede soggetti a vario titolo implicati in vicende giudiziarie intenti a moralizzare il mondo della politica e dell’imprenditoria dai pericoli della criminalità organizzata (ma pare non quella individuale) è recente e altrettanto tragicomico. Iniziò nel 2006 il centro-sinistra che, in probabile difficoltà nel coprire gli organici, affidò a pregiudicati del calibro di Cirino Pomicino (curriculum: una condanna definitiva a 1 anno e 8 mesi per finanziamento illecito, un patteggiamento a 2 mesi per corruzione) e Alfredo Vito (curriculum: condannato definitivamente a 2 anni per corruzione) l’importante scranno alla commissione parlamentare antimafia.
L’idea, geniale nella sua originalità, costituì l’applicazione pratica dell’assioma assai in voga negli ultimi anni nel mondo della politica: “i reati degli altri sono sempre i più gravi”. Non sortendo l’esito sperato però i due sparirono dalla nuova commissione targata Pisanu, lasciando un vuoto incolmabile.
La pensata però sembra essere piaciuta all’Ars che dal 1991 ha visto nella commissione antimafia un vantaggioso moltiplicatore di “poltrone” che nell’isola si sa, non sono mai abbastanza. Nonostante l’eccellente lavoro svolto dall’ultima composizione presieduta da Calogero Speziale (Pd) che ha sollecitato l’autorevole legge regionale 15/2008 (Misure di contrasto alla criminalità organizzata), dell’onorevole compito di “indagare sulle attività dell’amministrazione regionale e degli enti sottoposti al suo controllo, sulla destinazione dei finanziamenti erogati e sugli appalti” nonché di assumere “ogni altra iniziativa di indagine e proposta per il migliore esercizio delle potestà regionali in ordine al fenomeno mafioso in Sicilia” sono state incaricate anche vecchie conoscenze dei tribunali isolani.
Stiamo parlando di Salvino Caputo (Pdl), imputato per falsa testimonianza a favore dell’ex presidente Cuffaro (condannato in 1° grado a 5 anni e 6 mesi ed all’interdizione perpetua dai pubblici uffici per favoreggiamento personale semplice e rivelazione di segreto d’ufficio, e dunque capolista Udc al Senato per la Sicilia) e Orazio D’Antoni (Mpa), ex assessore del comune di Catania condannato in 1° grado per abuso d’ufficio a 2 anni e 2 mesi nello stesso processo che vedeva imputati l’ex sindaco Scapagnini (promosso anch’egli per meriti penali) più mezza giunta comunale. Tutti presunti innocenti fino a giudizio definitivo e anche fino al giudizio divino qualora quello umano dovesse concludersi con una condanna.
Ci si chiede a questo punto come potrà la commissione svolgere la propria attività di repressione del fenomeno senza provare nessun turbamento se nello scacchiere dell’antimafia a muovere le pedine troviamo abili pensatori che si distinguono dall’avversario solo per il titolo di reato imputato. Se è vero che la Costituzione formalizzando un’importante regola morale enuncia che tutti si presumono innocenti fino a giudizio definitivo, è altrettanto moralmente corretto sostenere che i membri di ogni commissione anticrimine, non solo antimafia, debbano essere essi stessi scevri anche dal più piccolo sospetto. Per due motivi: da un lato si evita di svilire agli occhi del singolo il lavoro dell’intera commissione, che potrebbe essere equivocato come il mascheramento di secondi fini o come azioni di puro marketing elettorale, dall’altro per venire incontro all’interesse del componente che nella sua veste di imputato finirebbe con il sottrarre tempo ed energie utili per dimostrare la sua innocenza in un giudizio che nel perdurare arreca seri danni all’immagine che rischiano di stabilizzarsi nel caso sopravvenga la prescrizione (che non equivale alla sentenza di assoluzione).
Più un’ulteriore ragione dettata da esigenze di trasparenza, buon andamento e opportunità che verrebbero meno qualora dovesse intervenire una condanna definitiva, con il conseguente e solito terremoto politico che spinge i meno accorti sulle risibili posizioni di mai provati (nel processo) “teoremi giudiziari”. E allora, così come accade nelle democrazie liberali dell’Europa continentale e del nord America, dove ben chiaro è il concetto di presunzione di innocenza, i rappresentanti politici sotto inchiesta, se da un lato non è possibile escluderli dall’assemblea elettiva perché così han deciso gli elettori, seppur con il concorso esterno dei partiti che li hanno candidati, dall’altro lato, avendo a mente il delicatissimo ruolo che vanno a ricoprire, dovrebbero perlomeno essere tenuti lontani dai gangli del potere in attesa di una sentenza assolutiva (e non prescrizionale) che dissipi ogni dubbio.
- La redazione precisa che gli scranni in Commissione li assegnano i singoli partiti presenti in parlamento, in base ad una suddivisione
proporzionale. Sia Vito che Cirino Pomicino sono stati, quindi,
indicati da partiti di centro destra, non dal centro sinistra, come
membri della Commissione Antimafia
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